DG - 2 CDs - 437 778-2 - (p) 1998

Richard WAGNER (1813-1883)






Der fliegende Holländer
135' 28"
Romantische Oper








Compact Disc 1
60' 18"


1. Ouvertüre 10' 51"

ERSTER AUFZUG N° 1: Introduktion: 2. "Hojohel Halloho!" (Matrosen, Daland, Steuermann)
5' 03"




3. "Mit Gewitter und Sturm aus fernem Meer" (Steuermann) 4' 53"


N° 2: Rezitativ und Arie: 4. "Die Frist ist um" (Holländer) 2' 57"




5. "Wie oft in Meeres tiefsten Schlund" (Holländer, Mannschaft des Holländers) 8' 12"


N° 3: Szene, Duett und Chor: 6. "He! Holla! Steuermann!" (Daland, Steuermann, Holländer) 3' 45"




7. "Durch Sturm und bösen Wind verschlagen" (Holländer, Daland) 4' 14"



8. "Wie? Hört' ich recht? Meine Tochter sein Weib?" (Daland, Holländer) 6' 44"



9. "Südwind! Südwind!" (Steuermann, Matrosen, Daland, Holländer) 2' 04"



10. "Mit Gewitter und Sturm" (Matrosen) 2' 25"



Orchesterzwischenspiel


ZWEITER AUFZUG N° 4: Lied, Ballade und Chor: 11. "Summ und brumm, du gutes Rädchen" (Mädchen, Mary) 3' 57"



12. "Du böses Kind" (Mary, Mädchen, Senta) 5' 15"



Compact Disc 2
75' 10"


1. "Johohoe! Traft ihr das Schiff im Neere an" (Senta, Mädchen, Mary) 7' 47"



2. "Senta! Senta! Willst du mich verderben?" (Erik, Mädchen, Mary, Senta) 1' 55"


N° 5: Duett: 3. "Bleib, Senta! Bleib nur einen Augenblick!" (Erik, Senta) 9' 23"



4. "Auf hohem Felsen lag ich träumend" (Erik, Senta) 4' 19"



N° 6: Finale:
5. "Mein kind, du siehst mich aif der Schwelle" (Daland, Senta) 1' 55"



6. "Mögst du, mein Keind, den fremden Mann willkommen heißen" (Daland) 5' 08"



7. "Wie aus, der Ferne längst vergang' ner Zeiten" (Holländer, Senta) 7' 09"



8. "Wirst du des Vaters Wahl nicht schelten?" (Holländer, Senta) 7' 39"



9. "Verzeiht! Mein Volk hält draußen sich nicht mehr" (Daland, Senta, Holländer) 1' 54"



10. Orchesterzwischenspiel 0' 51"

DRITTER AUFZUG N° 7: Chor und Ensemble: 11. "Steuermann, laß die Wachtl" (Matrosen des Norwegers, Mädchen, Steuermann) 10' 25"



12. "Johohohe! Johohohoe! Hoe! Hoe!" (Mannschaft des Holländers, Matrosen des Norwegers) 3' 21"


N° 8: Finale: 13. "Was mußt' ich hören" (Erik, Senta) 2' 28"



14. "Willst jenes Tags du nicht dich mehr entsinnen" (Erik) 3' 22"



15. "Verloren! Ach, verloren!" (Holländer, Erik, Senta) 2' 24"



16. "Erfahre das Geschick, vor dem ich dich bewahr'!" (Hollànder, Erik, Senta, Daland, Marz, Chor, Mannschaft des Hollànders) 5' 11"







 
Hans SOTIN, DALAND, ein norwegischer Seefahrer (navigatore norvegese)
CHOR UND ORCHESTER DER DEUTSCHEN OPER BERLIN
Cheryl STUDER, SENTA, seine Tochter (sua figlia)
Walter Hagen-Groll, Chorus master
Placido DOMINGO, ERIK, ein Jäger (un cacciatore) Giuseppe SINOPOLI
Uta PRIEW, MARY, Sentas Amme (nutrice di Senta) Musical assistant: Patrick Walliseronald Wages
Peter SEIFFERT, DER STEUERMANN DALANDS (timoniere di Daland)

Bernd WEIKL, MDER HOLLÄNDER (l'Olandese)

Matrosen des Norwegers - Die Mannschaft des Fliegenden Holländers - Mädchen

(Marinai della nave norvegese - Ciurma dell'Olandese volante - Ragazze)

 






Luogo e data di registrazione
Großer Sendesaal, SBF, Berlin (Germania) - febbraio 1991

Registrazione: live / studio
studio


Executive Producer

Wolfgang Stengel

Associate Producer
Pål Christian Moe

Recording Producer
Klaus Hiemann

Tonmeister (Balance Engineer)
Jürgen Bulgrin

Recording Engineers
Rainer Maillard, Hans-Rudolf Müller

Editing
Ingmar Haas, Oliver Rogalla

Prima Edizione LP
-


Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 437 778--2 | LC 0173 | 2 CDs - 60' 18" & 75' 10" | (p) 1998 | DDD


Note
-















L'INIZIO DELLA FINE
Der fliegende Holländer (L'Olandese volante) segna l'inizio vero e proprio del teatro di Wagner; non tanto, o non solo, per tratti stilistici che formeranno la base dell'estetica del dramma musicale, cioè di una concezione del tutto nuova dell'opera, quanto soprattutto per la presenza di un'idea poetica che quasi ossessivamente ne accompagnerà gli sviluppi creativi in quarant'anni di carriera: l'idea della redenzione. Che quest'idea non fosse semplicemente un motivo legato a una visione poetica di natura personale ma si identificasse con il simbolo stesso della liberazione del teatro dalle convenzioni - in altri termini presupponendo la redenzione dell'opera in quanto tale - è un fatto ormai acquisito dalla critica; sul quale non varrebbe insistere se il modo in cui Wagner lo intese in questo lavoro non presentasse alcuni margini di sottile ambiguità.
Già nelle fonti autobiografiche che ci parlano della genesi dell'opera sussistono notevoli discrepanze. Nello Schizzo autobiografico del 1843 Wagner riferisce dell'Olandese volante come di una leggenda a lui già ben nota, che gli era stata confermata dalla viva bocca dei marinai norvegesi durante il suo avventuroso viaggio da Riga a Parigi (estate 1839), e che in tali circostanze aveva colpito profondamente la sua fantasia; solo in seguito era venuto a conoscenza della ”versione di questa leggenda tracciata da Heine nel suo Salon" (si tratta del racconto compreso nel sesto capitolo delle Memorie di Herr von Schnabelewopsky, pubblicate nel 1834): "fu proprio il carattere eminentemente drammatico - un'invenzione di Heine - della redenzione di questo Assuero dei mari che mi indusse a sfruttare questa leggenda per trarne un soggetto d'opera”. Ma nella Comunicazione ai miei amici, che è del 1851, Wagner dichiara che anche il rocconto di Heine gli era già noto prima della sua partenza da Riga, senza che quella trattazione (il ricordo della rappresentazione di un lavoro teatrale ispirato alla leggenda) lo avesse specialmente eccitato. E nel Mein Leben, dettato intorno al 1866, accenna soltanto al richiamo dei marinai ammainanti la vela durante la tempesta tra i fiordi norvegesi come a spunto per il motivo iniziale del Matrosenlied del suo Olandese volante, "l'idea del quale a quel tempo già occupava costantemente il mio pensiero; ora, sotto l'influsso di queste nuove impressioni, essa assumeva un preciso colore poetico-musicale". Per quanto simili divergenze siano ricorrenti negli scritti di Wagner, qui esse sembrano rispondere a una precisa strategia di avvicinamento e di distacco. Se la Versione del Mein Leben costituisce una sorta di sintesi volutamente lacunosa, nella quale in primo piano sono posti gli elementi musicali in funzione compositiva, le altre due si collocano agli antipodi ma toccano specularmente i punti che, in momenti diversi della sua autoanalisi, a Wagner premeva mettere in evidenza: quello puramente leggendario, che spalancò la porta del mito radicato nella coscienza popolare (”poema mitico del popolo”, secondo la sua definizione) e quello letterario, di ascendenza romantica e poeticamente trasfigurato da Heine in senso drammatico. Tanto l'uno quanto l'altro appartengono per così dire solo alla preistoria dell'Olondese volante, influenzandone dallo sfondo la stesura del libretto, che oscilla tra tono di leggenda oralmente tramandata e incursione nei territori del romanticismo inteso come stato d'animo e insieme epoca artistica storicamenle definita. Aspetto, quest'ultimo, che a Wagner interessava sottolineare nella presentazione ai suoi amici, come adesione concreta a una bandiera ideale ("Iniziò da qui la mia carriera di 'poeta', mentre abbandonai quella del confezionatore di libretti d'opera"), ma che col tempo tese invece a ridimensionare, in coincidenza con gli approdi della sua arte e delle ambizioni smisurate che vi erano sottese. Giacché proprio quell'aspetto definito gli pareva una limitazione degli scopi che si prefiggeva, e che aveva raggiunto con ben altra consapevolezza.
Anche in seguito, Wagner non pensò di accogliere L'Olandese volante nel tempio di Bayreuth, dove fu ammesso solo nel 1901; d'altronde, negli ultimi mesi di vita espresse più volte l'intenzione di rimaneggiarlo al fine di renderlo rappresentabile secondo le sue intenzioni originarie; quasi ricollegando la sua presenza finale all'inizio. Che Cosa significava ciò? Wagner aveva concepito in origine L'Olandese volante come un'opera in un atto; il primo abbozzo in questa forma fu da lui steso nel maggio 1840; vi lavorò a Parigi nel maggio 1841, portando a termine lo spartito a Meudon il 22 agosto dello stesso anno. Era un'idea rivoluzionaria, del tutto in contrasto non solo con lo spirito operistico del tempo, che inclinava decisamente verso il melodramma e il grand-opéra, ma anche con le sue precedenti esperienze, Rienzi incluso. Il timore di vedersi preclusa la possibilità pratica di una rappresentazione lo convinse a ripiegare su una versione in tre atti, fondamentalmente con l'aggiunta di due conclusioni d'atto puramente convenzionali e di un finale nel quale il tema musicale della redenzione veniva sviluppato più ampiamente, secondo il concetto della trasfigurazione romantica, più letteraria che drammatica. In questa forma l'opera venne rapidamente strumentata e rappresentata a Dresda il 2 gennaio 1843, accolta da reazioni contrastanti, che nel bene e nel male la collocavano nell'alveo dell'opera romantica tedesca. Paradossalmente, il suo successo decollò su vasta scala quando l'opera venne presentata a Parigi, con una nuova conclusione da concerto dell'Ouverture aggiunta nel 1860 e successivamente con il titolo Le Vaisseau fantôme, poi passato stabilmente anche in traduzione italiana (Il vascello fantasma): nonostante Wagner non l'accogliesse mai per le scene tedesche.
Nelle intenzioni originarie L'Olandese volante non doveva forse neppure essere un'opera romantica ma una ballata scenica: e ciò spiega la scelta dell'atto unico. Inconsapevolmente, essa mirava già alla forma del dramma musicale; nel quale la musica, per rendere visibili sulla scena i fatti dell'azione, s'incaricasse di rappreseniarli drammaturgicamente: risolvendoli però non in una trama estesa di motivi, ma in una pregnante concentrazione di figure a contrasto. Wagner abdicò a questa idea dopo averla realizzata, o meglio tentò di ammorbidirla; e non solo per il motivo sopra esposto. Dovette rendersi conto che una concezione di questo genere rappresentava sì l'inizio di una nuova visione del teatro musicale, ma ne segnava nel contempo pressoché la fine: la drammaturgia bloccata dell'Olandese significava anche il blocco di ogni possibile sviluppo drammatico. Eppure in quell'idea era contenuto il seme della riforma del Wort-Ton-Drama, e tematicamente il nucleo di un'aspirazione a fare del motivo della redenzione il motore stesso dell'azione.
La sua unicità è ben testimoniata dalla genesi propriamente musicale. La ballata di Senta è - insieme alla vivace canzone dei marinai norvegesi e al sinistro coro degli olandesi - uno dei primissimi pezzi cui Wagner mise mano dopo aver composto il poema: essa rappresenta non solo il centro psicologico dell'azione ma il nocciolo dal quale tutto il dramma doveva svilupparsi, come un organismo vitale dal germe. Una volta fissati altri punti fermi fra loro in immediato contrasto, la canzone del timoniere e il coro delle filatrici, il materiale venne a coordinarsi in una sequenza drammatica articolata in otto "numeri" di più ampie proporzioni, arie, duetti, terzetto, concertati e così via; per lasciare all'Ouverture, composta da ultimo il 5 novembre 1841, il compito di racchiudere in una sintesi finale ciò che l'opera avrebbe rappresentato scenicamente. Se da un punto di vista drammatico questa sintesi anticipata può apparire un errore (si potrebbe affermare che tutto ciò che accadrà è indicato con la massima evidenza nei temi e negli sviluppi di questa forma sinfonica), sotto un profilo musicale essa getta un ponte tra inizio e fine, lasciando al centro, isolata, quella ballata di Senta che era a sua volta, oltre che il luogo geometrico dell'azione, il suo inizio e la sua fine: il paradosso formale si legittima in tutta la sua audacia facendo di un'opera costruita sul blocco di contrasti inconciliabili un'opera a numeri chiusi, dinamicamente collegati in dissolvenze incrociate Rispettando apparentemente la forma esterna dell'impalcatura di un'opera, Wagner decretò la morte della drammaturgia tradizionale, anche di quella che sarebbe ancora dovuta venire in Italia e in Francia. Sotto questo riguardo il gesto perentorio, squarciante, quasi beethoveniano con cui si apre l'Ouverture dell'Olandese volante non è solo la descrizione naturalistica di una tempesta di mare ma soprattutto una rabbiosa tabula rasa di tutto l'apparato operistico tradizionale, che racchiude un tumulto del cuore e una furia iconoclasta. E la contrapposizione, anche tonale, del tema di Senta al suo centro eleva il conflitto a contrasto non di figura ma di emblemi di un'idea che trascende i personaggi stessi. La riunificazione dei due temi alla fine ne è l'esito più problematico: nella versione di Dresda tale trasfigurazione era lasciata in sospeso, giacché il destino dei due protagonisti per così dire si compiva al di fuori della scena; averlo reso esplicito col nuovo finale modellato nell’Ouverture equivaleva a uno scioglimento dall'esterno del carattere tragico dell'opera, esposizione del dramma musicale ante litteram.
La mancanza di una mediazione psicologica - una caratteristica della prima metà della produzione di Wagner, ma mai così accentuata come qui - pesa inevitabilmente quando l'Olandese volante sia messo a confronto con le opere successive. I personaggi secondari - Daland, Erik, perfino la nutrice di Senta e il timoniere di Deland - sono funzionali a che il contrasto fondamentale si acuisca fino al momento della verità, dalla quale essi sono ugualmente esclusi in
quanto personaggi individuali e sostituiti piuttosto, come in uno specchio che rifletta un'immagine sovrapposta, dalla violenta contrapposizione del coro dei marinai norvegesi e di quelli olandesi che precede l'epilogo: una pagina che nella sua brutalità sembra quasi voler far esplodere la tensione linguistica di mondi incomunicabili. La tendenza interpretativa a considerare Daland ed Erik figure quasi caricaturali, come se Wagner avesse voluto mettere in ridicolo tipi convenzionali dell'opera, è non solo sbagliata ma offensiva per le intenzioni dell'autore: per rendersene conto basta leggere le Osservazioni sulla rappresentazione dell'opera "L'Olandese volante", che Wagner scrisse nel 1852 (Daland; "È un personaggio della vita di tutti i giorni, duro e schietto, un marinaro che sfida tempeste e pericoli per amor di guadagno e al quale non pare per nulla riprovevole la vendita - ché tale è ciò che sembra - di sua figlia a un uomo facoltoso; pensa e agisce, come mille altri uomini, senza il minimo sospetto di fare alcunché di men che giusto": sembra di leggere il ritratto di un personaggio di Ibsen, mentre il suo antenato in musica è il Rocco del Fidelio; e poi Erik: "un personaggio irruento, veemente, cupo, come tutti i solitari, specie quelli delle isole nordiche. Chiunque canti la cavatina di Erik nel terz'atto in uno stile zuccheroso mi rende un pessimo servizio: essa dovrebbe spirare dolore e sofferenza"). Questi personaggi assistono a eventi di una sfera interiore a cui logicamente prima non credono e che poi non capiscono, perché non ne provano la brama e la passione: la differenza del loro canto rispetto a quello di Senta e dell'Olandese è sinonimo di una estraneità che si accresce nell'impotente partecipazione al dramma.
Oltre ad essere il Centro dell'opera, la ballata di Senta segna la peripezia di questo dramma, come l'agnizione nella tragedia antica. Nel rievocare la triste, dolorosa storia dell'Olandese, già incarnata sulla scena dal monologo di lui nel primo atto con tutti i connotati di disperazione e speranza, Senta si immedesima fino alla commozione e spezza l'incantesimo che separa il sogno dalla realtà. Anche qui Wagner oppone allo spazio chiuso di un ambiente borghese con le sue brave regole quotidiane l'illimitata apertura della fantasia, capace di sovrapporsi nell'intimo alla realtà. La cura minuziosa con cui sono compilate le didascalie di accompagnamento all'azione compensa una certa mancanza di approfondimento psicologico nel testo poetico. Ma anche questo non è un caso e sembra anzi richiesto da un'opera dove i silenzi, le allusioni, le attese, le sospensioni hanno una funzione drammaturgica, spaziale e temporale, precisa, che si riverbera anche sulla musica. Il passaggio che porta al riconoscimento dell'Olandese nel secondo atto è da questo punto di vista quasi dimostrativo nella sua elementarità: dopo la ballata, l'annuncio del ritorno degli uomini getta nello scompiglio le ragazze, che escono precipitosamente al suono di una marcetta quasi da circo, disperdendo la tensione accumulata. Rimasto solo con Senta, Erik le ribadisce il suo amore in un duetto nel quale proprio la convenzione della forma è specchio di incomprensione e di lontananza. L'attenzione di Senta viene attratta magneticamente dal racconto del sogno di Erik, fino a che esso si tramuta in realtà: proprio nel senso indicato dalla didascalia, pare che ella pure sogni il sogno raccontato da Erik. Nel momento in cui Senta, come incantata, fissa il ritratto dell'Olandese, la porta si apre ed egli appare materialmente insieme a Daland. La presentazione che segue è propriamente un anticlimax, una nuova dimostrazione della tendenza wagneriana, tipica in quest'opera, di opporre a momenti di forte tensione scioglimenti improvvisi: come le onde del mare che affluiscono e rifluiscono, qui la costante, fondamentale opposizione dei due mondi, quello fantastico e quello reale, si manifesta tematicamente. Rimasti soli a loro volta, Senta e l'Olandese sprofondano in reciproca contemplazione e danno vita a un duello che è fin troppo evidentemente un antiduetto, come nessuno prima aveva mai osato scrivere: un dialogo fatto cioè di frammenti ricomposti, che vanno oltre la convenzione e determinano perfino l'espressione riconoscibile dei sentimenti. E ancoro una volta all'apice dell'inespresso, bruscamente troncato, si sostituisce la leggerezza della pagina conclusiva dell'atto, quel rapido, affettuoso terzetto che riporta dal cielo in terra, sanzionando insieme un fidanzamento terreno e uno celeste.
Nelle citate Osservazioni Wagner ribadiva che Senta rappresentava la donna del Nord, dal carattere forte e deciso, capace di sacrificarsi per un'ideale. Che essa incarnasse compiutamente il suo ideale di redenzione poteva sembrar certo: ma non lo era. Ciò che nell'Olandese volante è preminente è appunto il desiderio ardente di una redenzione impossibile se non con la morte: Senta è la prima di una lunga serie di eroine che muoiono per essa. Il motivo della fedeltà che qui viene connesso all'idea della redenzione (solo una donna fedele fino alla morte potrà redimere l'Olandese) è accessorio e si giustifica tutt'al più con la necessità vitale di sviluppare la trama. La defeltà è un requisito compreso nell'idea di redenzione: perfino separato dall'amore. Essenziale è che essa rimandi a un mondo di intuizioni e di passioni che si compiono al di fuori dell'azione, dopo averne sostenuto la trama: una sorta di tensione soprannaturale che si identifica coll'ideale di un Eterno femminino che attira verso l'alto: wagnerianamente, "la donna dell'avvenire", infinitamente sognata e bramata, metafora dell'"opera dell'avvenire", allora più un impulso che un punto d'arrivo. Nella prima versione del finale Wagner aveva colto perfettamente questa dicotomia, lasciando che i due temi si sovrapponessero senza fondersi: veniva così risolto in modo coerente un problema musicale, drammaturgico e poetico. Il rifacimento della maturità, di cui l'autore andava tanto fiero, fa di quest'opera e dei suoi personaggi pure prefigurazioni tristaniane: nel segno di una trasfigurazione finalmente individuata e compiuta. Ma per quanto la teleologia wagneriana si fondasse su motivi forti, nel caso dell'Olandese la sintesi restò tanto dimostrativa quanto ininfluente: il suo inizio e la sua fine coincidono nel modo in cui tali termini erano stati originariamente concepiti, quasi epicamente.
Sergio Sablich