Quando,
durante le prove con
l'Orchestra Giovanile
Italiana, parlavo
dell'universo di Schoenberg,
non volava una mosca:
impressionano la serietà, il
coinvolgimento, la
disciplina di questi
giovani. E soprattutto
quella grande sete di
informazioni culturali che
manca ai musicisti delle
orchestre italiane
"lobotomizzate" da una
formazione professionale
pronta ad amputare qualsiasi
curiosità non strettamente
musicale. La Scuola di
Fiesole di Farulli è una
clamorosa eccezione:
funziona come il più serio
tentativo possibile, in
Italia, di riassestamento
del "lobo offeso".
Giuseppe
Sinopoli
*****
La
difesa, la fiducia nell'unità
del pensiero è la forte
eredità artistica e
intellettuale consegnata da
Giuseppe Sinopoli. Rifiutare
la frantumazione del sapere,
trovare i cortocircuiti del
suo procedere, opporsi al
primato della tecnica come
conoscenza separata dal
pensare e dal farsi della
storia: merita riconoscenza
questo lascito di un direttore
d'orchestra impegnato a
interrogarsi sul senso,
sull'utilità della propria
professione. Vecchia
professione ormai, con i suoi
due secoli di storia, ma
ancora necessaria se rimane
capace di suscitare e
approfondire interrogativi e
nessi, rifiutando un ruolo
ovvio, soltanto mediatico e
ripetitivo, autoreferenziale.
I titoli raccolti in questo
disco sono stati diretti da
Sinopoli in alcuni dei
numerosi concerti tenuti con
l'Orchestra Giovanile
Italiana tra il 1994 e
il 1999. Il repertorio
proposto
prediligeva anche musiche che
non figurano nel pur ampio
catalogo delle incisioni
discografiche del maestro.
Le prove, le tournée
con i ragazzi della Giovanile
diventavano così un
laboratorio dove verificare
ipotesi e percorsi all'interno
del periodo di storia della
musica che più gli stava a
cuore: quel secolo compreso
tra le prime metà
dell'Ottocento e del
Novecento, quando le grandi
forme conoscono il proprio
apogeo, la crisi, la
dissoluzione, nuove
figurazioni.
Le Ebridi debuttano a
Londra nel 1832. Mendelssohn
vi lavora da tre anni, dal
tempo di un suo viaggio, che
molto lo emozionò, nel nord
della Scozia. La partitura,
scritta a Roma, si chiama
dapprima L'isola solitaria,
la versione definitiva porta
come sottotitolo: La
grotta di Fingal,
riferimento alla grotta di
basalto dell'isola di Staffa,
colmata dalle acque ad ogni
marea montante.
Il Nord, il mare, la tempesta,
la calma, gli orizzonti senza
confini: il soggetto di questo
poema sinfonico senza alcun
testo di riferimento è
evidentemente ispirato ai temi
del romanticismo: viene facile
il riferimento al celebre, e
coevo, quadro di Caspar
Friedrich.
La forma di un allegro di
sonata, dove due temi si
succedono e si sviluppano,
racchiude evidenti tensioni
dinamiche, timbriche, di
addensamento del materiale
orchestrale: davvero come il
frangersi e il placarsi di un
mare. Questa tensione
descrittiva, perfino visiva,
viene sottolineata dalle
scelte di Sinopoli, da quel
caratteristico dinamismo - lo
ritroviamo nel suo
Beethoven, nel suo
Caikovskij - teso a
sottolineare le inquietudini e
le sovrapposizioni della
partitura, quelle
stratificazioni che si
accumulano nella musica, per
cui ogni nuova frase si
innesta in un flusso unitario,
dove il procedere e la memoria
non sono separabili.
Sinopoli è stato il direttore
italiano che con più frequenza
e continuità ha diretto le
musiche di arnold Schoenberg.
La sua attività di
compositore, gli studi con
Bruno Maderna e Franco
Donatoni, gli facevano
individuare lì un punto di
arrivo e di nuova partenza
fondamentale nell'evoluzione
del linguaggio contemporaneo;
ma in quella musica - come
negli scritti e nelle vicende
private di Schoenberg - vive
anche una dimensione etica,
una riflessione sulle
responsabilità del ruolo
civile dell'artista che aiuta
a comprendere la costante
attenzione rivolta da Sinopoli
alla sua opera.
I Cinque
pezzi per orchesrta, op.
16 debuttano a Londra nel
1912: nel 1925 l’autore
procede a una riduzione per
ensemble, nel 1949 a
un’ulteriore revisione per
orchestra da camera. Qui viene
eseguita la prima versione.
Se
avessimo bisogno di dividere
in periodi le fasi creative di
un maestro che ha ormai la
statura di un classico,
l'opera appantiene al momento
della “libera atonalità” di
Schoenberg.
Vorgefühle
(Presentimento), Vergangenheit
(Il passato), Akkordfàrbungen
(Farben) (Tinte di
accordi - colori) , Peripetie
(Peripezia), Das obligate
Rezitativ (Recitativo
obbligato) i cinque momenti in
cui si articolano i diversi
episodi di un racconto denso e
frastagliato, convulso e
intensamente lirico,
visionario e colmo anche di
echi di nostalgia. Tutta
l'inquietudine e la tensione
del'artista teso a varcare
nuove frontiere linguistiche
ed espressive si coagulano e
vivono nei Cinque pezzi.
La lettura di Sinopoli appare
filtrata dallo studio di Anton
Webern, per l’intensità del
rilievo dato ai timbri, al
loro apparire siderale e
svanire, come accade con
particolare evidenza in Farben,
virtuosistico - "episodio di
puntillismo orchestrale dove
una stessa nota suonata da uno
strumento, o da un gruppo di
strumenti, viene affidata alle
cure timbriche di altri
strumenti" (come l’ha definito
Glenn Gould). Però, non è
questo l'aspetto prevalente
nella lettura di Sinopoli: in
Schoenberg, in questo
Schoenberg soprattutto, c'è un
respiro di echi, di ombre, che
la sensibilità 'mahleriana'
del direttore non trascura,
anzi ribadisce.
Frammento
è l’ultima composizione di
Goffredo Pelrassi, datata
1983, al termine di uno
stupefacente arco creativo che
proprio nell'ultimo periodo
consegna altri capolavori,
quail Grand septuor
(1978), Sestina d'autunno
(1982), Laudes creaturarum
(1982).
Di Frammento,
indelebile è il congedo:
quello strisciare ruvido,
aspro, dell'arco dei
contrabbassi, quel gesto - che
emerge dopo una lunga pausa di
attesa - di tremore e
d'angoscia, che non consola e
che, rapido, sfuggente, già
appare nello scorrere della
musica. Un vibrare della
terra, arcaico, ctonio.
Prima, il
lavoro percorre territori che
non sempre sono stati abituali
all'autore: l'opera è
attraversata da pulsioni
materiche dense, che si
alternano a momenti di
maggiore distensione, dove con
più agio circola "quell'aria
tra le parti" che il maestro
raccomanda di non dimenticare
mai, quando si compone. In Frammento
la sovrana eleganza timbrica
di Petrassi incontra una
dimensione che pure gli
appartiene, se si ripensa a Coro
di morti, alle severità
improvvise, desolate, di
alcuni passaggi dei Concerti.
Un'opera che si distingue come
un sigillo, nel segno del
disincanto.
Intervistaio
nel 1986 da Enzo Restagno in
occasione del festival che Settembre
Musica gli dedicò
quell’anno, Petrassi volle
così concludere la
conversazione: “La musica oggi
gode di una salute malferma,
ossia non sta male, ma non sta
neanche tanto bene, nel senso
che essa stessa non sa qual è
la sua situazione. Non potrei
dire altro”.
Le radici
della crisi dell’armonia
temperata, del sistema tonale
e di una concezione dinamica,
vettoriale, della narrazione
sinfonica, che approderanno
alla nuova Scuola di Vienna,
si rintracciano già nel
sinfonismo di metà Ottocento.
Franz Liszt è stato spesso
presente nelle scelte di
Sinopoli; il direttore
constatava l’aspetto
fortemente gestuale, anche
esteriore, di alcune sue
soluzioni, ma ne ammirava il
coraggio formale (i Poemi
sinfonici e la Sonata
in si minore), l'audacia
nelle scelte di programmazione
artistica (l'appoggio dato
alle prime opere di Wagner),
le intuizioni armoniche degli
estremi lavori per pianoforte.
Tasso.
Lamento e trionfo
debutta a Weimar nel 1849:
ricorreva il centenario della
nascila di Wolfgang Goethe e
la musica doveva servire come
ouverture al dramma in
cinque atti dedicato dallo
scrittore tedesco alla grande
e disperata figura del poeta
italiano (1544-1595), centrato
sul suo vano innamoramento per
la principessa Eleonora
d'Este. Dopo quella prima
esecuzione, si susseguono
numerose revisioni e la
partitura conosce la versione
definitiva nel 1854.
Diviso in
due momenti retorici in
apparenza opposti - appunto
'lamenoo' e 'trionfo' - il Tasso
non rinuncia però al principio
monotematico che proprio in
quegli anni il compositore
andava facendo proprio. È la
frase scolpita dagli archi
gravi all’inizio e destinata a
ritornare, implacabile,
affidata a diverse sezioni
orchestrali, ai legni solisti:
una presenza ossessiva, che
sigla il Poema. Questa
dolente profondità è l’aspetto
rimarcato nella direzione di
Sinopoli: le scelte di
fraseggio e di intensità, il
rilievo, così poco
compiaciuto, così nobile, dato
al finale del Lamento
fluiscono, naturalmente,
nell'avvio del Trionfo:
il ricorso ai ritardi
e ai rubati sottolinea
il carattere interiore della
musica, come un viaggio - da
artista ad artista - attorno
alla solitudine del
protagonista.
La
magniloquenza di Liszt certo
non scompare, ma il tema
pomposo degli ottoni, quasi un
teatralissimo sipario
melodrammatico, volentieri
lascia in primo piano episodi
più distesi, più lievi: quel
'minuetto' centrale, così
astratto, perdutamente
lontano, rotto poi da un
violenlo incalzare di memorie,
di concitazione ritmica ed
espressiva, dal ritorno,
plumbeo, del tema d’avvio. Un
sigillo di fatalità che
persiste, non si lascia
eliminare nemmeno dalle più
concitate fasi finali: più un
delirio che un trionfo, un
disordine incontenibile -
quegli accordi fratti degli
ottoni - che si conclude in
una sorta di marcia trionfale,
ma quelle trombe che, prima di
risolvere, insistono su un
suono acuto, penetrante,
ripropongono un orizzonte
certamente non appagato, che
chiude un'interpretazione
lontana da tentazioni
gladiatorie.
Orfeo
nasce, a Weimar nel 1854, come
preludio alla "tragedia
lirica" di Gluck diretta in
quell'occasione da Liszt, che
fu anche uno straordinario
organizzatore di stagioni
concertistiche e d'opera.
"Il
carattere serenamente
civilizzatore dei canti che
brillano in tutta l'opera, la
loro soave energia, il loro
augusto impero, la sonorità
nobilmente voluttuosa per
l'anima, il loro ondeggiare
dolce come le brezze dei Campi
Elisi...": dietro l'enfasi
della prosa di Liszt vive
l'attrazione per la figura
mitica del cantore che, grazie
alla musica e alla sua
bellezza ineffabile,
oltrepassa i confini della
vita. Il più breve dei suoi
tredici poemi sinfonici nasce
e si chiude davvero sulla
soglia dei confini del suono,
immateriale fenomeno fisico.
L'attenzione di Sinopoli,
oltre a rimarcare il libero
legame tematico tra i due
motivi dominanti del lavoro, è
portata anzitutto alla cura
delle dinamiche sonore e al
raggiungimento di una dolcezza
orchestrale dove già si
percepiscono imminenti
trasparenze wagneriane. E
inquietudini e ombre:
attraversare i paesaggi delle
realtà emotive espresse dalla
musica significava per lui
scegliere un tempo di racconto
non lineare, ma
multidirezionale, esplorato
con l'attitudine analitica di
chi vuole trovare l'origine e
le metamorfosi, la
complessità, dell'opera
indagata e amata.
"Non collezioni oggetti,
colleziono idee", diceva
Giuseppe Sinopoli, persona
grande di affetti.
Sandro
Cappelletto
*****
Giuseppe Sinopoli,
che straordinario regalo
quello dell'amicizia con un
uomo di insaziabile
curiosità, generosità
inesausta, intelligenza
scintillante; un'amicizia
scorsa lungo vie segrete che
affondano le radici nel più
profondo di ciascuno di noi.
La sua scomparsa è stata una
violenza terribile, quasi la
memoria dell'antica "invidia
degli dei". Come dimenticare
le fulminee, rapinose
interpretazioni di Liszt o
il lucido rigore razionale,
straordinariamente poetico,
con cui seppe far affrontare
ai nostri ragazzi dell'Orchestra
Giovanile Italiana le vette
de I Cinque Pezzi di
Schönberg. Un uomo privo di
compromessi, che ha sempre
offerto ai giovani, in
particolar modo
all'Orchestra Giovanile
Italiana (ma non dimentico
che con la sua consueta
generosità ha diretto anche
l'Orchestra Infantile del
Venezuela!), la sua guida
per entrare con ben diversa
intelligenza e sensibilità
nelle pagine dei grandi.
La musica davvero come
vita, come chiave per
sondare tutte le profondità
che rimangono troppo spesso
oscure a noi stessi.
Piero
Farulli
Direttore
Scuola di Musica di Fiesole
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