Music & Arts - 1 CD - CD-1217 - (p) & (c) 2008

Roman VLAD (1919-2013)






Studi Dodecafonici (1943-1957) **

13' 31"
- 1. Drammatico-Allegretto 3' 27"

- 2. Largo 4' 06"

- 3. Variante figurata dello Studio I. Presto 3' 11"

- 4. Andantino 2' 47"





Variazioni intorno all'ultima Mazurka di Chopin (1954) **

14' 50"




Sognando il Sogno: variazioni su di una variazione (1972) **

16' 41"




Le ciel est vide (1952-1953) *

23' 23"




 
Carlo GRANTE, Pianoforte **
ORCHESTRA E CORO DELL'ACCADEMIA DI SANTA CECILIA, ROMA *


Giuseppe SINOPOLI
 






Luogo e data di registrazione
Auditorio Pio, Roma (Italia) - dicembre 1997

Registrazione: live / studio
studio (Grante) - live recording (Sinopoli)


Remastering
Matteo Costa

Prima Edizione LP
-

Prima Edizione CD
Music & Arts | CD-1217 | 1 CD - 68' 26" | (p) & (c) 2008 | DDD*/AAD**

Note
I riferimenti sono alla composizione "Le ciel est vide" diretta da Giuseppe Sinopoli.















ROMAN VLAD. Un compositore indipendente
“Vivo nella musica da quando ho memoria.”
Così dice di sé Roman Vlad, compositore di origine rumena, dal 1951 cittadino italiano, pianista appassionato divulgatore di opere altrui, critico musicale e, nel corso degli anni, presidente e direttore artistico delle piu prestigiose istituzioni musicali italiane (Maggio Musicalc Fiorentino, Teatro alla Scala, Festival Settembre musicadi Torino, Orchestra Sinfonica della RAI di Torino, Teatro dell’Opera di Roma, Festival di Ravello, Accademia Filarmonica Romana, etc.)
Nato a Cernauti, Bucovina, nel 1919, inizia a studiare nel Conservatorio della sua città, ma quasi subito il meto
do con cui veniva insegnata l`armonia gli fece lasciarc quella istituzione per proseguirc gli studi privatamente. A 10 anni aveva già tra le mani la Sonatina ad usum infantis di Busoni, poco dopo la Sonata op. l di Berg, i Klavierstücke op. 19 di Schönberg e tante altre composizioni assolutameute inusuali per un giovanissimo studente.
Dopo il diploma di pianoforte nel 1938 decise di cambiare insegnaute e scelse come maestro Alfredo
Casella, che aveva sentito suonare nella sua città natale, restandone eutusiasta. Si trasferì in Italia, entrò nella sua classe all’Accademia di Santa Cecilia e iniziò così la sua vita inusicale “italiana”.
La prima affermazionc importante di Vlad come compositore risale all'anno in cui Milloss fece la coreografia
del suo balletto La dama delle camelie del 1945. È un pezzo che fa tesoro dcll’esperienza della seconda scuola viennese, sebbene Vlad non si sia mai considerato un compositore dodecafonico.
Pur essendo stato invitato varie volte a Darmstadt, fin dalla fondazione, si rifiutò sempre di andarvi. "Loro
volevano rompere con tutto, ma io ho sempre creduto che non si possa tagliarc di netto con la tradizione, piuttosto la si può rinnovare continuamente. Sapevo benissimo che questo mio rifiuto a partecipare avrebbe pregiudicato la mia carriera di compositore, anche perché non mi sono mai accodato neanche al partito contrario. In questo mi definirei tra le sedie. Alla fine comunque ho avuto la soddisfazione di vedere Boulez cambiare la sua posizione. E pensare che l’avevo conosciuto prima che diventasse Boulez, quaudo ancora andava a lavorare in bicicletta..."
Vlad si considera ben definito dal concetto schönberghiano di "pantonalità", come qualcosa di inclusivo e
non esclusivo, poiché non esiste una non-tonalità, piuttosto ci sono dei rapporti tonali diversi. Stravinskij ad eseinpio, chc è stato amico di Vlad, diceva di poter essere forse anti-tonale, cioè di riuscire a scrivere in modo da sospendere la tonalità, in un certo senso ad andarvi contro, senza abolirla.
Vlad si serve sempre di una piena libertà compositiva e non può essere definito un compositore dodecafoni
co ma, dovendo usare questo termine, per le sue opere si potrebbe parlare di una sorta di dodecafonia "svernata".
In questo comprende in pieno la posizione di Adorno contro la dodecafonia come schema. come sistema,
ritenendo che questa avrebbe acquistato la sua piena legittimità operativa nel momento in cui sarebbe stata assimilata in modo da diventare del tutto spontanea e non più proibitiva.
Vlad comunque da sempre ritiene che nella sua musica l’aspetto formale debba convergere con quello espressivo; non si sente credente ma estremamente religioso, con un gran bisogno di credere. Un verso che ama ricordare è “fuissem quasi non essem” (sono stato come se non ci fossi stato), sul quale ha composto una delle sue Elegie Bibliche.
Vlad afferma che quando si compone certe soluzioni diventano giuste soltanto se piacciono all’autore e potezialmente ad un ascoltatore ideale e non se seguono determinate regole. Citando Schönberg possiamo dire che un artista vero deve cercare la verità; questa si potrebbe definire invertendo una frase di Tommaso d’Aquino secondo cui "la verità è adeguamento del nostro intelletto a ciò che è fuori di noi". Per Vlad invece la verità non è che l'adeguarsi delle figure rnusicali al proprio dettato interiore.
I brani di Vlad del presente CD vengono eseguiti da due suoi importanti ed entusiastici interpreti e destinatari del suo impegno creativo. Mentre i lavori per pianoforte presenti in questo CD sono stati registrati da Carlo Grante in studio, l’esecuzione di Le ciel est vide ebbe luogo in occasione di un concerto dell’Orchestra e Coro dell’Accademia di Santa Cecilia all’Auditorio Pio di Roma, ultima volta in cui il grande direttore italiano Giuseppe Sinopoli diresse l'orchestra romana, assumendo così anche un singolare valore storico.
Doriana Attili

Le Cicl est vide
La Cantata per coro c orchestra “Le Ciel est vide”, composta nel 1952-1953, è formulata in doppia versione in modo da poter cssere eseguitu sia col testo tedesco tratto dall”`Erstes Blumenstück” di Jean Paul Richter, sia con i versi francesi desunti da un frammento del poema “Le Christ aux Oliviers” in cui Gérard de Nerval “imita liberamene” la prosa poetica di Jean Paul.
Il Blumenstück ("Pezzo floreale") di quest'ultimo, incluso nel secondo volume del suo Siebenkäs, ha il sottotitolo “Discorso del Cristo morto dall’edificio del mondo che Dio non c’è”. Si tratta di una terrificante visione di sogno in cui il defunto Cristo appare ai morti per annunciare loro che il cielo "è vuoto", che non c’è un eterno Padre, che gli uomini sono dunque assolutamente orfani, assolutamcnte derelitti e soli in un universe nel quale regna “il caso folle e dissennato” per cui l'ordine cosmico deve ripiombare nel caos, nel nulla. Jean Paul premette che “lo scopo di questo poema è la giustificazione della sua audacia”. Esso mira infatti a mostrare agli uomini l'atroce assurditià di una visione atea del mondo per renderli consapevoli dell’immensa benedizione della fede. E in calce egli annota: “Se una volta il mio cuore fosse cosi infelice e smorto, che in esso si distruggessero tutti i sentimenti che affermano l’esistenza di Dio, allora mi scuoterei con questo scritto - ed esso mi guarirebbe e mi ridarebbe il mio sentire”.
Gérard de Nerval colloca il “discorso di Cristo” immaginato dal Jean Paul nel momento in cui Cristo si sente abbandonato dal padre durante la tragica veglia sul Monte Oliveto. È questo il “momento di Giobbe” in Cristo, in momento più umano della sua vicenda terrena, in cui Egli condivide per una attimo il dramma fondamentale della condizione esistenziale dell’uomo definita dall’immanenza del dubbio che fa venir meno la fede alla cui necessità, tuttavia, l’uomo non potrà mai rinunciare. La Cantata si articola in tre tempi. Nel primo la dolorosa e vana invocazione di Dio si alterna ad allucinate visioni degli infiniti abissi dell’universo. Nel secondo tempo coro e orchestra si dispongono su due piani distinti: mentre le voci esprimono l'estrema disperazione dell’uomo il cui grido verso Dio resta senza risposta, gli strumenti svolgono un impassibile Canone perpetuo a dodici parti disposte in modo da ingenerare, in un incessante moto uniforme, accordi che conglobano sempre tutti i diversi dodici suoni. Le frizioni di queste note dissociano il tessuto sonoro, lo riducono ad un indifferenziato pulviscolo sonoro: la massima polimorfia strutturale si traduce così nell’assoluta amorfia, simbolo del “caos, ombra del nulla” di cui parla il testo. Al caotico perpetuum mobile del secondo tempo si contrappone l'immobile fissità da cui sembra nascere e in cui si dissolve l’ultimo tempo, voci e strumenti intonano qui il canto della solitudine umana in un universo dove, come dice Jean Paul, “l’uomo non è accanto che a se stesso”.
Nella sua intrinseca struttura musicale la Cantata si configura come una sola, immensa variazione di un roteante motivo di tre note, di cui tutte le possibili varianti si sommano in serie dodecafoniche sempre diverse, capovolgendo così quella legge della dodecafonia classica per cui ogni composizione musicale doveva essere dedotta da un’unica serie fondamentale.
Roman Vlad

*****
Nerval, frammento da "Le Christ aux oliviers"
"No, Dio non esiste!
Ho percorso gli spazi;
E il mio volo si è perso nelle loro galassie,
Fino a dove la vita le sue vene feconde
Espande in sabbie d’oro e argentei flutti:
Ovunque terra deserta lambita dalle onde,
E turbini confusi di oceani agitati...
Un vago soffio muove le sfere vagabonde,
Ma non esiste spirito in quelle immensità,
Cercai l'occhio di Dio, ma non vidi che un'orbita
Vasta nera profonda, e invasa dalla notte
Che ne irradia sul mondo e sempre più infittisce;
Immane arcobaleno circonda il buio pozzo,
Soglia del chaos antico di cui nulla è l'ombra,
Spirale che risucchia i mondi e le ore!
Immobile destino, muta sentinella,
Fredda necessità!... Caso che, avanzando
Trai morti mondi sotto eterna neve
Raggeli, grado a grado, e impallidisci il cosmo.
Sai tu ciò che fai, potenza originaria,
Degli spenti tuoi soli, che si urtan l’un l’altro..,
Saprai lu trasfondere un soffio immortale
Da un mondo che muore a un altro che rinasce?
Oh padre mio, sei tu che in me stesso io sento?
Hai potere di vincere e di vincer la morte,
Potevi tu soccombere sotto un estremo sforzo
Dell’angelo di tenebre che colpì l’anatema?
Poichè mi sento solo a piangere e soffrire
E se io muoio, ahimè, tutto deve morire."
La prima esecuzione di Le Ciel est vide ha avuto luogo a Torino nel 1954, sotto la direzione di Nino Sanzogno. In una recensione del 1956 ne “Le 4 Dauphins” (Aix-en-Provence, I printemps 1956, pp. 82-85) Giorgio De Maria scriveva:
"Nella sua Cantata, dove l'ipotesi di un mondo privo della trascendenza lo spinge ad esplorare dei mondi sonori di un accento tragico indescrivibile, il personaggio del presunto nihilista è probabilmente la creaziane più coraggiasa osata dalla musica postespressionista, paragonabile soltanto a quella del Sopravvissuto di Varsavia di Schoenberg. Si direbbe che in Vlad l'esperienza totale della negatività dell’esistenza, una volta compiuta, è proprio quella che gli ha permesso di affrrare, e in conseguenza di superare - le sue composizioni più recenti lo attestano - quello che Mann ha chiamato 'l'imminenza della sterilità che predispone al patto col Diavolo’."