DG - 1 CD - 439 865-2 - (p) 1994

Richard STRAUSS (1864-1949) Vier letzte Lieder
20' 52"

- 1. Frühling (Hermann Hesse) 3' 21"


- 2. September (Hermann Hesse) 4' 39"


- 3. Beim Schlafengehen (Hermann Hesse) 5' 12"


- 4. Im Abendrot (Joseph von Eichendorff) 7' 40"






Richard WAGNER (1813-1883) Wesendonck-Lieder · Fünf Gedichte für eine Frauenstimme
21' 20"

- 1. Der Engel (Mathilde Wesendonck) 3' 19"


- 2. Stehe still! (Mathilde Wesendonck) 3' 38"


- 3. Im Treibhaus (Mathilde Wesendonck) 6' 16"


- 4. Schmerzen (Mathilde Wesendonck) 2' 45"


- 5. Träume (Mathilde Wesendonck) 5' 22"






Richard WAGNER
Tristan und Isolde



- Vorspiel zum I. Aufzug
11' 04"

- Isoldes Liebestod
7' 03"





 
Cheryl STUDER, Sopran

STAATSKAPELLE DRESDEN
Giuseppe SINOPOLI
 






Luogo e data di registrazione
Lukas-Kirche, Dresden (Germania) - giugno 1993

Registrazione: live / studio
studio


Produced by
Wolfgang Stengel

Associate Producer
Pål Christian Moe

Tonmeister (Balance Engineer)
Klaus Hiemann

Recording Engineers
Oliver Rogalla, Wolf-Dieter Karwatky

Editing
Werner Mayer

Prima Edizione LP
-

Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 439 865-2 | LC 0173 | 1 CD - 60' 35" | (p) 1994 | 4D DDD


Note
-















CANTO AL CREPUSCOLO
Nella specifica storia del lied il contributo di Richard Wagner si può considerare, a seconda delle prospettive, minore o unico. Secondario, perfino trascurabile, se lo si valuta dal punto di vista della continuità. Determinante, se l’estetica esplorata è quella del presente programma. Poiché allora il significato dell’esigua produzione liederistica si irradia oltre i suoi limiti, investendo più ampi problemi: il rinnovato rapporto tra significato del testo e musica; il rilancio della lirica da camera verso la nuova espressività; la ricreazione tramite il canto di una sensualità di dimensioni fisiche e metafisiche avveniristiche.
In questa ottica l’isolato esperimento dei Fünf Gedichte für eine Frauenstimme mit Pianoforte-Begleitung (Cinque liriche per voce femminile con accompagnamento di pianoforte), meglio conosciuti come Wesendonck-Lieder (nella strumentazione completata da Felix Mottl), ha fornito un riferimento inevitabile per tutti i compositori post-romantici. Punto di fusione originale, distinto dall’impostazione intimista e colloquiale del lied tradizionale, è il congiungimento della voce - impiegata secondo modalità di forte spinta architettonica - al disegno sviluppato dall’accompagnamento, più allusivo dranimaturgicamente che non semplicisticamente gregario.
1857. Anno fatale. Nella quiete di Zurigo, Wagner sospende l’avventura della Tetralogia per solcare i mari di Cornovaglia con Mathilde-Isotta, sua trasfigurata e trasfigurante eroina. Per affrontare la tematica ardita dell’amore che si fa eros, della passione che oltrepassa i propri limiti. I Wesendonck-Lieder sono un ciclo compiuto, ma è più suggestivo leggerli come un meraviglioso incunabolo di Tristan und Isolde.
Le cinque composizioni furono concepite nell’arco di cinque rnesi, tra fine novembre del 1857 ed inizio maggio del 1858. Il ciclo venne poi rielaborato nell’ottobre 1858 a Venezia; la strumentazione completa venne effettuata da Mottl alcuni anni più tardi.
Autrice dei versi, nonché musa ispiratrice, del ciclo come di Tristan und Isolde, fu Mathilde Wesendonck, moglie del commerciante Otto, ospite munifico di Wagner in una sua proprietà fuori Zurigo. La passione per Mathilde - segreta, seppure generosamente documentata - ebbe riflessi sull’attività artistica e letteraria del musicista. Rendendo ad esempio poco plausibile l’immediata prosecuzione del Ring, e inevitabile l'immersione nella dimensione amorosa estremista svelata in questi canti e fatta divampare tragicamente nella vicenda di Tristano e Isotta.
Due di questi lieder, che segnano l'immaginazione dell’ascoltatore per l’impiego libero e reinventato dei procedimenti accompagnatorii e dell’armonia, dichiarano le parentele con l’opera ventura. Chiamati entrarnbi dall’autore “Studi per Tristan und Isolde”, si rifanno direttamente al gran duetto d’amore del secondo atto (“Träume”, l’unico orchestrato da Wagner) e al “Preludio” del terzo (“Im Treibhaus”). Ma anche negli altri incombe la presenza dell’opera alla cui musica Wagner lavorò con frenesia tra l’ottohre 1857 e l’agosto 1859: in particolare è difficile rimuovere l’impressione d’una stretta relazione tra alcune soluzioni accordali di “Schmerzen” e uno dei Leitmotive portanti del Tristano.
Già la qualità dei testi, pur non potendo essere considerata di per sé straordinaria, colpisce per la proprietà delle soluzioni linguistiche e per la pertinenza del clima poetico-amoroso. In felice fusione di slanci sensuali venati da ombre schopenhaueriane (l’immagine del “vuoto abbaglio del giorno” in “Im Treibhaus”) e dell’apoteosi della Minne, l’amor cortese dei Minnesänger medievali celebrato da Wagner come il simbolo della passione totale e delirante, intellettuale e carnale, dolorosamente divampante e eterna.
Tutto ciò converge come motivo dominante, assolutistico, in Tristan und Isolde. E diventa spontaneo considerarlo condensato in quella sorta di accorato poema sinfonico (con o senza voce) noto come Tristan und Isolde - Vorspiel und Liebestod, fin dalla prima esecuzione diretta da Wagner a S. Pietroburgo il 26 febbraio 1863. Il tormentato “Preludio” può essere ascoltato non tanto come introduzione all’opera che non sentiremo, ma quale anticamera al dramma della trasfigurazione sentimentale, un’introduzione cupa all’inno alla morte affidato all’ultimo canto di Isotta: avvolgente e dolorosamente vertiginoso.
Estasi e sfinimento, morte e catarsi definitiva. Il cammino d’amore è un percorso di tensioni musicali. L’enigmatico avvio, frutto della congiunzione di due rabbrividenti lacerti ternatici - uno discendente (Ergebung-Motiv, motivo della rassegnazione), uno cromatico ascendente (Liebestrank-Motiv, motivo del filtro d’amore) - saldati nell’inestricabile, terribile e proverbiale Tristan-Akkord (fa-si-re diesis-sol diesis), è metodicamente ribadito come un’incubo onnipresente e lacerante per tutta la pagina. Dolce, rappacificata, e già metafisica, è invece l'ossessione scandita dalla voce. Procede verso l’alto o sprofonda? La direzione non conta. Come nel gran duetto centrale dell’opera, ove ogni cosa veniva sominersa e confusa nella notte, e le individualità erano annullate, le ferite d’amore si compongono. Le tonalità sbrecciate e negate nel “Preludio” si rimarginano.
La morte viene accettata: illumina e concilia. Come una pace immensa, silenziosa. “Sara forse la morte?” Se lo chiede ancora Joseph von Eichendorff, in “Im Abendrot”: la musica di Richard Strauss gli risponde con un’autocitazione ‘trasfigurata’ da Tod and Verklärung (Marte e trasfigurazione, appunto), che assume il sapore d’un immenso congedo. Certo la nostalgia che inonda i Vier letzte Lieder (Quattro altimi lieder, completati tra aprile e settembre 1948; ma gli abbozzi di “Im Abendrot” sembrano risalire agli ultimi giorni del 1946) è sentimento meno metafisico rispetto a quello wagneriano: una categoria emotiva non dell’anima.
Con queste partiture Strauss riannoda a sé e trascende - in un abbraccio malinconico ma ebbro di nostalgia - le sue grandi tematiche artistiche: la Voce, il liederismo, e tutto un mondo sonoro post-romantico conciliato in un’immagine di bellezza classica e decadente, mai tragica o traumatica. Al di là del ruolo simbolico di veggente testamento spirituale, i quattro poemi (tre su testo di Hermann Hesse, l’ultimo di Eichendorff) compongono l’estremo inno alla notte creato da un compositore romantico. E allo stesso tempo definiscono il suono della più commovente elegia funebre dedicata allo spettro della grande musica occidentale e della tradizione vocale-orchestrale che più di ogni altra l’aveva impersonata.
La luce purpurea del crepuscolo che emana dall’ultime canto illumina, inquieta e calma, un capolavoro fuori dal tempo - tenuto a battesimo alla Royal Albert Hall di Londra il 22 maggio 1950 da Kirsten Flagstadt e Wilhelm Furtwängler - in cui il dualismo wagneriano di Liebe e Minne appare lontano. Confinato sullo sfondo come eco madida di poesia. Irrimediabilmente perduta anch’essa: come il morido da cui era stata generata.
Angelo Foletto