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DG - 1
CD - 453 423-2 - (p) 1997
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| Ludwig van
BEETHOVEN (1770-1827) |
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| Symphonie Nr. 9
d-moll, Op. 125 |
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68' 41" |
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1. Allegro ma non troppo, un poco
maestoso |
15' 16" |
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2. Molto vivace |
11' 25" |
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3. Adagio molto e cantabile |
16' 05" |
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4a. Presto - |
7' 27" |
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4b. Presto - "O Freunde, nicht diese
Töne!" - Allegro assai |
18' 28" |
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| Solveig KRINGELBORN,
Sopran |
STAATSOPERNCHOR
DRESDEN
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Felicity PALMER,
Mezzosopran
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Matthias Brauer, Chorus
master |
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| Thomas MOSER, Tenor |
STAATSKAPELLE
DRESDEN |
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| Alan TITUS, Bass |
Giuseppe SINOPOLI |
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Luogo
e data di registrazione |
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Semperoper,
Dresden (Germania) - marzo 1996 |
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Registrazione:
live / studio |
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live
recording
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Executive
Producers |
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John
Fisher, Ewald Markl |
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Recording
Producer |
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Werner
Mayer |
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Tonmeister
(Balance Engineer)
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Klaus
Hiemann |
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Recording
Engineers
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Hans-Rudolf
Müller, Oliver Rogalla
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Editing |
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Rainer
Maillard |
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Prima Edizione
LP |
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Prima Edizione
CD |
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Deutsche
Grammophon | 453 423-2 |
LC 0173 | 1 CD - 68' 41" | (p)
1997 | 4D DDD |
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Note |
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Sembra un’opinione
ormai definitiva, non soltanto
in sede critica, quella di
considerare il poema sinfonico
come il genere compositivo
d’elezione di Respighi e di
ritenere che in questo ambito
creativo, nel descrittivismo e
nell’evocazione coloristica
della sua musica, abbia potuto
esplicarsi nella forma più
naturale la smagliante sua
abilità di strumentatore, una
maestria che si era nutrita
nei profondi suoi studi a
Bologna e collaudata nella
pratica di prima viola al
Teatro Imperiale di San
Pietroburgo e nel
perfezionamento con
Rimsky-Korsakov. Quanto al
profilo estetico, dei cinque
compositori della “generazione
dell’Ottanta” che riuscì a
sprovincializzare la musica
strumentale italiana con il
recupero di una tradizione
nazionale sei-settecentesca e
l’apertura della prassi
musicale del nostro paese al
sinfonismo, Respighi sembra
accostabile più ad Alfano che
a Pizzetti, Malipiero e
Casella, anche per la
specifica sua natura schiva di
ogni legame cosmopolita a
attualistico.
A Chiarina Fino-Savio, fida
amica e una delle prime
cantanti italiane dedite quasi
esclusivamente alla musica da
camera, Respighi, alla vigilia
della partenza per Roma dopo
la vittoria al concorso per la
cattedra di composizione a
Santa Cecilia, scrisse il 13
gennaio 1913: “certo io
parto... pensando al ritorno”.
Quasi timoroso di quella che
s’annunciava come una vera
svolta della sua traiettoria,
di individuo e di artista.
Aveva Respighi allora
trentatré anni e mezzo, la sua
fama era quasi inesistente, il
catalogo dei suoi lavori
ancora misero. Elsa Olivieri
Sangiacomo, un’allieva che
sarebbe divenuta la moglie del
musicista, documenta, nel
vasto suo archivio di
testimonianze, “la grande
emozione, la grandissima
curiosità” suscitata
dall’avvio dell’attività
didattica a Santa Cecilia del
nuovo maestro che a Roma
rivelò di possedere
un’autentica vocazione per
l’insegnamento. Al di fuori di
Santa Cecilia però, Respighi
non fece mai mistero della sua
ritrosia a prender confidenza
con la città che sarebbe
diventata la protagonista, o,
almeno il principale punto di
riferimento dei capolavori
sinfonici: a Roma, per
Respighi, ogni metro pareva
avere “un centimetro più dei
cento”.
In realtà proprio a Roma
Respighi avrebbe conseguito di
lì a poco un'affermazione tale
da essere poi giudicato come
il compositore sinfonico più
importante d’Italia nel primo
Novecento.
L’Ouverture carnevalesca
del 1913, la Sinfonia
drammatica del 1915, tra
l’altro, non fecero
intravvedere quanto era sul
punto di verificarsi: un
rapporto meno problematico con
l’ambiente musicale romano,
grazie all’assidua
frequentazione delle stagioni
concertistiche dell’Augusteo.
Nell’aprile 1913 Richard
Strauss vi diresse Ein
Heldenleben, Tod und
Verklärung, Don Juan,
Till Eulenspiegel;
l’anno dopo Willem Mengelberg
avrebbe presentato la Quarta
Sinfonia di Mahler. Nel
1916 Respighi è impegnato
nella stesura delle Fontane
di Roma, “un blocco
unico, di una continuità
travolgente, che non deve
nulla a nessuno” (D’Amico).
L'annunciata prima esecuzione
all’Augusteo sotto la
bacchetta di Toscanini, a fine
novembre di quell’anno, non
ebbe luogo in seguito alla
contestazione di parte del
pubblico per la presenza del Mormorio
della foresta e della Marcia
funebre di Sigfrido nel
programma precedente, venendo
associato il nome di Wagner
alla commozione per i morti di
Padova, dopo un attacco acreo
austriaco. Ma l’11 marzo 1917,
con Antonio Guarnieri sul
podio, le Fontane di Roma
furono conosciute a Santa
Cecilia: alla prima sera,
secondo il ricordo di Elsa
Olivieri Sangiacomo, “un
succcsso piuttosto freddo...
critiche poco favorevoli da
parte di quasi tutta la stampa
che loda invece
incondizionatamente la
strumentazione”. La rivincita
ebbe luogo però a Milano l’11
febbraio successivo, auspice
Toscanini: un trionfo.
Di mera funzione illustrativa
la nota premessa dell'autore:
“esprimere sensazioni e
visioni suggerite da quattro
fontane di Roma, considerate
nell’ora in cui il loro
carattere è più in armonia col
paesaggio circostante o in cui
la loro bellezza appare meglio
suggestiva a chi le contempli
(...) ‘La fontana di Valle
Giulia all’alba’ (...) evoca
un paesaggio pastorale (...)
‘La fontana del Tritone al
mattino’ (...) è come un
richiamo gioioso (...) ‘La
fontana di Trevi al meriggio’
(...) assume un aspetto
trionfale (...) ‘La fontana di
Villa Medici al tramonto’
(...) l’aria è piena di
rintocchi di campane, di
bisbigli d’uccelli, di brusii
di foglie. Poi tutto si quieta
dolcemente nel silenzio della
notte”.
Otto anni dopo, Pini di
Roma. La vita di
Respighi è cambiata, a Santa
Cecilia e direttore del
conservatorio, non lascia però
l’insegnamento. Elsa, sua
moglie dal 1919, racconta la première
all’Augusteo la sera del 14
dicembre 1924, direttore
Bernardino Molinari: “pubblico
strabocchevole, molta
elettricità nell'aria“. Fischi
al primo tempo, poi successo
enorme. Anche qui le
didascalie furono apposte a
composizione definitivamente
ultimata; “nei Pini di
Roma la natura funge da
punto di partenza per
riproporre evocazioni e
visioni lontane (...) ‘I pini
di Villa Borghese’ (...)
giuocano i bimhi, ballano a
girotondo (...) e sciamano
via. ‘Pini presso una
catacomba’ (...) sale dal
profondo una salmodia
accorata, si diffonde solenne
come un inno e dilegua
misteriosa (...) ‘I pini del
Gianicolo’ (...) un usignolo
canta. ‘I pini della Via
Appia’ (...) alla fantasia del
poeta appare una visione di
antiche glorie (...)”. Ha
osservato in proposito Massimo
Mila: “basta uno sguardo alla
partitura per avvedersi: non
più il denso accavallarsi e
incrociarsi di polifonie
decorative, ma ordine,
chiarezza e disegno”.
Assai più laboriosa fu la
stesura delle Feste romane
(1928). Appena terminata la
composizione, Respighi
dichiarò alla moglie: “Così
come è formata oggi
l’orchestra non si può
ottenere di più, e non credo
che io scriverò ancora
partiture di questo genere”.
La prima assoluta, a New York
il 21 febbraio 1929, sul podio
Arturo Toscanini. Anche qui la
nota illustrativa dà soltanto
una pallida immagine allo
sfolgorio dei timbri, dei
ritmi e dei virtuosismi della
scrittura strumentale.
L'intento dell’autore fu
quello di rendere in musica
visioni e ricordi di feste
romane. “`Circenses’. Il cielo
è torvo sul Circo Massimo, ma
la plebe è in festa (...) Il
Canto dei martiri. ‘Il
Giubileo’. I
pellegrini si trascinano per
la lunga via pregando. (...)
Finalmente (...) un inno di
giubilo. ‘L’Ottobrata’. Festa
nei Castelli (...) Poi, nel
vespero dolce, trema un
serenata romantica. ‘La
Befana’. La notte
dell’Epifania in Piazza Navona
(...) Il fiero stornello in
cui s’espande l’anima
popolaresca”. Con questo
pannello del trittico romano
si conclude per Respighi
un'epoca, anche una fase ben
determinata della sua
produzione. L'autore ne era
ben consapevole: “Ormai
m'interessano molto di più i
piccoli complessi e la piccola
orchestra" riferì alla
consorte.
Luigi
Bellingardi
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