CANTO
AL CREPUSCOLO
Nella
specifica storia del lied il
contributo di Richard Wagner
si può considerare, a
seconda delle prospettive,
minore o unico. Secondario,
perfino trascurabile, se lo
si valuta dal punto di vista
della continuità.
Determinante, se l’estetica
esplorata è quella del
presente programma. Poiché
allora il significato
dell’esigua produzione
liederistica si irradia
oltre i suoi limiti,
investendo più ampi
problemi: il rinnovato
rapporto tra significato del
testo e musica; il rilancio
della lirica da camera verso
la nuova espressività; la
ricreazione tramite il canto
di una sensualità di
dimensioni fisiche e
metafisiche avveniristiche.
In questa
ottica l’isolato esperimento
dei Fünf Gedichte für
eine Frauenstimme mit
Pianoforte-Begleitung
(Cinque liriche per voce
femminile con
accompagnamento di
pianoforte), meglio
conosciuti come Wesendonck-Lieder
(nella strumentazione
completata da Felix Mottl),
ha fornito un riferimento
inevitabile per tutti i
compositori post-romantici.
Punto di fusione originale,
distinto dall’impostazione
intimista e colloquiale del
lied tradizionale, è il
congiungimento della voce -
impiegata secondo modalità
di forte spinta
architettonica - al disegno
sviluppato
dall’accompagnamento, più
allusivo dranimaturgicamente
che non semplicisticamente
gregario.
1857. Anno
fatale. Nella quiete di
Zurigo, Wagner sospende
l’avventura della Tetralogia
per solcare i mari di
Cornovaglia con
Mathilde-Isotta, sua
trasfigurata e trasfigurante
eroina. Per affrontare la
tematica ardita dell’amore
che si fa eros, della
passione che oltrepassa i
propri limiti. I Wesendonck-Lieder
sono un ciclo compiuto,
ma è più suggestivo leggerli
come un meraviglioso
incunabolo di Tristan
und Isolde.
Le cinque composizioni
furono concepite nell’arco
di cinque rnesi, tra fine
novembre del 1857 ed inizio
maggio del 1858. Il ciclo
venne poi rielaborato
nell’ottobre 1858 a Venezia;
la strumentazione completa
venne effettuata da Mottl
alcuni anni più tardi.
Autrice dei
versi, nonché musa
ispiratrice, del ciclo come
di Tristan und Isolde,
fu Mathilde Wesendonck,
moglie del commerciante
Otto, ospite munifico di
Wagner in una sua proprietà
fuori Zurigo. La passione
per Mathilde - segreta,
seppure generosamente
documentata - ebbe riflessi
sull’attività artistica e
letteraria del musicista.
Rendendo ad esempio poco
plausibile l’immediata
prosecuzione del Ring,
e inevitabile l'immersione
nella dimensione amorosa
estremista svelata in questi
canti e fatta divampare
tragicamente nella vicenda
di Tristano e Isotta.
Due di questi
lieder, che segnano
l'immaginazione
dell’ascoltatore per
l’impiego libero e
reinventato dei procedimenti
accompagnatorii e
dell’armonia, dichiarano le
parentele con l’opera
ventura. Chiamati entrarnbi
dall’autore “Studi per Tristan
und Isolde”, si
rifanno direttamente al gran
duetto d’amore del secondo
atto (“Träume”, l’unico
orchestrato da Wagner) e al
“Preludio” del terzo (“Im
Treibhaus”). Ma anche negli
altri incombe la presenza
dell’opera alla cui musica
Wagner lavorò con frenesia
tra l’ottohre 1857 e
l’agosto 1859: in
particolare è difficile
rimuovere l’impressione
d’una stretta relazione tra
alcune soluzioni accordali
di “Schmerzen” e uno dei Leitmotive
portanti del Tristano.
Già la qualità
dei testi, pur non potendo
essere considerata di per sé
straordinaria, colpisce per
la proprietà delle soluzioni
linguistiche e per la
pertinenza del clima
poetico-amoroso. In felice
fusione di slanci sensuali
venati da ombre
schopenhaueriane (l’immagine
del “vuoto abbaglio del
giorno” in “Im Treibhaus”) e
dell’apoteosi della Minne,
l’amor cortese dei Minnesänger
medievali celebrato da
Wagner come il simbolo della
passione totale e delirante,
intellettuale e carnale,
dolorosamente divampante e
eterna.
Tutto ciò
converge come motivo
dominante, assolutistico, in
Tristan und Isolde. E
diventa spontaneo
considerarlo condensato in
quella sorta di accorato
poema sinfonico (con o senza
voce) noto come Tristan
und Isolde - Vorspiel
und Liebestod, fin
dalla prima esecuzione
diretta da Wagner a S.
Pietroburgo il 26 febbraio
1863. Il tormentato
“Preludio” può essere
ascoltato non tanto come
introduzione all’opera che
non sentiremo, ma quale
anticamera al dramma della
trasfigurazione
sentimentale,
un’introduzione cupa
all’inno alla morte affidato
all’ultimo canto di Isotta:
avvolgente e dolorosamente
vertiginoso.
Estasi e
sfinimento, morte e catarsi
definitiva. Il cammino
d’amore è un percorso di
tensioni musicali.
L’enigmatico avvio, frutto
della congiunzione di due
rabbrividenti lacerti
ternatici - uno discendente
(Ergebung-Motiv,
motivo della rassegnazione),
uno cromatico ascendente (Liebestrank-Motiv,
motivo del filtro d’amore) -
saldati nell’inestricabile,
terribile e proverbiale Tristan-Akkord
(fa-si-re diesis-sol
diesis), è metodicamente
ribadito come un’incubo
onnipresente e lacerante per
tutta la pagina. Dolce,
rappacificata, e già
metafisica, è invece
l'ossessione scandita dalla
voce. Procede verso l’alto o
sprofonda? La direzione non
conta. Come nel gran duetto
centrale dell’opera, ove
ogni cosa veniva sominersa e
confusa nella notte, e le
individualità erano
annullate, le ferite d’amore
si compongono. Le tonalità
sbrecciate e negate nel
“Preludio” si rimarginano.
La morte viene
accettata: illumina e
concilia. Come una pace
immensa, silenziosa. “Sara
forse la morte?” Se lo
chiede ancora Joseph von
Eichendorff, in “Im
Abendrot”: la musica di
Richard Strauss gli risponde
con un’autocitazione
‘trasfigurata’ da Tod
and Verklärung (Marte
e trasfigurazione, appunto),
che assume il sapore d’un
immenso congedo. Certo la
nostalgia che inonda i Vier
letzte Lieder (Quattro
altimi lieder,
completati tra aprile e
settembre 1948; ma gli
abbozzi di “Im Abendrot”
sembrano risalire agli
ultimi giorni del 1946) è
sentimento meno metafisico
rispetto a quello
wagneriano: una categoria
emotiva non dell’anima.
Con queste
partiture Strauss riannoda a
sé e trascende - in un
abbraccio malinconico ma
ebbro di nostalgia - le sue
grandi tematiche artistiche:
la Voce, il liederismo, e
tutto un mondo sonoro
post-romantico conciliato in
un’immagine di bellezza
classica e decadente, mai
tragica o traumatica. Al di
là del ruolo simbolico di
veggente testamento
spirituale, i quattro poemi
(tre su testo di Hermann
Hesse, l’ultimo di
Eichendorff) compongono
l’estremo inno alla notte
creato da un compositore
romantico. E allo stesso
tempo definiscono il suono
della più commovente elegia
funebre dedicata allo
spettro della grande musica
occidentale e della
tradizione
vocale-orchestrale che più
di ogni altra l’aveva
impersonata.
La luce
purpurea del crepuscolo che
emana dall’ultime canto
illumina, inquieta e calma,
un capolavoro fuori dal
tempo - tenuto a battesimo
alla Royal Albert Hall di
Londra il 22 maggio 1950 da
Kirsten Flagstadt e Wilhelm
Furtwängler - in cui il
dualismo wagneriano di Liebe
e Minne appare
lontano. Confinato sullo
sfondo come eco madida di
poesia. Irrimediabilmente
perduta anch’essa: come il
morido da cui era stata
generata.