L'HYBRIS EROICA
DELL'"ELEKTRA" DI STRAUSS
Ladislao Mittner
nella sua Letteratura
Tedesca ha scritto: “Nell’Elektra
di Hofmannsthal vi è moltissimo
di D’Annunzio, vi è molto,
troppo, anche di Freud”. Si
potrebbe in parte essere
d’accordo, guardando ad alcuni
aspetti della superficie;
fondamentalmente però non ci
siamo. Certo, regge bene il
sillogismo: in Freud v’è troppo
Sofocle, Hofmannsthal riscrive
Sofocle, in Hofmannsthal v’è
troppo Freud, tenendo però ben
presente che con ciò si è al di
fuori di una corretta
comprensione de L'interpretazione
dei sogni, opera freudiana
che quando uscì la tragedia in
prosa (1903) era stata
pubblicata da poco. Ma va detto
che la predilezione per il
riscrivere non è una
caratteristica dannunziana, anzi
occorre avere ben chiaro che
reinventare ha ben poco di
comune con il riscrivere, e
D’Annunzio reinventava una
lingua, volto lo sguardo al
Medioevo, le sue forme inserendo
in quelle posteriori (ad esempio
la sirventese "All'Adriatico" ne
La nave). In Hofmannsthal
le formule di taglio classico
sono invece tranquillamente
mescolate ad un’idiomatica
viennese, e così ben si addice a
chi nel proprio diario Ad me
ipsum si definiva
“scrittore allomatico”. Tuttavia
v'é da riscontrare che la
maggior parte delle
interpretazioni letterarie di
Elettra dal 1909 (completamento
dell’opera di Strauss) fin quasi
ai giorni nostri ha avuto
un’impostazione psicoanalitica;
questo solo per il semplice
fatto di essere stata e di
venire letta la personalità
della protagonista come quella
di un’isterica. E dove c’è
isteria sembra dover occorrere
interpretazione psicoanalitica.
Vano
il prodigioso sforzo critico
applicato da Cesare Musatti allo
studio di Freud sul racconto Gradiva
di Jensen per dimostrare
l’impossibilità di una critica
psicanalitica; troppo bello
risolvere nella sessualità più o
meno frustrata tutti i problemi
della vita; e poi, tanto più
facile. Perciò Elettra invece di
essere considerata probabilmente
la più grande donna dell`immenso
mondo mitico greco, viene
indicata come l`invasata per
eccellenza. Hofmannsthal ha
qualche complicità in questa
maldestra deformazione che rende
un pessimo servizio a Sofocle.
Si
dirà: qui bisogna guardare al
libretto del viennese; ma
Hofmannsthal specifica "nach
Sophokles", "da Sofocle".
Si tratta quindi di una scelta,
e alla luce di questa scelta
Strauss ha trovato la sua
ispirazione. Essa, a mio avviso
non si stacca dagli stilemi del
poema sinfonico. Come v'era
stata una Faust-Symphonie
di Liszt in drei
Charakterbildern, in tre
ritratti di personaggi, così qui
ci troviamo di fronte in
sostanza a tre protagonisti
nello spirito del poema
sinfonico: Elettra, Crisotemide,
Clitennestra. Oreste è il
complementare lirico di Elettra,
volutamente carente sotto
quest’ultimo profilo. La prima
parte dell’opera, lunga grosso
modo quanto quella
successiva, presenta in ordine
Elettra, Crisotemide,
Clitennestra. La seconda
Elettra, Crisotemide, Oreste ed
Egisto. L'opera è simmetrica e,
per certi aspetti, speculare, in
senso araldico, non musicale, e
ciò per i mutamenti d`azione. La
prima parte si conclude con
l’annuncio a Clitennestra della
morte di Oreste. Si potrebbe
considerare compiuta la seconda
parte con il riconoscimento di
Oreste; infatti il resto è un
lungo epilogo dove tutto, per
bontà degli dèi, è già previsto.
Forse
per aggirare questa prospettiva
Hofmannsthal crea volutamente un
equivoco. Ma è un equivoco che
finisce con il proporre al
direttore d`orchestra parecchi
problemi. Quasi ovunque, nelle
presentazioni e nelle critiche,
si trova scritto che al termine
della danza sacrale della
vittoria Elektra muore. Non così
il testo tedesco. I fase: "Elektra
stürzt zusammen" -
"Elettra s'accascia al suolo".
II fase: "Elektra liegt starr"
- "Elettra giace rigida", o
"immobile". La prima fase,
sempre secondo le didascalie,
arriva dopo “qualche passo
selvaggio e frenctico”. La II è
la continuazione di “starr”.
La questione non è di poco
conto. Vi sono 25 battute
interpretabili almeno in due
diversi modi fondamentali.
Ma
perché Elettra dovrebbe morire
proprio al termine della danza
sacrale? Quest'ultima è
preparata da tre momenti: la
manifestazione discinetica cui
accenna Egisto al loro incontro,
“Perché barcolli qua e là con la
tua lampada”; la danza funebre
attorno ad Egisto, di poco
successiva; la danza "senza
nome" in cui si lancia subito
dopo. La danza sacrale è anche
la danza della gioia. Se stürzen
significa accasciarsi, e starr,
in questo contesto, rigida, o
immobile, non si capisce perché
dal senso di trionfo esasperato
e dalle manitestazioni
precedenti non possa scaturire
un’estasi catalettica: ciò non
contrasterebbe con la
rassomiglianza ad una menade
invasata, come vuole la
quartultima didascalia,
successiva all'enfatica
dichiarazione di Elettra che
"Amore uccide! Ma nessuno muore
senza aver conosciuto amore".
Ora, prima di crollare a terra,
Elettra è schiantata dal peso
della gioia: "Porto il peso
della felicità". Ed è nel suo
destino, nel suo carattere quel
crollare sotto il peso di una
vittoria esclusivamente sua. E i
colpi di piatti, ff e fff
mal si addicono ad una idea di
morte.
Posta
la vendetta come destino
necessario, un solo personaggio
è libero da questo obbligo
sacro: Crisotemide. Senza questa
donna, in fondo mediocre, che
concepisce la libertà nel
figliare magari con un
contadino, e che tuttavia
rappresenta l'aspirazione alla
casa, né Elettra né Clitennestra
emergerebbero nella loro
grandezza. Hanno in comune il
sognare: la prima la
purificazione della casa,
possibile solo con la vendetta
della morte di Agamennone; la
seconda la purificazione della
casa dai demoni che ne
angosciano i sonni, possibile
solo con l'eliminazione di tutti
coloro che vogliono vendicare
Agamennone.
Elettra
è alla ricerca di un amore
patemo e regale di cui si sente
custode e pretendente. Il suo
tema è sintetico (tonica -
dominante discendente - terzo
grado ascendenle tenuto - tonica
di partenza); e, pur
presentandosi sin dalla prima
battuta, trova la sua più
significativa espressione nel
corso del primo monologo della
protagonista, in do minore,
quando alle parole “Padre,
voglio vederti, non lasciarmi
sola. Come ieri, come un’ombra
là, nell’angolo delle mura,
mostrati a tua figlia!” si
ripresenta in do ininore
(quindi, secondo l’impianto di
cui sopra, do - diseesa al sol
dell’ottava inferiore - mi
bemolle tenuto - di nuovo do). E
sull’accordo di la bemolle si
presenta in sette battute un
motivo viennese in ritmo
binario, simbolo di un sogno che
si spande nell’infinito. Questo
tema fra l’altro subirà molte
variazioni nel corso di tutta
l’opera sino all’inizio della
danza “senza nome”. Elettra
sogna cose vere, il rapido
ritorno di Oreste, la danza
sacrale della vittoria, l’ombra
che proietterà sul muro perché
alla luce delle torce tutti
possano vedere la grande gioia
procurata dall’evento. E alla
fine sogna la conclusione del
suo stato di Alektra (grafia
dorica di Elektra), di donna
senza talamo nuziale.
Clitennestra
sogna i terrori del
disfacimento, della morte
fisica. Il carattere della
regina è presentato musicalmente
in due parti distinte. Nella
prima prevale una certa
mestizia, nella seconda emerge
la volontà di combattere. Dica
Elettra, che parla come un
medico, il significato di ogni
sogno. Ma la capacità della
figlia, nelle risposte
monosillabiche che musicalmente
interrompono le veemenze
materne, sta nel ricondurre ogni
sogno al precedente, nel far
risaltare che un sogno si
stempera in tanti, ma è uno,
quello che preannuncia la fine
dell’assassina. Tuttavia, in
quanto espressione d’invasione
demoniaca, i sogni possono
essere interrotti perché sono
demoni e i demoni possono essere
scacciati. Il problema è
individuare la vittima cui dare
la caccia.
Il lungo dialogo in enigmi
rimane sospeso su questo punto
per compiere una virata.
L'interrogatorio di Elettra
verte su Oreste. Perché non
lasciarlo tornare. Non deve
tornare, è il senso della
risposta. E, quasi logica
conseguenza, ricompare il
discorso della purificazione
della viltima: da che cosa dovrà
sgorgare il sangue. Adesso è la
parte per il tutto: il tutto è
già scontato, la vittima deve
essere Clitennestra. Nel
concludere il colloquio Elettra
descrive minuziosamente quale
sarà e come sarà la caccia a
Clitennestra, ma tace il nome
del cacciatore.
Nel
pieno di un “molto vivace” che
sblocca una situazione anche
musicalmente di stallo, giunge,
dapprima sussurrata dalle
ancelle di Clitennestra, la
notizia della morte di Oreste.
Il segno dell’interiore presunta
vittoria della regina è espresso
con violenza dai brevi ma
massicci interventi degli
ottoni. Clitennestra è l’eroina
di un ‘cattivo trionfo’; non
comparirà mai più. Si udrà in
seguito il suo urlo mortale.
L'"Allegro molto appassionato"
che apre di fatto la seconda
sezione della tragedia introduce
al definitivo colloquio fra
Crisotemide ed Elettra. Il
tentativo di Strauss di rendere
la profonda tristezza in un
tempo mosso si deve dire
pienamente riuscito. È la parte
iniziale del concitato dialogo
sulla morte di Oreste.
Crisotemide annuncia, Elettra
nega, nega reiteratamente.
Prevalgono nella scansione il
cromatismo e l’ostinato; la
sorella dispiega liricamente il
suo dolore. Elettra prende la
decisione: è la seconda parte
del dialogo. Se Oreste è morto,
saranno loro due a compiere la
vendetta. Crisotemide rifiuta:
con la morte di Oreste giunge sì
un grande dolore, ma anche un
messaggio di liberazione.
Elettra non demorde. Forse siamo
giunti alla scena più grande e
profonda dell'opera. Pur di
vedere realizzato il suo
disegno, Elettra tesse l’elogio
della sorella, in realta
infantile, vigliacca, serva dei
suoi stessi servi. È pronta a
servirla, a riconoscere il
primato della sua femminilità,
della sua grazia. In due
troveranno la forza di eliminare
gli assassini del padre. Ma
Crisotemide, così infine giudica
Elettra, è figlia solo di
Clitennestra. Sia maledetta.
Farà tutto da sola. La musica
incalza nella prediletta
tonalità di re minore-re
maggiore, sino al “Prestissimo”
in do maggiore-do minore, cioè
sino alla parte che si conclude
con la maledizione.
L’interludio
che prepara l’incontro con
Oreste è un amaro, silenzioso,
dolente compianto di Elettra
sulla tomba del padre. Ed è
naturale che solo l’arrivo del
fralello porti ad un “Lento con
solennità”. Parla l’inviato
degli dèi, mosso da un fato
necessario. Non riconosce
Elettra, raccoglie notizie. La
sorella si lascia andare alla
descrizione della casa e dei
suoi ospiti. Poi il reciproco
riconoscimento. Tutta questa
parte del colloquio è andata dal
"Lento" all'"Allegro"; allorché
Oreste si rivela, e un "Vivace
assai" molto vicino ai tumulti
del cuore a congelare, a
paralizzare Elettra. Ci si
dovrebbe aspettare un urlo di
gioia. Invece no; “ganz
leise, bebend” - “a voce
bassa, tremando” pronuneia il
nome sacro del fratello, poi in
una tonalità tipicamente
romantica, quella di la bemolle
maggiore, esprime la sua
contenuta gioia, ricorda i
giorni dell’infanzia e parla
alla fine di se stessa: è
invecchiata, ma il bambino da
lei salvato da morte è qui,
bello come un sogno. Valeva la
pena di ridursi così, perdere la
cosa più bella e dolce, il
pudore. Infine ne tesse
l’elogio, con un encomio rivolto
a chi è beato perché ha una
missione da compiere, reiterato
poi in un “Vivace assai” su un
basso ostinato di
tonica-dominante in do maggiore.
Di
ciò che segue s’è già detto.
L’invocazione, l’esortazione di
Elettra a colpire ancora dopo il
primo colpo inferto a
Clitennestra non è un urlo
isterico liberatorio: è
l'equivalente dell’Osanna.
L'accoglienza ad Egisto è la
macabra mimesi dell’incipiente
morte del regicida; l’omaggio
rovesciato a Nietzsche della
inusica che nasce dalla
tragedia, un preziosismo per
introdurre alla danza teatrale.
Salomè, figlia di un
servo regale di un grande
impero, ha danzato languidamente
per avere la bocca del Battista.
Elettra ha danzato per il padre
defunto e per sé. Fosse il mondo
un mondo di donne come lei.
Strauss forse lo pensò e
terrorizzato cambiò rapidamente
strada.
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