|
Collocata
tra l'ardente Quarta e
la cupissima Sesta, la
Quinta Sinfonia in mi m op.
64 (maggio-agosto 1888)
non ha al pari di quelle
sottintesi programmatici più o
meno espliciti, ma conserva lo
stesso carattere di forte
suggestione emotiva. Per tre
quarti è lecito riscontrare in
essa gli esiti più alti fino
ad allora raggiunti da
Ciaikovski in campo sinfonico;
mentre il finale, che
all’autore stesso parve
inadeguato, è un nodo
irrisolto che rimette in
discussione l'equilibrio
raggiunto, e un'ombra si
allarga sul senso della sua
funzione. Non diversamente da
Bruckner, nello stcsso lasso
di tempo, Ciaikovski sembra
avvertire la crisi d’identità
della forma sinfonica classica
proprio nel ruolo da assegnare
all’ultimo movimento, non solo
tradizionalmente, ma anche
costituzionalmente luogo
deputato al compimenlo delle
parti precedenti. Affinché cio
accada, è necessario che il
finale assommi su di sé le
tensioni sia dei temi sia del
clima generale di cui la
musica è pervasa, fino a
renderli appropriatamente
conclusivi; questo è almeno
ciò che ci si aspetta da una
sinfonia concepita in quattro
movimenti in organico rapporto
tra loro. Di tale neeessità
perfino la scelta di
un'articolazione ciclica,
secondo la nuova tendenza
romantica, doveva tener conto
in modo non puramente
estrinseco: a meno di non
voler distruggere, come farà
Mahler, tanto l`essenza quanto
l'immagine del modello ormai
decaduto.
La
"inadeguatezza" del finale
della Quinta Sinfonia,
quasi un ritornello di tutta
la critica intonato per primo
da Ciaikovski, non dipende da
una incapacità di
rivitalizzare questo schema ed
è semmai inerente alla
sostanza del materiale stesso,
e dello spirito che
l`impregna. Apparentemente la
Sinfonia presenta
un'unità saldissima, garantita
dal ritorno lungo tutti i
movimenti dell’idea
principale, idée fixe
o motto, esposta all’inizio
nell’introduzione, "Andante":
la ritroviamo nel secondo
movimento, "Andante cantabile,
con alcuna licenza", il quale
è in forma tripartita, e nella
chiusa del terzo, una "Valse"
in forma di scherzo; nonché,
di nuovo, sia
nell'introduzione che nella
coda del quarto, trionfalmente
trasportata in tonalità
maggiore. Il carattere di
questo motivo, in origine
esposto da due clarinetti
all`unisono sul contrappunto
degli archi gravi, è però
quanto di meno adatto esista
per una trasformazione
altermativa quale si richiede
a un finale: anzi, la sua
stessa natura è quella di
esprimere una fatale
rassegnazione, a cui nel corso
del tempo è stato tolto ogni
residuo di energia vitale;
figura-simbolo per sua natura
contraria a volgersi in attiva
perorazione di una causa.
Se
vogliamo seguire l'indicazione
di Ciaikovski, secondo cui
nella Quinta si
consuma "una completa
rassegnazione di fronte al
destino", il motto rappresenta
la quintessenza della
rassegnazione: ciò che segue è
la dilatazione di questo
sentimento di fondo - non un
programma, ma uno stato
d`animo radicato nell’intimo
-, avvertibile chiaramente nel
fatto che i primi tre
movimenti ne sono dominati,
senza che ne nascano sviluppi
capaci di contrastare il tono
di fondo. Il tentativo di dare
al motto un significato
conciliante e addirittura uno
slancio eroico si attua alla
fine dell'"Andante cantabile",
pagina di rassegnazione
letteralmente infinita, e
produce come antidoto alla
depressione la tristezza
trasognata e piena di grazia
del valzer, spesso in
Ciaikovski luogo soffuso di
dolci memorie e di amari
rimpianti. La sua
riapparizione come eco o
citazione alla fine dello
scherzo vale come affermazione
definitiva del suo valore:
sicché stride e sorprende la
sua improvvisa trasformazione
in motivo enfaticamente
marziale, capace di condurre
la Sinfonia a una
sforzata conclusione
trionfale. L`ultimo tempo, con
il suo moto vorticoso
sull’abisso del nulla, immette
una nota di schizofrenia e di
isterica violenza, senza
mediazione: che cosa è
avvenuto, vien da domandarsi,
perché sia così cambiata la
natura del tema, la tendenza
fondamentale alla
rassegnazione? Se si può
ipotizzare uno scarto d’umore,
come uno scotimento della
volontà e un abbandono alla
sua reazione, ciò non appare
innescato dalla logica
compositiva, ma dal gesto vano
e consapevole, lucido e
disperato, di mascherare con
l`euforia una situazione di
impotenza. E se ciò
costituisce una incrinatura
nel percorso interno della Sinfonia,
da un punto di vista storico
segna un punto estremo di
non-ritorno, la liquidazione
del concetto stesso di finale
catartico e affermativo: una
esperienza decisiva che
avrebbe portato Ciaikovski a
non cercare altri compromessi
e a concepire la sua Sesta
e ultima sinfonia con un
diverso piano formale, per
concluderla con un “Adagio
lamentoso” che aprirà nuove,
ancor fertili prospettive
all`idea stessa di un finale
sinfonico.
La Quinta
di Ciaikovski fu da lui
diretta eseguita a San
Pietroburgo il 17 novembre
1888; il 15 dicembre di quello
stesso anno veniva battezzata
sotto la direzione dell’autore
La grande Pasqua russa,
Ouverture su temi liturgici
op. 36, appena composta.
Con essa Rimski-Korsakov
intese rendere omaggio alle
tradizioni popolari del
proprio paese, e in
particolare a uno dei grandi
riti della religiosità
cristiana, quello della
Pasqua. Musicalmente la
partitura si basa in gran
parte su temi di origine
liturgica, desunti da una
raccolta di canti della Chiesa
Russo-ortodossa, e li combina
per riprodurre i due momenti
complementari della festa
pasquale secondo la tradizione
popolare del suo paese:
l’atmosfera di mistico
raccoglimento della vigilia,
oscura e misteriosa (prima
parte: "Lento mystico",
"Maestoso". "Andante lugubre,
sempre"), e la grande
esplosione di giubilo della
domeniea di Pasqua (seconda
parte: "Allegro agitato", con
l'elaborazione degli elementi
tematici principali). Sia
nella solenne introduzione
lenta dall’aperta intonazione
liturgica, autenticamente
russa anche nello schema
metrico in 5/2, sia nella
sfavillante descrizione della
festa, inframezzata da
esotiche allusioni al passato
pagano a lui caro,
Rimski-Korsakov sciorina il
proprio prodigioso mestiere di
orchestratore con la sua
inesauribile tavolozza di
colori e di effetti
strumentali, mettendolo al
servizio di una celebrazione
sincera dei costumi e delle
tradizioni della sua terra.
Sergio
Sablich
|