Stradivarius - 1 CD - STR 33612 - (c) & (p) 2002

GIUSEPPE SINOPOLI & ORCHESTRA GIOVANILE ITALIANA







Felix MENDELSSOHN (1809-1847) Le Ebridi - Ouverture in si minore, Op. 26
10' 33"





Arnold SCHÖNBERG (1874-1951) Cinque Pezzi per Orchestra, Op. 16
18' 31"

- Vorgefühle 2' 05"


- Vergangenheit 5' 00"


- Akkordäbungen (Farben) 3' 55"


- Peripetie 2' 29"


- Das obligate Rezitativ 5' 02"






Goffredo PETRASSI (1904-2003) Frammento (1983)

10' 49"





Franz LISZT (1811-1886) "Orpheus" - Poema sinfonico No. 4, S. 98

10' 47"


"Tasso. Lamento e trionfo" - Poema sinfonico No. 2, S. 96

19' 32"

- Lamento 4' 43"


- Trionfo 14' 49"






 
ORCHESTRA GIOVANILE ITALIANA
Giuseppe SINOPOLI
 






Luogo e data di registrazione
Registrazioni:
- Palafenice, Venezia (Italia) - 6 giugno 1999 (Mendelssohn)
- Teatro Filarmonico, Verona (Italia) - 12 gennaio 1997 (Schönberg & Liszt: Tasso)
- Teatro Comunale, Firenze (Italia) - 17 marzo 1998 (Petrassi)
- Teatro Comunale, Ferrara (Italia) - 25 novembre 1994 (Liszt: Orpheus)


Registrazione: live / studio
live recording


Direttore artistico (Producer)
Sandro Cappelletto

Coordinamento produttivo
Ruggero Crescioli

Editing

Fabio Framba

Prima Edizione LP
-

Prima Edizione CD
Stradivarius | STR 33612 | 1 CD - 70' 17" | (c) & (p) 2002 | DDD


Note
Un particolare ringraziamento a Silvia Cappellini Sinopoli che ha reso possibile questo disco e a Gianandrea Lodovici per la sua generosa disponibilità.















Quando, durante le prove con l'Orchestra Giovanile Italiana, parlavo dell'universo di Schoenberg, non volava una mosca: impressionano la serietà, il coinvolgimento, la disciplina di questi giovani. E soprattutto quella grande sete di informazioni culturali che manca ai musicisti delle orchestre italiane "lobotomizzate" da una formazione professionale pronta ad amputare qualsiasi curiosità non strettamente musicale. La Scuola di Fiesole di Farulli è una clamorosa eccezione: funziona come il più serio tentativo possibile, in Italia, di riassestamento del "lobo offeso".
Giuseppe Sinopoli

*****
La difesa, la fiducia nell'unità del pensiero è la forte eredità artistica e intellettuale consegnata da Giuseppe Sinopoli. Rifiutare la frantumazione del sapere, trovare i cortocircuiti del suo procedere, opporsi al primato della tecnica come conoscenza separata dal pensare e dal farsi della storia: merita riconoscenza questo lascito di un direttore d'orchestra impegnato a interrogarsi sul senso, sull'utilità della propria professione. Vecchia professione ormai, con i suoi due secoli di storia, ma ancora necessaria se rimane capace di suscitare e approfondire interrogativi e nessi, rifiutando un ruolo ovvio, soltanto mediatico e ripetitivo, autoreferenziale.
I titoli raccolti in questo disco sono stati diretti da Sinopoli in alcuni dei numerosi concerti tenuti con l'Orchestra Giovanile Italiana tra il 1994 e il 1999. Il repertorio proposto    prediligeva anche musiche che non figurano nel pur ampio catalogo delle incisioni discografiche del maestro.
Le prove, le tournée con i ragazzi della Giovanile diventavano così un laboratorio dove verificare ipotesi e percorsi all'interno del periodo di storia della musica che più gli stava a cuore: quel secolo compreso tra le prime metà dell'Ottocento e del Novecento, quando le grandi forme conoscono il proprio apogeo, la crisi, la dissoluzione, nuove figurazioni.
Le Ebridi debuttano a Londra nel 1832. Mendelssohn vi lavora da tre anni, dal tempo di un suo viaggio, che molto lo emozionò, nel nord della Scozia. La partitura, scritta a Roma, si chiama dapprima L'isola solitaria, la versione definitiva porta come sottotitolo: La grotta di Fingal, riferimento alla grotta di basalto dell'isola di Staffa, colmata dalle acque ad ogni marea montante.
Il Nord, il mare, la tempesta, la calma, gli orizzonti senza confini: il soggetto di questo poema sinfonico senza alcun testo di riferimento è evidentemente ispirato ai temi del romanticismo: viene facile il riferimento al celebre, e coevo, quadro di Caspar Friedrich.
La forma di un allegro di sonata, dove due temi si succedono e si sviluppano, racchiude evidenti tensioni dinamiche, timbriche, di addensamento del materiale orchestrale: davvero come il frangersi e il placarsi di un mare. Questa tensione descrittiva, perfino visiva, viene sottolineata dalle scelte di Sinopoli, da quel caratteristico dinamismo - lo ritroviamo nel suo Beethoven, nel suo Caikovskij - teso a sottolineare le inquietudini e le sovrapposizioni della partitura, quelle stratificazioni che si accumulano nella musica, per cui ogni nuova frase si innesta in un flusso unitario, dove il procedere e la memoria non sono separabili.
Sinopoli è stato il direttore italiano che con più frequenza e continuità ha diretto le musiche di arnold Schoenberg. La sua attività di compositore, gli studi con Bruno Maderna e Franco Donatoni, gli facevano individuare lì un punto di arrivo e di nuova partenza fondamentale nell'evoluzione del linguaggio contemporaneo; ma in quella musica - come negli scritti e nelle vicende private di Schoenberg - vive anche una dimensione etica, una riflessione sulle responsabilità del ruolo civile dell'artista che aiuta a comprendere la costante attenzione rivolta da Sinopoli alla sua opera.
I Cinque pezzi per orchesrta, op. 16 debuttano a Londra nel 1912: nel 1925 l’autore procede a una riduzione per ensemble, nel 1949 a un’ulteriore revisione per orchestra da camera. Qui viene eseguita la prima versione.
Se avessimo bisogno di dividere in periodi le fasi creative di un maestro che ha ormai la statura di un classico, l'opera appantiene al momento della “libera atonalità” di Schoenberg.
Vorgefühle (Presentimento), Vergangenheit (Il passato), Akkordfàrbungen (Farben) (Tinte di accordi - colori) , Peripetie (Peripezia), Das obligate Rezitativ (Recitativo obbligato) i cinque momenti in cui si articolano i diversi episodi di un racconto denso e frastagliato, convulso e intensamente lirico, visionario e colmo anche di echi di nostalgia. Tutta l'inquietudine e la tensione del'artista teso a varcare nuove frontiere linguistiche ed espressive si coagulano e vivono nei Cinque pezzi.
La lettura di Sinopoli appare filtrata dallo studio di Anton Webern, per l’intensità del rilievo dato ai timbri, al loro apparire siderale e svanire, come accade con particolare evidenza in Farben, virtuosistico - "episodio di puntillismo orchestrale dove una stessa nota suonata da uno strumento, o da un gruppo di strumenti, viene affidata alle cure timbriche di altri strumenti" (come l’ha definito Glenn Gould). Però, non è questo l'aspetto prevalente nella lettura di Sinopoli: in Schoenberg, in questo Schoenberg soprattutto, c'è un respiro di echi, di ombre, che la sensibilità 'mahleriana' del direttore non trascura, anzi ribadisce.
Frammento è l’ultima composizione di Goffredo Pelrassi, datata 1983, al termine di uno stupefacente arco creativo che proprio nell'ultimo periodo consegna altri capolavori, quail Grand septuor (1978), Sestina d'autunno (1982), Laudes creaturarum (1982).
Di Frammento, indelebile è il congedo: quello strisciare ruvido, aspro, dell'arco dei contrabbassi, quel gesto - che emerge dopo una lunga pausa di attesa - di tremore e d'angoscia, che non consola e che, rapido, sfuggente, già appare nello scorrere della musica. Un vibrare della terra, arcaico, ctonio.
Prima, il lavoro percorre territori che non sempre sono stati abituali all'autore: l'opera è attraversata da pulsioni materiche dense, che si alternano a momenti di maggiore distensione, dove con più agio circola "quell'aria tra le parti" che il maestro raccomanda di non dimenticare mai, quando si compone. In Frammento la sovrana eleganza timbrica di Petrassi incontra una dimensione che pure gli appartiene, se si ripensa a Coro di morti, alle severità improvvise, desolate, di alcuni passaggi dei Concerti. Un'opera che si distingue come un sigillo, nel segno del disincanto.
Intervistaio nel 1986 da Enzo Restagno in occasione del festival che Settembre Musica gli dedicò quell’anno, Petrassi volle così concludere la conversazione: “La musica oggi gode di una salute malferma, ossia non sta male, ma non sta neanche tanto bene, nel senso che essa stessa non sa qual è la sua situazione. Non potrei dire altro”.
Le radici della crisi dell’armonia temperata, del sistema tonale e di una concezione dinamica, vettoriale, della narrazione sinfonica, che approderanno alla nuova Scuola di Vienna, si rintracciano già nel sinfonismo di metà Ottocento. Franz Liszt è stato spesso presente nelle scelte di Sinopoli; il direttore constatava l’aspetto fortemente gestuale, anche esteriore, di alcune sue soluzioni, ma ne ammirava il coraggio formale (i Poemi sinfonici e la Sonata in si minore), l'audacia nelle scelte di programmazione artistica (l'appoggio dato alle prime opere di Wagner), le intuizioni armoniche degli estremi lavori per pianoforte.
Tasso. Lamento e trionfo debutta a Weimar nel 1849: ricorreva il centenario della nascila di Wolfgang Goethe e la musica doveva servire come ouverture al dramma in cinque atti dedicato dallo scrittore tedesco alla grande e disperata figura del poeta italiano (1544-1595), centrato sul suo vano innamoramento per la principessa Eleonora d'Este. Dopo quella prima esecuzione, si susseguono numerose revisioni e la partitura conosce la versione definitiva nel 1854.
Diviso in due momenti retorici in apparenza opposti - appunto 'lamenoo' e 'trionfo' - il Tasso non rinuncia però al principio monotematico che proprio in quegli anni il compositore andava facendo proprio. È la frase scolpita dagli archi gravi all’inizio e destinata a ritornare, implacabile, affidata a diverse sezioni orchestrali, ai legni solisti: una presenza ossessiva, che sigla il Poema. Questa dolente profondità è l’aspetto rimarcato nella direzione di Sinopoli: le scelte di fraseggio e di intensità, il rilievo, così poco compiaciuto, così nobile, dato al finale del Lamento fluiscono, naturalmente, nell'avvio del Trionfo: il ricorso ai ritardi e ai rubati sottolinea il carattere interiore della musica, come un viaggio - da artista ad artista - attorno alla solitudine del protagonista.
La magniloquenza di Liszt certo non scompare, ma il tema pomposo degli ottoni, quasi un teatralissimo sipario melodrammatico, volentieri lascia in primo piano episodi più distesi, più lievi: quel 'minuetto' centrale, così astratto, perdutamente lontano, rotto poi da un violenlo incalzare di memorie, di concitazione ritmica ed espressiva, dal ritorno, plumbeo, del tema d’avvio. Un sigillo di fatalità che persiste, non si lascia eliminare nemmeno dalle più concitate fasi finali: più un delirio che un trionfo, un disordine incontenibile - quegli accordi fratti degli ottoni - che si conclude in una sorta di marcia trionfale, ma quelle trombe che, prima di risolvere, insistono su un suono acuto, penetrante, ripropongono un orizzonte certamente non appagato, che chiude un'interpretazione lontana da tentazioni gladiatorie.
Orfeo nasce, a Weimar nel 1854, come preludio alla "tragedia lirica" di Gluck diretta in quell'occasione da Liszt, che fu anche uno straordinario organizzatore di stagioni concertistiche e d'opera.
"Il carattere serenamente civilizzatore dei canti che brillano in tutta l'opera, la loro soave energia, il loro augusto impero, la sonorità nobilmente voluttuosa per l'anima, il loro ondeggiare dolce come le brezze dei Campi Elisi...": dietro l'enfasi della prosa di Liszt vive l'attrazione per la figura mitica del cantore che, grazie alla musica e alla sua bellezza ineffabile, oltrepassa i confini della vita. Il più breve dei suoi tredici poemi sinfonici nasce e si chiude davvero sulla soglia dei confini del suono, immateriale fenomeno fisico.
L'attenzione di Sinopoli, oltre a rimarcare il libero legame tematico tra i due motivi dominanti del lavoro, è portata anzitutto alla cura delle dinamiche sonore e al raggiungimento di una dolcezza orchestrale dove già si percepiscono imminenti trasparenze wagneriane. E inquietudini e ombre: attraversare i paesaggi delle realtà emotive espresse dalla musica significava per lui scegliere un tempo di racconto non lineare, ma multidirezionale, esplorato con l'attitudine analitica di chi vuole trovare l'origine e le metamorfosi, la complessità, dell'opera indagata e amata.
"Non collezioni oggetti, colleziono idee", diceva Giuseppe Sinopoli, persona grande di affetti.
Sandro Cappelletto

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Giuseppe Sinopoli, che straordinario regalo quello dell'amicizia con un uomo di insaziabile curiosità, generosità inesausta, intelligenza scintillante; un'amicizia scorsa lungo vie segrete che affondano le radici nel più profondo di ciascuno di noi. La sua scomparsa è stata una violenza terribile, quasi la memoria dell'antica "invidia degli dei". Come dimenticare le fulminee, rapinose interpretazioni di Liszt o il lucido rigore razionale, straordinariamente poetico, con cui seppe far affrontare ai nostri ragazzi dell'Orchestra Giovanile Italiana le vette de I Cinque Pezzi di Schönberg. Un uomo privo di compromessi, che ha sempre offerto ai giovani, in particolar modo all'Orchestra Giovanile Italiana (ma non dimentico che con la sua consueta generosità ha diretto anche l'Orchestra Infantile del Venezuela!), la sua guida per entrare con ben diversa intelligenza e sensibilità nelle pagine dei grandi.
La musica davvero come vita, come chiave per sondare tutte le profondità che rimangono troppo spesso oscure a noi stessi.
Piero Farulli
Direttore Scuola di Musica di Fiesole