Tra i tanti lavori e
frammenti giovanili di Gustav Mahler, Das klagende
Lied fu l'unico a sopravvivere alla sua inesorabile
autocritica, l'unico che egli stimasse degno di non essere
distrutto. Ancora nel 1896, in una lettera all’amico Max
Marschalk, il compositore considerava questa cantata per
voci soliste, coro e orchestra come il suo “opus I”. Il
testo era opera dello stesso Mahler, che si era tra
l'altro ispirato ad una fiaba dello scrittore romantico
Ludwig Bechstein (1801-1860) ed era stato già compiuto nel
marzo 1878, ancor prima che il compositore terminasse gli
studi al Conservatorio di Vienna. La musica,
originariamente articolata in tre Parti: Waldmärchen,
Der Spielmann, Hochzeitsstück, fu ultimata
nell’autunno del 1880, dopo oltre un anno di lavoro. La
presentò l'anno seguente al concorso per il Premio
Beethoven. Mahler non ottenne riconoscimenti. La giuria
del concorso, della quale facevano parte anche Johannes
Brahms e Hans Richter, non poteva non accogliere con
diffidenza un lavoro come Das klagende Lied dove
erano fin troppo scoperte ascendenze wagneriane. Dopo
alcune revisioni, dove Mahler oltre a ritoccare
l'istrumentazione e a ridurre il numero delle voci soliste
eliminò anche l'intera Parte I (Waldmärchen), Das
klagende Lied fu dato alle stampe nel 1899 e quindi
eseguito per la prima volta a Vienna nel 1901 sotto la
direzone dell'autore.
Le prime esecuzionl (radiofoniche) di Waldmärchen
risalgono invece al 1934, rnentre la sua pubblicazione
avvenne soltanto nel 1973. Questa Parte è incentrata sul
fratricidio compiuto da un “cavaliere malvagio” per
conquistare la mano d’una “regina orgogliosa”. Nel
preludio orchestrale sono introdotti, secondo un modulo
all’apparenza wagneriano, numerosi motivi che - legati
all’evocazione di figure (i due fratelli rivali, la
regina), di situazioni drammatiche, di scenari interiori o
di natura - nell’impegno costruttivo dell’intera cantata
si riveleranno d’importanza fondamentale. Ma queste idee
musicali, fin dal loro primo apparire, sembrano immesse in
un campo magnetico straniante, quasi sottoposte ad un
gioco di specchi deformanti. Ciò si avverte già nelle
battute introduttive del preludio: dopo il duplice segnale
dei corni che emerge sul fosco rullo di timpani, risuona
(in re maggiore), sempre affidato ai corni, uno dei motivi
piu significativi e ricorrenti del Klagendes Lied.
Questo motivo con reminiscenze di Weber, che parrebbe
evocare una remota dimensione epica in uno sconfinato
scenario di natura, si dispiega su un terreno tonale
estraneo (triade di fa diesis minore), quasi uno sfondo di
allucinazione che ne altera irrimediabilmente la
potenziale, spontanea gestualità eroica. Questa cellula
tematica è subito riproposta un semitono sotto (con
l'urto, o meglio: dissociazione bitonale re bemolle
maggiore / fa minore), perdendosi poi in un breve, lugubre
inciso cromatico che finisce per disperdere ulteriormente
ogni suo virtuale spunto di “positività”.
Un esempio analogo di questa ottica deformante, che segna
e lacera in profondità fin dai suoi primissimi accenni
ogni assunto espressivo, è offerto dal breve, lento motivo
costruito sui gradi della scala minore discendente e
ripetuto ogni volta su vari registri (dall'acuto al
grave). Tale motivo, che ricorre più volte in Waldmärchen,
come ritornello a conclusione delle prime cinque strofe, o
ancora là dove si staglia l’immagine del cavaliere pronto
a compiere il fralricidio - “Der Alte lacht...” (Il più
anziano ride...) - e nel verso finale, ed è poi riproposto
nelle altre due Parti - ad esempio alla fine della
cantata, sulle parole “Ach Leide!” (Ah, sventura!)
intonate dal soprano solista -, ha un indubbio colore
“arcaicizzante”, al pari di altri elementi strutturalmente
significativi della Parte I. Pensiamo soprattutto
all'adozione, nelle prime tre strofe e nell’ultima, di un
severo declamato sillabico per gli interventi del coro,
musicalmente ispirati ad austeri corali e
drammaturgicamente orientati, per la loro funzione di
commento, ai modelli dell’antichità classica. Ma al di là
di questa cifra “arcaicizzante”, che sembra collocare la
vicenda in uno spazio epico primigenio e al tempo stesso
sottolinea più che larvatamente le ragioni ancestrali
adombrate nella tematica del fratricidio, tale formula
melodica, di fissità esasperante, finisce per assumere
valenze traumatiche. Ciò si può cogliere soprattutto là
dove risuona in corrispondenza di immagini "positive",
come il "corpo leggiadro" della regina (I strofa) o il
"fiore" (IV strofa); o dove irrompe, in un misterioso
pianissimo e nella tonalità inattesa di fa minore, sulla
parola “Ruhe” (riposo), dopo che la V strofa sembrava
voler concludersi in un fiducioso do maggiore; infine
nell’epilogo di questa Parte I, alla parola “Weide”
(salice), dove il motivo, condotto lentamente dai tenori e
bassi del coro e dagli strumenti del registro grave,
dispiega tutta la sua sinistra potenzialità.
E questa atmosfera sinistra della conclusione graverà
sull’intera parte seguente, Der Spielmann, dove le
dolorose, incessanti interiezioni sulle parole “O Leide!
Weh!” (Oh sventura! Ahimè!) assumono funzione emblematica.
Ma rispetto all’ambientazione a tratti “operistica” di Waldmärchen,
lo scenario che qui si offre è radicalmente mutato. Già
nell’introduzione orchestrale si apre infatti un paesaggio
solitario segnato dalla desolazione: spezzoni motivici
impigliati in scarne orditure contrappuntistiche,
improvvise esplosioni dinamiche, cellule ritmiche
ripetitive, minacciosi interventi degli ottoni sulle note
del Dies irae. Il protagonista di questa Parte II,
il menestrello, è evocato in un tema di sapore
popolaresco, ma che già all’origine sembra privato di ogni
espansione e carica vitale. La breve sezione che segue
pare suggerire il vagare del menestrello nel bosco, e i
moduli linguistici ivi adottati (configurazione di motivi,
condotta di strumenti, equilibri nella scrittura
orcheslrale) rimandano inevitabilmente al wagneriano
“Mormorio della foresta”, inteso quale spunto tecnico:
questo di Mahler è infatti uno scenario privo di
suggestioni e di seduzioni.
E qui s’innesta il canto sommesso del contralto, che tra i
solisti avrà un ruolo predominante in questa Parte II.
Fissità di figure d’accompagnamento, uniformità di disegni
ritmici, staticità di linee melodiche conferiscono alle
prime strofe un andamento greve, con un’ulteriore
accentuazione della tetra tonalità dell'introduzione
orchestrale. Nelle ultime due strofe, incentrate sul
lamento dell’ucciso e del menestrello girovago, il
linguaggio si fa più mosso, l'inventiva motivica e la
qualità ritmica sembrano spezzare in parte le maglie di
staticità e uniformità delle strofe precedenti, anche in
concomitanza con la ripresa di spunti tematici tratti da Waldmärchen.
E questo passaggio ad una cifra emotiva più intensa, fino
alla culminazione esacerbata alla parola “Weh!” gridata
ripetutamente dal coro nell'ultima strofa, rende ancor più
lacerante quella morsa di angosciosa solitudine che
stringe l’intero brano.
Nella Parte III, Hochzeitsstück, è evocata la
festa nuziale con la duplice rivelazione del fratricidio,
da parte del menestrello e poi dello stesso cavaliere (ora
divenuto re) nel momento in cui accostano alle labbra il
flauto-osso per suonarlo. La ripresa di figure, scene,
situazioni delle Parti precedenti si riflette puntualmente
nella struttura musicale. Il quadro epico che si affaccia
nell’introduzione orchestrale e nella I strofa è definito
dal frenetico accavallarsi di frammenti motivici e ritmici
(di marca Wagneriana) e da un’abbagliante crudezza di
colori orchestrali. Nella II strofa questa dimensione,
scaduta sempre più a cornice o addiritlura a fondale
esteriore, è espressa piuttosto dall’orchestra posta in
lontananza (Fernorchester), mentre nella grande
orchestra e nelle voci sono registrati gli sviluppi più
profondi, “interiori” della vicenda drammatica.
Nell'impiego di quest'orchestra lontana, oltre all’intento
di dare una chiara organizzazione spaziale alla
costruzione sonora, viene dunque a riflettersi
emblematicamente l'antitesi di ambiti espressivi
eterogenei.
Il precipitare del dramma nelle strofe successive è
accompagnato dalla riproposizione di momenti e sezioni
cruciali delle Parti I e II. La musica che in Waldmärchen
aveva modellato le parole “Der Junge lächelt wie im Traum”
(Il più giovane sorride come in sogno), nel momento in cui
si compiva il fratricidio, è ora ripresa a partire dal
verso “Was ist der König so stumm und bleich?” (Perché è
così taciturno e pallido il re?) - è dunque la musica a
dare risposta a quest'interrogativo! E quindi alla
ripetuta, sempre più inquieta domanda "Was ist der
König...?", il materiale motivico e timbrico è dedotto
dalla Parte II, per di più inframmezzato dalle
interiezioni che l'avevano suggellata. Il mondo angoscioso
dello Spielmann incombe ora sulla scena e con
assoluta organicità si inserisce a questo punto la
riproposizione quasi letterale del lamento dell'"osso
cantante" ("Ach Spielmann...").
Nel momento culminante del dramma, alla veste timbrica più
tagliente della musica nuziale e alla più concitata
partecipazione del coro fa riscontro la linea tortuosa del
soprano, segnata da cromatismi e balzi di registro, che dà
voce al rinnovato lamento dell’ucciso, divenuto ora atto
di “accusa” contro il fraticida (il termine klagen
ha anche una sfumatura semantica in tal senso). E sotto il
segno d’uno stravolgimento quasi espressionistico è
condotto anche l'ultimo, tragico intervento del coro. La
cantata si chiude su uno scenario di devastazione: in
un’esangue scrittura contrappuntistica, all’ultimo barlume
del motivo epico dei corni - accennato dal tenore sulla
domanda senza più risposta “Was ist es wohl mit dem
Hochzeitsmahl?!” (Che ne è del banchetto nuziale?!) -
segue angosciosa e solenne l’esclamazione del soprano “Ach
Leide!” sullo sfondo delle sinistre note della scala
discendente.
Alla luce della fitta rete di rispondenze e correlazioni
strutturali tra le tre Parti del Klagendes Lied,
risultano difficilmente individuabili le ragioni per cui
Mahler volle eliminate Waldmärchen dal corpus
della cantata. Le argomentazioni plausibili sono di vario
genere, e di Waldmärchen coinvolgono anche
caratteristiche stilistico-formali: una certa diluizione
di linguaggio e ampiezza di dimensioni rispetto alle altre
Parti. Ma una piena comprensione del Klagendes Lied
non potrà mai prescindere dalla sua Parte iniziale, e solo
nell’articolazione ternaria originaria si potrà cogliere
in tutta la sua complessità di concezione e originalità di
linguaggio la prima grande prova del genio creativo di
Mahler.
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