DG - 2 CDs - 447 744-2 - (p) 1996


Compact Disc 1
60' 31"
Anton BRUCKNER (1824-1896) Symphonie Nr. 8 c-moll
85' 51"

Version: 1890 - Edition: Leopold Nowak



- 1. Allegro moderato 17' 19"


- 2. Scherzo. Allegro moderato Trio. Langsam 15' 19"


- 3. Adagio. Feierlich langsam, doch nicht schleppend 27' 53"


Compact Disc 2

54' 10"

- 4. Finale. Feierlich, nicht schnell 25' 20"






Richard STRAUSS (1864-1949) Metamorphosen, AV 142
28' 40"

Studie für 23 Solostreicher



- Adagio ma non troppo - Agitato - Più allegro - Adagio, tempo primo - Molto lento
28' 40"






 
STAATSKAPELLE DRESDEN
Giuseppe SINOPOLI
 






Luogo e data di registrazione
Lukaskirche, Dresden (Germania) - dicembre 1994

Registrazione: live / studio
studio


Executive Producer
Roger Wright

Recording Producer
Werner Mayer

Tonmeister (Balance Engineer)
Klaus Hiemann

Recording Engineer
Oliver Rogalla

Editing
Oliver Rogalla, Ingmar Haas


Prima Edizione LP
-

Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 447 744-2 | LC 0173 | 2 CDs - 60' 31" & 54' 10" | (p) 1996 | 4D DDD


Note
-















Bruckner: Ottava Sinfonia
I
primi schizzi dell'Ottava Sinfonia Anton Bruckner (1824-1896) li stese nel 1884. La prima esecuzione assoluta dell’opera avvenne nel 1892, otto anni più tardi. Si può pertanto immaginare il travaglio attraversato da quella che rimane la più monumentale tra le Sinfonie di Bruckner. E pensare che egli ne aveva dietro alle spalle un bel numero: sette, se si eccettuano una primissima Sinfonia in fa minore ed un’altra qualificata come Numero "0". La nascita dell’Ottava si arenò contro il giudizio del direttore d'orchestra Hermann Levi, che aveva portato al trionfo la Settima a Monaco di Baviera, ma che bocciò inappellabilmente il nuovo lavoro. Questa valutazione scosse profondamente Bruckner, al punto che egli diede avvio ad un febbrile lavoro di revisione, ampio e profondo. Abbiamo così due redazioni della Sinfonia: quella scritta fra il 1884 ed il 1887, e quella terminata nel 1890. Le differenze tra le due sono sensibili e riguardano sia la forma che la strumentazione.
Le edizioni dell'Ottava pubblicate rispettivamente da Robert Haas (1938) e da Leopold Nowak (1955) tengono conto in diversa misura delle modifiche apportate al testo dall’autore. È tuttavia nella versione del 1890, pubblicata da Nowak, che la Sinfonia venne eseguita per la prima volta sotto la direzione di Hans Richter, a Vienna, il 18 dicembre 1892. Dedicata all'Imperatore Francesco Giuseppe I, riscosse un successo entusiastico e pressoché unanime, ad eccezione degli strali lanciati dal celebre critico Hanslick, irriducibile censore della nuova musica di Wagner e dei suoi discepoli, seppur solamente ideali, come Bruckner.
Parlando della monumentalità di quest'opera bisogna stare attenti a non esprimersi in termini categorici perché, qualche tappa addietro, nel catalogo bruckneriano si trova un’altra sinfonia che per la grandiosità dell’impianto e per la sostanza della materia esposta ne tiene il passo: la Quinta, lavoro che Bruckner non ebbe mai l'occasione di ascoltare in quanto venne eseguita per la prima volta solamente nel 1894, quando l’autore era già gravemente malato. Pagina dolorosa, proiettata verso una drammatica ricerca di una dimensione di fede assoluta, la Quinta porta pressoché all'esasperazione il gioco contrappuntistico. Sempra quasi che l’autore abbia voluto cercare ancora una volta, mediante l'elaborazione delle geometrie, una risposta, sia pure solamente simbolica, ai dolori della propria anima.
Tutto quanto v'era nella Quinta di sofferente e di lacerante, nell'Ottava si distende invece in uno sconfinato paesaggio dagli anfratti anche ombrosi, con punti anche tumultuosi, questo sì, ma percorso, da un capo all'altro, da una vena di indicibile lirismo. Con questa Sinfonia si può affermare che Bruckner abbia trovato il modo più giusto e più puro per distaccarsi dalle sue ossessioni, dalla sua maniacale ricerca dell'equilibrio della forma. Travagli e dubbi sembrano placati da un gesto di enorme sicurezza interiore. Anche qui, però, pur nella stupenda armonia del percorso, tutto è giocato sui particolari, su quei minimi cambiamenti di registro che provocano intensi ed evidentissimi mutamenti di atmosfera.
L’Ottava si apre con un “Allegro moderato” scritto in forma-sonata che prende l’avvio lasciando sorgere il primo tema dalle viole, dai violoncelli e dai contrabbassi; quasi un moto tellurico, che si estende a poco a poco, fino a giungere ad una terminale esplosione. Prima di concludere veramente, però, Bruckner cambia di atmosfera e passa dalla luce smagliante di questa fase ad una coda in tono sommesso, dal sapore disperato.
Lo “Scherzo. Allegro moderato” (collocato, come già nella Nona di Beethoven e successivamente in quella proprio di Bruckner, in seconda anzic in terza posizione) è decisamente uno dei più belli del compositore. L'autore vi riesce a conciliare la leggerezza di un andamento quasi schubertiano con l'ampiezza del gesto richiesta dalla scrittura per grande orchestra, senza che per questo le linee si appesantiscano mai. È opportuno rilevare come sia proprio negli scherzi che Bruckner lascia apparire nella maniera più diretta il suo candore, materializzato nel tipico andamento di danza. Nel contempo, però, la forza emotiva contenuta è di dimensione cosmica; è implacabile e soggioga, in modo diverso ma ugualmente profondo rispetto agli altri movimenti delle Sinfonie.
Anche l'"Adagio" vanta un primato: è forse la più riuscita fra le pagine contemplative che il nostro autore abbia scritto. La sua struttura è assai complessa, ma la tecnica compositiva si cancella miracolosamente dietro una sostanza musicale con pochi uguali. Questa parte della Sinfonia si pone tra il finale violento e perentorio dello "Scherzo" e l`inizio, altrettanto perentorio - e, per di più, tumultuoso - del "Finale". È un’isola di pace, dove il tempo sembra fermarsi. Bruckner è riuscito, qui come forse da nessun’altra parte, a sospendere l’istante, a muoversi in un'atmosfera irreale, eterna, cui idealmente aspirava.
La trasparenza dell'"Adagio", con le sue luci chiare ma diffuse, contrasta con la forza grandiosa del “Finale”, dove l'autore muove masse orchestrali imponenti con un'agilità ed una scioltezza che appartenevano solo a lui. Si va da una cavalcata eroica, dove il primo tema viene lanciate da corni, tromboni e tube (cui si aggiungono, poi, le trombe), ad un’oasi di tranquillità, con un secondo tema ampio, cantato da violini, viole e corni, che poi si trasforma in un corale, con le trombe ed i legni. Basta descrivere questo inizio, con il suo profondo contrasto di atmosfere, per constatare come l’anelito di Bruckner verso l’assoluto seguisse i ritmi tumultuosi del suo disagio esistenziale. La sua grande arte gli ha permesso di tradurre quei repentini mutamenti d’umore che portano l’uomo a passare, in un istante, dalla più profonda depressione alla gioia più inebriante, dall'angoscia più cupa all’estasi più vibrante. Nella musica di Bruckner - e in questo “Finale” in particolare - esiste pure un atteggiamento di volontà che, per certi versi, è da paragonare a quello manifestato da Beethoven. Si tratta della forza bruciante di voler vedere assolutamente la luce, di voler andare irrimediabilmente verso di essa. Ciò che è diverso, semmai, fra i due compositori, è l'approccio al trascendente: Beethoven credeva fermamente nell’uomo, Bruckner in Dio.
L’Ottava Sinfonia si chiude con una grandiosa coda ove vengone ripresi varii temi dai quattro movimenti. È una specie di sintesi di un vissuto che trova la sua liberazione nella luminosità del do maggiore finale. Come si ricorderà, la Sinfonia parte con un tema che sembra sorgere dalle viscere della terra ed avviarsi su quella strada che lo porterà nella pienezza di una luce cosmica.
Strauss: Metamorphosen
Le Metamorphosen (Metamorfosi) di Richard Strauss (1864-1949) recano come sottotitolo la dizione “Studio per ventitré archi solisti”. Vennero scritte a Garmisch, in Baviera, fra il marzo e l’aprile del 1945 per essere poi eseguite a Zurigo dal dedicatario Paul Sacher con il suo Collegium Musicum. Dietro il titolo ed il settotitolo, in sé molto freddi, quest’opera cela una profonda dimensione spirituale. Le Metamorfosi sono state scritte a partire da un minuscolo nucleo tematico, più precisamente il secondo elemento della prima frase nella “Marcia funebre" dell'"Eroica" di Beethoven. Questa scelta, nonostante le dichiarazioni contrarie di Strauss, molto probabilmente è stata compiuta non per caso. Costituisce lo spunto per una riflessione sulla guerra e sulla sua fine, il cui annuncio in Germania fu dato proprio facendela seguire dalle note della celebre pagina beethoveniana.
Quello delle Metamorfosi è un lungo adagio, dove ognuno dei 23 strumenti profila un discorso autonomo che si combina con quello degli altri secondo una logica stupefacente in termini armonici e contrappuntistici. Non esiste alcun intento descrittivo, nessuna forma di evocazione in questa pagina. La si può tuttavia definire un requiem laico, ove l’Uomo riflette sulla morte degli altri e sulla propria. L'uomo Strauss era cosciente dell’approssimarsi della fine e questo, in luogo di creargli angoscia, gli suscitava anzi quel sentimento di sereno distacco che lo avrebbe portato ancora a scrivere i Quattro ultimi lieder (Vier letzte Lider) per voce e orchestra. Lo avrebbe fatto con la stessa saggezza immensa contenuta nelle Metamorfosi, ma anche con quella totale pienezza lirica che nell’opera qui presentata non vuole, deve esserci
.
Fernando De Carli