La Decima Sinfonia
Gesualdo Nicastro





GUSTAV MAHLER ...il mio tempo verrà

Analisi della Decima Sinfonia secondo Gesualdo NICASTRO


Il 16 dicembre del 1909 Mahler presentò per la prima volta al pubblico di New York la sua Prima Sinfonia ottenendone un assai modesto riscontro. La situazione, del resto, s'era andata facendo sempre più aspra per lui negli States: invidie, pettegolezzi, rancori, venivano fomentati giorno dopo giorno dalle persone più ostili dell'entourage e il rinomato critico Krehbiel non perdeva un'occasione che fosse una per soffiare sul fuoco, denunciando sulla «Tribune» ogni pretesa «eresia» del Mahler interprete (erano, in ispecie, i raddoppi orchestrali adottati nell'esecuzione delle sinfonie beethoveniane a scandalizzare quel non affettuoso Beckmesser e talune componenti del Ladies Committee della Filarmonica). Il compositore si adeguava ormai con sempre più sprezzante rassegnazione a questo stato di cose; «la mia orchestra è tipicamente americana - avrebbe scritto proprio in quel dicembre a Bruno Walter - senza talento e flemmatica. Il pubblico qui è invece affascinante e, fatte le debite proporzioni, più decente che a Vienna. Quanto a Monsieurs les Supérieurs (i critici), essi sono come dappertutto. Io non ne leggo alcuno, ma talora me ne faccio riferire. Vi suggerisco di fare altrettanto: al secondo livello le cose hanno sempre un'aria tanto meno aggressiva».
La salute, d'altra parte, non contribuiva ad aiutarlo: una condizione di nevrosi si aggiunse al già precario stato fisico e forse fu nei primi mesi del 1910 che cominciò a prender corpo in Mahler l'idea di un approccio a Freud, una volta tornati in Europa. Frattanto quell'arco di tempo trascorse fra beghe e scarse gratificazioni, una delle rare parendo il soggiorno a New York di Ferruccio Busoni, con il quale Mahler lavorò a un'esecuzione del Quinto Concerto di Beethoven e a cui fu legato da forte stima. Nel mese di aprile la coppia Mahler fece ritomo in Europa; a Parigi, auspici i buoni uffici di un altro musicista italiano di sicura devozione, Alfredo Casella, stava allestendosi la
«prima» nazionale della Seconda Sinfonia, che ebbe il battesimo il 17 del mese al Théâtre du Châtelet, preceduta da un'esecuzione pianistica privata presso lo stesso Casella. Il consenso del pubblico parve inequivoco; non altrettanto quello dei tre illustri colleghi locali, Debussy, Dukas e Pierné, i quali erano in sala: furono visti abbandonare il campo a metà del secondo movimento. La reazione, ove mal garbo e mancanza di sintonia si davano la mano a miglior gloria dell'abisso fra due culture e due modi d'intender l'evoluzione della musica, si concretò in dichiarazioni facilmente spiegabili per una sensibilità quale la debussiana: quella musica «slava»› e dal vago «tanfo Schubertiano»› era «la prova dell'inutilità del genere sinfonia» dopo Beethoven. E ancora: «Il gusto francese non consentirà mai con questi giganti pneumatici a nessun altro onore eletti che a servir la causa pubblicitaria di Bibendum...».
A parte ciò, il tempo della musica di Mahler non era ancora venuto in nessun angolo del mondo, fatta salva l'episodica solidarietà degli illuminati; e non pochi anni sarebbero dovuti passare prima che essa trascorresse dalla stagione dell'inattualità a quella della voga. Due concerti a Roma (il secondo dei quali annullato per la esigua affidabilità dell'orchestra) impegnarono il compositore tra la fine di aprile e gli avvii di maggio, e si trattò dell'ultimo suo contatto con la capitale italiana; dopodiché i Mahler colsero l'occasione per una fugace parentesi viennese e si recarono a Breitenstein, sul Semmering, a sud della città, per acquistare un appezzamento di terra su cui edificare una villetta; indi fecero tappa, come di consueto, a Toblach e ivi Gustav cominciò a lavorare alla stesura della Decima, in un costante incrudirsi del già deficitario stato di salute.
Non è affatto da escludere che l'ormai tormentato rapporto con Alma influisse a determinare quel peggioramento: l'ancor giovane signora Mahler s'era rifugiata in quel di Tobeldad, presso Graz, ufficialmente per curare i nervi ma più verosimilmente per far chiarezza con se stessa; e fu a Tobeldad che ella conobbe un giovane architetto berlinese, Walter Gropius, e rimase scossa per l'assiduo corteggiamento di costui. Dopo la morte di Mahler, è storia nota, Alma avrebbe sposato il suo fervido spasimante nel 1915 avendone quella figlia Manon morta in tenera età e scolpita per sempre nella dedica del Concerto per violino di Alban Berg (
«alla memoria di un angelo»). All'epoca di quel primo incontro è arduo inferire se la passione di Gropius, reiteratamente espressa senza ritegni (in seguito persino in un biglietto postale maldestramente indirizzato a Mahler), venisse da lei ricambiata o restasse sul piano delle intenzioni represse; quel che è certo è che essa riuscì ad accrescere la tensione fra i due coniugi.
Fu dunque in tale emergenza che maturarono la composizione della nuova Sinfonia (il cui manoscritto risulta costellato di invocazioni deliranti ad Alma) e il proposito di dar uno sbocco purchessia alla incalzante nevrosi; cosciente di trovarsi a un bivio decisivo con se stesso, Mahler risolve, in piena estate, di consultare Sigmund Freud, a quel tempo in Olanda. E l'incontro avviene alla fine di agosto (26 o 27) a Leyda; si può ricostruirlo, fatta salva l'errata scansione delle date da parte di un Freud evidentemente non più assistito dalla memoria, attraverso una lettera che quest'ultimo avrebbe indirizzato il 4 gennaio 1935 a Theodor Reik: «Ho analizzato Mahler un pomeriggio nel 1912 (o nel 1913?) a Leyda. Se ben ricordo, in quel po' di tempo sono riuscito ad ottenere molto. La visita gli era apparsa necessaria perché sua moglie a quel tempo si ribellava al fatto ch”egli distorcesse da lei la propria libido. Sondammo più a fondo con interesse la storia della sua vita e scoprimmo le sue personali convinzioni nei confronti dell'amore, specialmente il suo complesso della Santa Maria [...] Nessun lampo cadde allora sulla facciata sintomatica della sua nevrosi ossessiva. Era come scavare un piccolo buco in una misteriosa costruzione
».
In più dettagliati termini, Freud aveva diagnosticato a Mahler che un doppio complesso gravava su di lui e sulla moglie: la cosiddetta Mutter-Fixierung, o complesso della madre, e quello edipico, per cui Alma cercava d'istinto in Gustav il padre troppo presto perduto. Nulla d'irrimediabile, se i due ostacoli potevano esser rimossi; e il giudizio del padre della psicoanalisi costituì, comunque, un motivo di distensione per il musicista, sempre più deciso a ripagare Alma delle attenzioni di cui l'aveva defraudata in passato, probabilmente per eccesso di egocentrismo: le dedicò l'Ottava Sinfonia, che era stata presentata trionfalmente a Monaco, s'è riferito di già, il 12 settembre di quell'anno; e riscoprì inusuale interesse per taluni dei Lieder che la giovane moglie aveva scritto in anni anteriori, e che avevano subito per lungo tempo la sorte di una indifferenza non meno che gelida, proponendone la pubblicazione presso la Universal di Vienna.
Durante gli ultimi mesi del 1910 fu proseguito il lavoro alla Decima e nella seconda metà di ottobre i Mahler si imbarcarono ancora alla volta dell'America, ove Gustav era atteso dagli impegni della nuova stagione. Se l'avvio parve dischiudere un orizzonte di riaffermata serenità (Mahler diresse il suo primo concerto il 1° e il 4 novembre, e il 17 germaio 1911 portò all'attenzione del pubblico la sua Quarta, ultima delle proprie Sinfonie cui il fato gli commise di soprintendere dal podio), presto la crudezza della realtà riprese il sopravvento sotto forma di un «caso Johner
»: era, costui, un orchestrale della Philharmonic Society che il musicista aveva eletto a suo uomo di fiducia ma che, per i detrattori (ormai assurti a folla), s'era fatta nomea di spia già che pesava su di lui il sospetto di aver approvato una sorta di lista di proscrizione degli «infedeli» alla politica artistica del direttore e di averla offerta al medesimo. E quando Johner venne finalmente còlto in fallo di condotta antilavorativa e proposto per il licenziamento, Mahler si impuntò a difendere un'altra delle sue cause perse: era ormai a tutti chiaro che non l'avrebbe spuntata, essendosi il suo rapporto con il Comitato, con la stampa e con il pubblico stesso dei concerti logorato sino a una soglia di non-ritorno.
Il 21 febbraio Mahler diresse alla Carnegie Hall l'ultimo concerto della sua vita, offrendo a una sala semivuota un programma curiosamente «italiano
» per i suoi tre quarti, fra cui la Berceuse élégiaque di Busoni, Toscanini presente; e l'indomani, costretto a letto dalla febbre tonsillare che lo aveva riaggredito fin dai giorni precedenti il concerto, ebbe dal dottor Fraenkel, convocato d'urgenza, l'atroce e definitivo vaticinio: un'infezione da streptococco viridans aveva favorito l'acutizzarsi della endocardite e del vizio valvolare, ultimo atto di una tragedia prossima a consumarsi. Fu disposto il trasporto via nave in Europa per tentare la via di un consulto presso batteriologi del luogo, ivi compreso il famoso Chantemesse di Parigi; partito l'8 aprile, Gustav, assistito da Alma e da Ferruccio Busoni, arrivò nella capitale francese e ivi venne ricoverato il giorno 21 nella clinica Chantemesse, trascorrendovi, fra penosi alti e bassi, una ventina di giorni. Il 12 maggio, dietro suggerimento di un altro insigne clinico, il professor Chvostek, fu trasferito, su una lettiga allestita sul treno, nella clinica Loew di Vienna, ove l'intero Gotha intellettuale austriaco si recò a visitarlo; ma la sera del 18 maggio, attorno alle 23,00, una complicazione polmonare ne vinse in modo definitivo le forze. Pare che la sua ultima parola sia stata «Mozartl!...», storpiatura dialettale del nome di un autore fra i suoi più amati. Alla fine di una cerimonia funebre di grande sobrietà la salma di Mahler venne tumulata nel cimitero viennese di Grinzing, nella tomba disegnata per lui dall'amico Josef Hoffmann, ove tuttora riposa.
Se i necrologi americani si improntarono a una deferenza generica, non priva di
«distinguo», e comunque non lasciarono trapelare nel benché minimo la coscienza di una perdita decisiva per la musica, ben altri parvero gli omaggi della «sua» Europa, amata e sprezzata: essi si riassunsero nel gesto di Bruno Walter, il quale diresse a Monaco, il 20 novembre, la «prima» di Das Lied von der Erde e a Vienna, il 26 giugno 1912, quella della Nona.
Com'è universalmente noto, della Decima Sinfonia Mahler riuscì a portar a termine in partitura soltanto il vasto Andante-Adagio in fa diesis maggiore, che venne edito separatamente dal resto degli abbozzi e che, di norma, trova esecuzione per suo conto, costituendo anzi uno dei più avvincenti capitoli dell'avventura sinfonica mahleriana. Controversa è stata la vicenda di questa «incompiuta
», sino al traguardo della ricostruzione propostane dallo studioso inglese Deryck Cooke negli anni Sessanta, culminata nella prima esecuzione del 13 agosto 1964 agli «H. Wood Promenade Concerts» della BBC, con Berthold Goldschmidt alla guida della London Symphony. Senza addentrarci in una querelle che non compete a questa sede e che ha visto schierarsi con pari energia e argomentazioni le due fazioni dei fautori e dei contrari al lavoro di Cooke, basterà la semplice esposizione dello status del materiale lasciato da Mahler a convincerci circa l'opportunità che una guida alle Sinfonie del compositore prenda in considerazione il solo frammento che ebbe in sorte di venire stilato dalla mano di Mahler, non potendosi prevedere cosa un autore di siffatta tormentosità compositiva potesse arrecare di nuovo e diverso, in un punto cruciale della sua storia artistica, all'abbozzo già predisposto se gli fosse stato concesso di attuarne il compimento.
Si lascerà, dunque, agli opposti schieramenti di decidere se la Decima «compiuta» sia una ragionevole scelta in pro dell'esistente e dell'ipotizzabile o, come altri ha detto, «un quinto di musica e quattro quinti di musicologia
» (Duse); e ci si accomoderà entro i panni, non davvero stretti, di questo torso illustre che è l'Andante-Adagio, ultimo verbo pronunciato per esteso da un musicista alle soglie della propria pacificazione. Non senza prima aver fatto cenno, però, di quel materiale, come esso ci si prospetta a un esame dell”edizione in facsimile dei manoscritti editi nel 1924 da Zsolnay di Vienna:
a) Adagio (indicato con «I») interamente strumentato, in fa dies. magg.;
b) Scherzo in fa diesis minore (indicato con «II»), privo di indicazioni strumentali, segnato come «Scherzo-Finale»;
c) Purgatorio (oder Inferno) in si bemolle minore (indicato con «III»), 170 battute di cui le prime 23 e alcune più oltre in partitura completa;
d) Scherzo in tonalità che evolve da mi a re minore (indicato confusamente con «IV»), recante titoli e indicazioni vari e sovente cancellati, tutto in abbozzo su quattro pentagrammi;
e) Finale in re minore, che evolve in fa diesis (indicato con «V»), senza alcuna prescrizione strumentale.
Va peraltro aggiunto per completezza che, se nessuna unanimità di giudizio s'è data sulla ricostruzione di Cooke (che, infatti, non ha corso frequente in repertorio e in discografia), ben diversa affidabilità si riconobbe alla riunione in unico frammento che Emst Krenek fece nello stesso 1924 dei due movimenti completati in abbozzo, Adagio e Purgatorio, preparandoli per l'esecuzione viennese del 14 ottobre sotto la guida di Franz Schalk (ne fu edita una partitura tascabile nel 1951). Ma né Arnold Schönberg né Dmitrij Sostakoviš accettarono, nel 1949, l'invito rivolto da Alma di ricostruire l'intera Sinfonia.
La circostanza che il completamento in partitura con indicazioni strumentali riguardi il solo Andante-Adagio in fa diesis maggiore induce, comunque, a occuparsi qui unicamente di tal movimento, che, secondo convincimento generale, avrebbe dovuto costituire il tempo d'apertura della Sinfonia (l'ipotesi, curiosamente, è contraddetta dal solo Ugo Duse, il quale vi ravvisa il secondo nella sua monografia). Introduce il frammento un passo a recitativo delle sole viole, senza sostegno, di 16 battute, grigia figurazione cromatica atta a definire d'abord il clima di desolata elegia entro cui si giuocherà la partita di questo epilogo involontario. È stato più volte notato come lo schema del movimento sia fondato sul principio della variazione perpetua, al modo degli ultimi Quartetti beethoveniani; e già da battuta 17, allorché, sul solitario canto delle viole plana l'austero e dilatato respiro dell'Adagio (att. 1), ci rendiamo conto di una struttura sinfonica che si sviluppa piuttosto per addizioni che per elaborazioni del materiale tematico, di modo che ciascun motivo sembra concrescere dall'altro per modifiche che si affermano quasi battuta per battuta. La logica di tal principio si fa ancor più cogente per la consapevole esplorazione dei confini tonali (sino a un accordo di dodici suoni verificabile in un episodio di massima tensione agli att. 26 e 28 [pp. 33, 37] e per il grande potere fonico che viene generato non più mediante il volume bensì con l'ausilio degli effetti strumentali individuali, come in una scrittura cameristica.
Perizia e desolazione vanno di pari passo a delineare una ipotesi di epicedio, quasi che le ombre di una tragica dissoluzione dei contorni reali si agiti entro il vecchio modello di forma-sonata; si tratta, senza dubbio, di una delle composizioni di Mahler più vicine al concetto di «musica dell”avvenire
», e non va sottaciuta una acuta osservazione di Marc Vignal, secondo cui l'eccezionalità di questa pagina risiede nel fatto che essa, più che le altre anteriori, si situa in rapporto di affinità stretta con quelle dei contemporanei, e non tanto per questioni di maggior originalità: laddove «quelle degli anni Ottanta [...] lo furono perché in larga misura fondate su un materiale “primitivo”, la cui scelta, in quell'epoca di rispettabilità, fece scandalo [...]: Mahler, non pago di utilizzare omofonia e diatonismo a fini inediti, “osava” fare appello al “triviale” e a “rumori” parassitari, contaminare con la causticità e l'ironia sue proprie, un popolare privato ormai della sua originaria innocenza e della sua buona lega».
Dall'esaurirsi dell'a solo iniziale delle viole, pertanto, sorge, quasi per lo scaricarsi di un acme dolorosamente assaporato, la maestosa fungaia di allitterazioni che è tipica di ogni sintassi in restauro: sigle motiviche proliferano per deformazione contrastandosi l'un l'altra mediante il principio di variante, sin che esso non si estende, va ripetuto, ai frammenti e alle battute singole. Inusitata pare, nel corso dell'Adagio vero e proprio, l'ampiezza degli spazi intervallari, e singolare la facoltà, genialmente esibita già a partire dalla Settima, di ottenere dai singoli strumenti effetti di virtuosismo dimenticati dal tempo del barocco: trattasi, di norma, di suoni in posizione acutissima sino allo stridore, cui è demandata funzione di tragos: vedi il la bemolle di flauti e ottavini a batt. 194 (att. 26) e il lacerante grido della tromba che vi si accompagna, vero Höhepunkt dell'intero movimento. Ma non si può sottacere un ulteriore, e conclusivo, aspetto di questo Adagio che è quasi contraddittorio con quanto in precedenza asserito: quello della sua mera bellezza. Deve ammettersi che ci troviamo di fronte a memorie nobili e decadute, con l'avvertenza che se ne celebrano qui, per l'ultimissima volta, le ragioni in modo lecito. Fuori di esse l'estenuante malia delle rimembranze si sarebbe tenuta discosta con prudenza dalle contemplazioni letali di un Platen, per approdare a lidi assai più caserecci: dal sinfonismo novecentesco dei robivecchi giù giù fino alle oneste colonne sonore dei film sui Faraoni.
L'Andante-Adagio della Decima conobbe il suo varo pubblico, come s'è detto, il 14 ottobre 1924 a Vienna, insieme al movimento detto Purgatorio, nella edizione critica curata da Ernst Křenek, con Franz Schalk alla testa dei Wiener Philharmoniker. Una prima versione dei materiali ricostruiti da Deryck Cooke, incompleta in quanto ai due Scherzi, venne eseguita il 19 dicembre 1960 alla BBC di Londra con l'Orchestra Philharmonia diretta da Berthold Goldschmidt, mentre tre anni e mezzo più tardi, il 13 agosto 1964, il medesimo direttore, stavolta a capo della London Symphony Orchestra, avrebbe presentato alla Royal Albert Hall la versione definitiva e completa del lavoro di Cooke. Si dovrà infine ricordare che un gruppo di fogli manoscritti della Sinfonia, non contenuti nel facsimile del '24, sono in possesso del musicologo e biografo mahleriano Henry-Louis La Grange.




Decima Sinfonia: Andante-Adagio























Gesualdo NICASTRO (tratto da "Le sinfonie di MAHLER", Mursia - © 1998)