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Paragon/Amadeus
7 CDs - AMP 007-013 - (p) 2009
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QUARTETTO ITALIANO - The Early
Recordings (1946-1952) |
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Ludwig van Beethoven
(1770-1827) |
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String
Quartet No. 6 in B flat
major, Op. 18 No. 6 |
Decca LXT 2811 -
Mono |
(p)
1954 |
CD
6 | 1-4 |
27' 20"
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String
Quartet No. 7 in F
major, Op. 59 No.
1 "Rasumovsky" |
Decca LXT 2856 -
Mono |
(p)
1954
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CD
6 | 5-8 |
39' 11" |
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String
Quartet No. 9 in C
major, Op. 59 No.
3 "Rasumovsky" |
Decca LXT 2679 -
Mono |
(p)
1952 |
CD
2 | 1-4 |
30' 07" |
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Luigi Boccherini
(1743-1805) |
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String
Quartet in D
major, Op. 6 No. 1
(G 165) - (Op. 8
No. 1) |
Decca LXT 2680 -
Mono |
(p)
1952 |
CD
1 | 6-8 |
13' 06" |
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Claude Debussy
(1862-1918)
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String Quartet in
G minor, Op. 10 *
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Telefunken E
9102/9105 - Mono |
(p)
1946 |
CD
1 | 1-4 |
24' 26"
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Joseph Haydn
(1732-1809)
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String Quartet Op.
64 No. 6 in E flat major, Hob.
III:64 |
Decca LXT 2680 -
Mono |
(p)
1952 |
CD
1 | 9-12
|
12' 04" |
|
String Quartet Op.
77 No. 1 in G major, Hob. III:81 |
Decca LXT 2811 -
Mono |
(p)
1954 |
CD
4 | 1-4 |
22' 49" |
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Wolfgang Amadeus Mozart
(1756-1791)
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Adagio e Fuga in C
minor, KV 546 |
Decca LXT 2853 -
Mono |
(p)
1954 |
CD
4 | 8-9 |
8' 44" |
|
String Quartet No.
2 in D major, KV 155 (134a) |
Decca LXT 2852 -
Mono |
(p)
1954 |
CD
4 | 5-7 |
10' 01" |
|
String Quartet No.
19 in C major "Dissonance", KV 465
("Haydn" Quartet No. 6) |
Decca LXT 2853 -
Mono |
(p)
1954 |
CD
5 | 1-4 |
26' 05" |
|
String Quartet No.
23 in F major, KV 590 ("Prussian"
Quartet No. 3) |
Decca LXT 2852 -
Mono |
(p)
1954 |
CD
5 | 5-8 |
26' 46" |
|
Clarinet Quintet
in A major, KV 581 |
Decca LXT 2698 -
Mono |
(p)
1952 |
CD
3 | 8-11 |
34' 43" |
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Franz Schubert
(1797-1828) |
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String
Quartet No. 8 in B flat major, D 112
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Decca LXT 2855 -
Mono
|
(p)
1967 |
CD
7 | 1-4
|
31' 56" |
|
String
Quartet No. 12 in C
minor
"Quartettsatz", D
703
|
Decca LXT 2679 -
Mono
|
(p)
1952 |
CD
2 | 5 |
10' 53" |
|
String
Quartet No. 13
in A minor
"Rosamunde", D
804 |
Decca LXT 2854 -
Mono
|
(p)
1954 |
CD
7 | 5-8
|
34' 32" |
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Robert Schumann
(1810-1856)
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String Quartet No.
2 in F major, Op. 41 No. 2 |
Decca LXT 2591 -
Mono
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(p)
1951 |
CD
2 | 6-9
|
20' 57" |
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Giuseppe Tartini
(1692-1770) |
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Sonata a quattro
in G major |
Paragon/Amadeus
AMP 007-013 |
(p)
2009 |
CD
3 | 5-7 |
9' 40" |
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Giuseppe Verdi
(1813-1901) |
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String Quartet in
E minor |
Decca LXT 2591 -
Mono
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(p)
1951 |
CD
3 | 1-4
|
21' 37" |
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Leonardo Vinci
(1690/96-1730) |
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Gavotta (transcr.
Guido Guerrini) *
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Telefunken
E 9102/9105 - Mono
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(p)
1946 |
CD
1 | 5 |
3' 17" |
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QUARTETTO
ITALIANO
- Paolo Borciani,
Elisa Pegreffi, violino
- Lionello Forzanti*, Piero Farulli,
viola
- Franco Rossi, violoncello
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Luogo e data
di registrazione |
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(dettagli in
ogni scheda discografica)
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Registrazione: live
/ studio |
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studio |
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Producer / Engineer |
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Paragon, Gaetano
Santangelo | Paolo Zeccara
(AudioGrafica Zecky,
Vigevano)
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Prima Edizione LP |
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-
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Prima Edizione CD |
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Paragon/Amadeus |
AMP 007-013 |
7
CDs | (p) 2009
| ADD
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Note |
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UN
ESORDIO
FOLGORANTE
"Ci
siamo incontrati a
Siena, abbiamo
suonato insieme e il
Quartetto Italiano è
venuto fuori da lì,
come cosa naturale,
come si nasce, si
cammina".
Con queste semplici
parole, affidate a
un'intervista ad
Amadeus di molti anni
fa, Elisa Pegreffi ha
ricordato la nascita
dell'unica formazione
da camera
italiana - a parte
forse il Trio di
Trieste - ad avere
raggiunto un
prestigio
internazionale mai
scalfito dal tempo.
Nel corso dei
trentacinque anni di
attività il
Quartetto Italiano
ha tenuto oltre
3.000 concerti in
tutto il mondo, con
una media di
ottantacinque serate
l'anno e una
stabilità d'organico
seconda solo a
quella dell'Amadeus
Quartet: dal 1945 al
1980, infatti, la
formazione non ha
mai subito
mutamenti, se
escludiamo la
presenza di Lionello
Forzanti nei due
anni iniziali e di
Dino Asciolla negli
ultimi due, entrambi
alla viola. Un'altra
caratteristica di
non poco conto
riguarda gli
strumenti impiegati,
tutti con corde di
metallo e nessuno
proveniente da
liuterie famose,
come Stradivari,
Amati, Guarneri del
Gesù: Borciani aveva
un Vuillaume del
secondo Ottocento,
la Pegreffi un De
Comble di metà
Settecento, Farulli
e Rossi una viola e
un violoncello
italiani del
Novecento,
rispettivamente uno
Sderci e un
Capicchioni.
L'eccezione è
avvenuta solo
quando, nel corso di
una tournée negli
Stati Uniti, il
Vuillaume di
Borciani si è
improvvisamente
"ammalato" ed è
stato giocoforza
sostituirlo; ma,
rientrato in Italia
dopo adeguate
"cure", è ritornato
ben presto tra le
mani del primo
violino.
Il repertorio del
Quartetto ha
percorso la
direttrice
Haydn-Brahms lungo
la quale si è
disposta la
tradizione
classico-romantica,
sia pure con una
presenza Haydniana
limitata - si fa per
dire - a una decina
di lavori e
aggirando
Mendelssohn. Oltre i
due punti estremi
non sono mancate
incursioni da una
parte nel periodo
barocco e
preclassico -
Boccherini, Cambini,
Corelli, Tartini
ecc. - e dall'altra
nella grande
letteratura del XX
secolo di Debussy,
Ravel, Stravinskij,
Webern, ai quali
sono da aggiungere
appena due Bartók
(nn. 1 e 6), solo
pagine isolate di
Schönberg (op. 10),
Prokof'ev (op. 92),
Sostakovic (op. 108)
e poco altro. Da
segnalare la
presenza di
contemporanei
italiani come
Bucchi, Bussotti e
Ghedini con lavori
espressamente
dedicati al
Quartetto. Quanto
alla cronologia
delle scelte, nella
sua preziosa storia
del Quartetto
Italiano Guido
Alberto Borciani fa
giustamente notare
come alcune
potrebbero stupire
perché «adatte a
esecutori che
hanno già
raggiunto la piena
maturità, quali il
K. 465 di Mozart e
soprattutto l'op.
130 di Beethoven,
opere affrontate
prestissimo
[rispettivamente nel
1946 e nel 1947] se
non si pensasse
che alle esigenze
normali di
programmazione si
è aggiunta in tali
casi una precisa
coscienza dei
propri mezzi,
magari condita da
un pizzico di
giovanile baldanza».
Ma nello stesso
tempo, osserva
ancora l'autore, «l'Op.
59 n. 2 di
Beethoven viene
affrontata [
... ] solo dopo
che la serie degli
ultimi Quartetti è
stata superata
[nel 1972]». Il
motivo, come ha
rivelato la stessa
Pegreffi, è da
cercarsi nella «soggezione
che sempre ci ha
fatto specialmente
quell'indecifrabile
primo tempo, ricco
di tanti
interrogativi».
Soggezione che in
verità il Quartetto
Italiano ha provato
nei confronti di
tutto Beethoven,
come un giorno ha
ammesso lo stesso
Paolo Borciani: «c'è
voluta una vita
per presentare
degnamente le
opere di Beethoven»
(in G.A. Borciani, Il
Quartetto italiano,
una vita in musica,
p. 55, Aliberti
Editore, Reggio
Emilia 2002).
L'attività
concertistica della
formazione italiana
è proceduta, di pari
passi con quella
discografica, ma non
tutti i titoli della
prima sono stati
riversati nella
seconda. In
compenso, alcuni
sono stati incisi
più volte - del Quartetto
di Debussy e delle
opere D. 703 e 804
di Schubert esistono
tre versioni
ciascuno - e ben sei
integrali sono state
eseguite e sono
passate dalla sala
da concerto allo
studio di
registrazione:
Mozart, Beethoven,
Schumann, Brahms,
Stravinskij e
Webern. Schubert
costituisce un caso
a parte, perché a
fronte
dell'esecuzione in
concerto di tutti i
quindici Quartetti,
quelli incisi
risultano essere
purtroppo solo
sette; e uno di
questi, il D. 810 «Der
Tod und das
Mädchen»,
nell'esecuzione del
nostro Quartetto
avrebbe dovuto
essere la colonna
sonora del film Il
nipote di
Beethoven che
Luchino Visconti ha
pensato di ricavare
dal libro omonimo di
Luigi Magnani. Ma il
progetto è rimasto
tale.
La naturalezza alla
quale ha fatto
riferimento la
Pegreffi in apertura
per la nascita del
Quartetto Italiano
si trasferisce nella
qualità altissima
già delle sue prime
esibizioni, dalle
quali si leva
un'eccellenza che,
ascoltando le
registrazioni
inedite del
1946-1952, appare
sgorgare con
facilità, laddove è
invece frutto di una
ricerca quasi
maniacale del
"giusto" suono
condotta attraverso
uno studio
meticoloso della
partitura non di
rado segnato da
momenti di aspro
confronto tra i
quattro artisti, sui
quali però alla fine
l'amore e il
rispetto per la
Musica hanno finito
sempre per
prevalere. Scorrendo
i titoli di questo
cofanetto emerge
anche come il
Quartetto sin
dall'inizio abbia
trovato la "sua"
strada, perché a
fianco di presenze
destinate a restare
eccezioni - Vinci,
Boccherini, Verdi,
Tartini - ci sono
molte di quelle
sulle quali
costruirà la propria
fama. A cominciare
da Debussy, perché è
attorno all'op. 10
che tre dei suoi
componenti si sono
ritrovati per la
prima volta in
occasione
dell'annuale saggio
di musica da camera
dell'Accademia
Musicale Chigiana di
Siena, previsto per
il 7 settembre 1942
e con un programma
misto al centro del
quale veniva
inserita
l'esibizione di
Paolo Borciani ed
Elisa Pegreffi
violini, Lionello
Forzanti viola e
Franco Rossi
violoncello. Quando
all'inizio del 1947
Piero Farulli
sostituirà Forzanti,
il Quartetto
Italiano avrà
trovato l'assetto
definitivo.
«Frequentavamo
tutti, sempre, la
classe di [Arturo]
Bonucci, che
faceva anche
musica da camera.
E lì nel 1942
Bonucci decise di
portare al saggio
il Quartetto di
Debussy. Aveva
scelto come
secondo violino
un'altra ragazza e
c'erano Paolo,
Forzanti e Rossi.
Ma c'è un destino.
Da poco avevano
cominciato a
provare quando, in
una delle sale di
Palazzo Chigi,
incontro Bonucci:
Ciao Pegreffina,
ti devo chiedere
una cosa. Tu lo
faresti il secondo
violino nel
Quartetto di
Debussy?. «Altroché!'
Ma il secondo
violino...».
«Certo!». Eravamo
alla casa dello
studente, si
studiava di sera».
Nel rievocare come
siano andate le cose
in quell'estate del
1942, la Pegreffi
aggiungerà una
circostanza che sin
dall'esordio avrebbe
colpito tutti e
contribuito non poco
a fare dell'ensemble
una leggenda: «Ricordo
che provavamo
prima di entrare e
lo sapevamo a
memoria. Non so
chi di noi abbia
detto: "Potremmo
fare a memoria".
Al momento no,
perché non
l'avevamo mai
provato. Ma da lì
verrà [prima
ancora
dell'esordio
ufficiale] il
suonare a memoria
del Quartetto
Italiano»,
prassi esecutiva che
ancora oggi pochi
ensemble rischiano e
sino ad allora
praticata solo dal
Quartetto Kolisch,
ritiratosi però nel
1939. «Non per
presunzione»,
chiarirà Rossi, «ma
senza l'obbligo di
girare le pagine
ci sentivamo più
liberi,
comunicavamo
meglio tra di noi».
Il Quartetto
Italiano sarà però
il primo ad avere
una donna a uno dei
quattro leggii. Per
vederne un'altra
bisognerà aspettare
il 1969, con il
Quartetto di Tokio.
Il saggio del 1942
ha il merito di
rafforzare nei
quattro l'idea di
"fare quartetto",
come più volte si
erano detti dopo
essersi conosciuti
nelle aule della
Chigiana o quando si
incontravano a
qualche concorso;
Borciani (Reggio
Emilia, 1922), la
Pegreffi (Genova,
1922) e Rossi
(Venezia, 1921), per
esempio, nel 1940
avevano partecipato
insieme al Concorso
Nazionale di La
Spezia dove erano
arrivati,
rispettivamente,
primo e seconda
nella classe di
violino e primo in
quella di
violoncello.
Inoltre, lei aveva
anche un'esperienza
solistica, perché
dopo la vittoria nel
1939 a Trieste dei
Littoriali della
cultura e dell'arte
in rappresentanza
del GUF di Genova,
aveva suonato il
Concerto di Brahms a
Roma sotto la
bacchetta di un
venticinquenne
violista: Carlo
Maria Giulini. Ad
assistere al
concerto, seduto in
prima fila, c'era
Benito Mussolini,
del quale, lei
confesserà in
un'intervista video,
«non mi
importava niente,
m'importava invece
di suonare dinanzi
al mio Maestro».
Il programma del
saggio della
Chigiana al centro
del quale spicca il
Quartetto di Debussy
è molto composito: Pupazzetti
per pianoforte a 4
mani di Casella, Scherzo
in si minore
di Chopin, musica
vocale da camera, un
tempo della Sonata
per violino e
pianoforte di
Pizzetti e un tempo
del Concerto in
re maggiore
di Paganini con il
pianoforte al posto
dell'orchestra.
Ma gli eventi
bellici precipitano:
a El Alamein e
Stalingrado si
stanno combattendo
due tra le più
sanguinose battaglie
del conflitto
mondiale e in Italia
la vita quotidiana è
sempre più dura,
perché da marzo il
razionamento
alimentare ha subito
una stretta,
fissando a 800
grammi al mese la
quantità di carne
disponibile a testa
e a 150 al giorno
quella del pane.
Così, il progetto di
"fare quartetto"
naufraga, tanto più
che Farulli
(Firenze, 1920), al
quale si era pensato
in un primo tempo
per la parte della
viola e anche lui
chigiano, dopo
essere partito per
la Sicilia è
bloccato a Bari dove
è arrivato con la
viola a tracolla e
ha trovato lavoro in
un'orchestra. La sua
sostituzione nel
saggio con la
"magnifica viola" di
Forzanti (Venezia,
1913) non è però un
ripiego, come
dimostra l'esito
artistico
dell'esibizione alla
quale, come sempre,
ha assistito
entusiasta anche il
Conte Ghigi. Ma non
c'era stato nemmeno
il tempo di
festeggiare ed ecco
che i quattro si
sono dispersi: la
Pegreffi si è
rifugiata a
Novellara, nella
bassa reggiana,
Rossi e Forzanti
sono a Venezia dove
sono entrati
nell'Orchestra della
Fenice, Borciani è
militare prima a
Verona poi a
Pescara, da dove
dopo l'8 settembre
del 1943 riesce a
tornare a Reggio.
Qui si nasconde in
casa e riprende a
studiare i Quartetti
di Mozart e
Beethoven con il
padre come secondo
violino e il
fratello Guido
Alberto al
pianoforte per le
parti della viola e
del violoncello. «Finché
a un certo punto
- racconterà
quest'ultimo - decidiamo
di entrare nella
Resistenza e un
giorno una
ragazza-staffetta
dopo un lungo giro
ci porta a Quara,
sugli Appenini del
reggiano, dove
sono di stanza la
brigata cristiana
Santa Barbara e
Giuseppe Dossetti,
che lo prende in
simpatia: prima lo
fa entrare nella
commissione
giustizia, quindi
lo nomina
segretario
provinciale del
CLN. A liberazione
avvenuta Dossetti
pensa a lui
addirittura come
questore di
Reggio, ma Paolo
non ha mai
abbandonato l'idea
del Quartetto e
appena può si
mette alla ricerca
degli altri. A
cominciare dalla
Pegreffl che è in
campagna a pochi
chilometri di
distanza; poi mi
manda a Venezia
per recuperare
Rossi e Forzanti,
che non cipensano
un attimo e
vengono con me a
Reggio, dove li
aspettano gli
altri due
lasciandosi alle
spalle un presente
sicuro per un
futuro pieno di
incognite».
In casa Borciani i
quattro passano
giornate intere a
studiare, dalle nove
alle tredici e dalle
quindici sino a
sera; è uno studio
meticoloso, severo,
contrassegnato non
di rado da liti
anche feroci
sull'esecuzione di
una frase, uno
staccato, un
crescendo. Ma poi
tutto si ricompone
nel nome della
musica. Per portare
a casa un po' di
soldi formano
un'orchestra di una
trentina di
musicisti con i
quali su camion
militari scoperti
"battono" tutta la
provincia:
Guastalla,
Gualtieri,
Castelnuovo Sotto,
Castelnuovo Monte.
La presenza di un
paio di cantanti
consente di
allestire programmi
molto vari, come
questo: nella prima
parte, ouverture
delle Nozze di
Figaro e de L'Italiana
in Algeri,
arie da Cavalleria
rusticana e
da L'amico
Fritz, Mattinata
di Leoncavallo;
nella seconda pagine
orchestrali di
Catalani, Schubert,
Verdi, arie di
Arditi e Donizetti,
un duetto da Bohème
e in chiusura Il
bel Danubio blu
di Strauss, spesso
riproposto come bis.
Intanto anche nella
vicina Carpi, come
in tutto il Paese,
c'è una voglia
irresistibile di
riprendersi in mano
la propria vita; e
così, mentre
l'amministrazione
comunale riapre già
a giugno il Teatro
cittadino (con Il
barbiere di
Siviglia),
contemporaneamente
un gruppo di
appassionati di
musica da camera
fonda la Società
degli Amici della
Musica. Per il
concerto inaugurale
una socia, pianista,
si ricorda di avere
sentito un paio di
anni prima a Siena
quattro giovani
musicisti che
l'avevano colpita e
riesce a
contattarli; nel
frattempo, questi si
sono dati il nome di
Nuovo Quartetto
Italiano, per
distinguersi dal
Quartetto Italiano
di Remy Principe
ancora attivo,
denominazione che
loro acquisiranno
qualche anno dopo.
il concerto, fissato
per il 12 novembre
1945 nel Castello
comunale di Carpi,
segna il debutto
ufficiale della
formazione con
questo programma: Sarabanda,
Giga e Badinerie
di Casella, Quartetto
di Debussy, Concertino
di Stravinskij
(pagine queste
ultime sconosciute
in Italia), Quartetto
op. 59 n. 1 di
Beethoven. Come bis
una Gavotta
di Leonardo Vinci.
La critica è unanime
nel parlare di «perfetta
fusione e
impeccabile
maestria»,
due rilievi che
d'ora in poi, sia
pure con parole
diverse,
contrassegneranno
tutta la
straordinaria
avventura artistica
del Quartetto in un
terreno dominato
sino ad allora da
formazioni straniere
Rosé, Capet, Léner,
Budapest, Busch - a
parte forse il
Quartetto
Fiorentino, attivo
per altro nel
lontano secondo
Ottocento e per di
più guidato da un
primo violino
tedesco (Jean
Becker). La sera
dopo Carpi, il
programma è ripetuto
con lo stesso
successo nella Sala
della Società del
Casino di Reggio
Emilia, dove un
Romolo Valli alle
prime armi ne sta
guidando la
rinascita culturale
con la proiezione di
film di particolare
pregio come Lampi
sul Messico
di Sergej
Eisenstein, sulla
scia di quanto
stanno facendo a
Parma Cesare
Zavattini e Attilio
Bertolucci; nello
stesso tempo legge
in pubblico testi
teatrali, a
cominciare dalla
Piccola città di
Torton Wilder.
I quattro si sentono
ormai pronti per il
debutto in una
grande città e così
una notte di
dicembre del '45
salgono su un vagone
postale diretti a
Milano, dove
arrivano la mattina
presto del giorno
dopo e sono ricevuti
da Ada Finzi, da
loro contattata
telefonicamente e
destinata a
diventare la più
importante agente
italiana.
L'audizione presso
la Camerata Musicale
ha un esito positivo
e il pomeriggio del
13 dicembre il Nuovo
Quartetto Italiano
si esibisce per la
prima volta lontano
da casa, in una
freddissima sala del
Castello Sforzesco,
sul quale i segni
della guerra sono
evidenti, anche se
non così devastanti
come quelli lasciati
sulla Scala,
centrata in pieno da
una bomba nella
notte tra il 15 e il
16 agosto dei 1943.
Quello stesso giorno
di dicembre, alle
20,30, s'inaugura la
stagione scaligera
1945-1946 per
l'ultima volta
ospitata al Teatro
Lirico (il teatro
del Piermarini
riaprirà
ufficialmente l'11
maggio dell'anno
successivo con un
memorabile concerto
diretto da
Toscanini, per
l'occasione
rientrato dagli
U.S.A.); l'opera
prescelta è Francesca
da Rimini
diretta da Antonio
Guarnieri. Ma
l'evento non
impedisce a Franco
Abbiati di tessere
gli elogi del Nuovo
Quartetto sull'unico
foglio del Corriere
d'Informazione
- il Corriere
della Sera
era stato chiuso per
epurazione -
scrivendo di «tecnica
pulitissima,
intonazione
sicura, ottimo
grado di fusione
[ ... ] al
servizio di un
nobile
temperamento».
L'esito artistico è
tale che la sera
successiva il
concerto è ripetuto
in una casa privata
milanese alla
presenza di ospiti
illustri quali
Massimo Bontempelli,
Riccardo Bacchelli,
Arthur Honegger; e
c'è anche Giulio
Confalonieri,
presente anche al
concerto al
Castello, che il 1°
'gennaio 1946 su Oggi
firma un lungo e
poetico articolo nel
quale profetizza ai
«quattro ragazzi
una giusta gloria».
Alla consacrazione
locale segue quella
nazionale con la
vittoria al II
concorso
dell'Accademia di S.
Cecilia, bandito in
pieno referendum
istituzionale
Monarchia-Repubblica;
a sancirla è una
giuria formata, tra
gli altri, da Franco
Ferrara, Goffredo
Petrassi e Alfredo
Casella. E' questo
il primo degli unici
due concorsi ai
quali il Nuovo
Quartetto
parteciperà;
l'altro, pochi mesi
dopo, è a Ginevra,
dove nel 1939 aveva
trionfato il
diciannovenne Arturo
Benedetti
Míchelangeli. Sino
all'ultimo è un
testa a testa con
gli ungheresi del
Quartetto Végh, ma
la notte precedente
la finale Forzanti
sta male e la
formazione italiana
è costretta al
ritiro. Tuttavia,
quell'anno riserva
grandi
soddisfazioni: le
prime scritture
all'estero
(Svizzera) in
aggiunta a quelle
italiane sempre più
numerose e l'esordio
in campo
discografico con la
Durium-Telefunken in
formato 78 giri, con
l'unica
registrazione di
Forzanti come viola
(Debussy e Vinci).
Poco dopo, infatti,
questi lascia il
Quartetto per
tentare la carriera
di Direttore
d'orchestra in
Argentina; subito
contattato a
Firenze, dove suona
nell'Orchestra del
Teatro Comunale,
Farulli ne prende il
posto, dietro un
leggio al quale solo
le circostanze
belliche avevano
impedito di sedersi
sin dai tempi di
Siena.
Per due mesi Farulli
è sottoposto a un
durissimo training
da parte degli altri
tre, che danno il
via libera
all'esordio della
nuova, e definitiva,
formazione solo l'8
febbraio 1947, a
Mantova, con un
programma per
l'occasione
"alleggerito": l'op.
59 n. 3 di
Beethoven, l'op. 64
n. 6 di Haydn e l'Oraciòn
del Torero di
Turina.
L'"addestramento"
comprende
naturalmente anche
la memorizzazione,
resa più ardua dal
costante ampliamento
del repertorio, nel
quale entrano, fra
gli altri, Schumann
(op. 41 n. 1) e
Mozart (K. 465)
ecc.. A proposito di
quest'ultimo, dirà
un giorno Borciani:
«Per eseguire
bene Beethoven,
Schubert, Brahms,
bisogna essere
musicisti
sensibili,
intelligenti,
colti. Per
eseguire Mozart
bisogna essere
soprattutto
musicisti».
Ma ci vuole anche la
«giovanile
baldanza» - e
l'incoscienza - di
cui parla Guido
Alberto Borciani per
affrontare così
presto partiture
come l'op. 130 di
Beethoven, eseguita
per la prima volta
nel 1947 nientemeno
che nella mitica
Mozart Saal della
Wiener
Konzerthaus-Gesellchaft,
o il Quintetto K.
581 di Mozart
presentato poco dopo
con il clarinettista
De Bavier alle
Engadiner
Konzertwochen in una
delle rare
escursioni del
complesso fuori dal
repertorio
quartettistico.
Il biennio 1946-1947
occupa dunque un
posto importante,
forse decisivo,
nella storia del
Nuovo Quartetto,
chiamato con
crescente frequenza
a esibirsi sia in
Italia che -
soprattutto -
all'estero: 58
concerti nel 1947,
63 nel 1948, 105 nel
1949, uno standard
quest'ultimo
destinato a restare
di fatto uguale
almeno per un paio
di decenni prima che
la stanchezza,
fisica e mentale
cominci ad
affiorare. Ma tanto
impegno non
impedisce esperienze
particolari, come la
partecipazione nel
1947 al Festival di
Musica Contemporanea
di Venezia con un
programma tutto
novecentesco (Bloch,
Malipiero, Milhaud,
Villa Lobos) o
l'anno dopo un
recital mozartiano
di Borciani con
Clara Haskil ad
Aix-En-Provence. Ma
di tutte le
esperienze a latere
quella destinata a
conferire al Nuovo
Quartetto una
definitiva e
indimenticabile
definizione
interpretatíva
avviene nell'agosto
del 1951 con
l'incontro a
Salisburgo con
Wilhelm Furtwängler
impegnato a dirigere
Otello e
desideroso di
sentire questi
quattro giovani
italiani dei quali
si dice un gran bene
nel Quartetto
dello stesso Verdi;
al termine del
concerto li invita
nel suo albergo per
trascorrere una
serata musicale nel
corso della quale
esegue insieme a
loro, e per due
volte, il Quintetto
di Brahms tenendo
per sé la parte del
pianoforte. Nel
contempo, spalanca
dinanzi agli occhi
del Nuovo Quartetto
un altro mondo
musicale ed
esecutivo, lontano
da quello nel quale
era vissuto sino ad
allora, che si
reggeva sulla regola
toscaniniana della
scansione precisa
del tempo. Il
direttore tedesco ha
un altro credo, che
loro da quel momento
faranno proprio e
riassumibile
nell'espressione
"libertà nella
battuta": in questo
modo, dirà Borcíani,
il ritmo è «sempre
scandito con i
battiti del cuore
di un cuore sano,
e non col
metronomo»
(in G. A. Borciani,
op. cit., p. 27).
Nel 1977 la NASA
lancerà oltre il
sistema solare la
navicella Voyager
con a bordo un
Golden Record sul
quale saranno incise
una ventina di
musiche provenienti
da tutto il mondo:
così, se tra 40.000
anni ci sarà un
impatto con una
stella abitata da
un'altra civiltà
quei brani saranno
testimonianze sonore
dell'ingegno
dell'Uomo. Tra di
essi c'è la Cavatina
dell'op. 130 di
Beethoven
nell'esecuzione del
Quartetto Italiano.
Ettore
Napoli
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