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Nel 1878
Piotr llič Ciaikovski riesce
ad uscire dalla depressione in
cui era sprofondato dopo il
disastroso esperimento
matrimoniale con Antonina
Milyukova mentre si infittisce
il rapporto con Nadezhda von
Meek, una ricca vedova,
mecenate del musicista e
partner d`una liaison
decisamente particolare:
intellettualistica,
epistolare, fatta di
confessioni e dediche (la Quarta
Sinfonia del 1877), di
una sensualità sublimata e
sottile tanto che i due non
vollero mai incontrarsi di
persona preferendo semmai
frequentare i luoghi toccati e
“profumati” dalla presenza
dell’altro, come ha restituito
con decorativa immaginosità il
film L'altra faccia
dell'amore di Ken
Russell.
Al
ritrovato quanto transitorio
equilibrio contribuiscono il
soggiorno a Clarens, in
Svizzera, ovvero la pace del
lago di Ginevra, e le visite
del giovane violinista Yosif
Kotek, con cui Ciaikovski può
"passare" molto repertorio per
violino, inclusa la solare e
raffinata Symphonie
espagnole di Lalo
pubblicata pochi anni addietro
nel 1873.
Ne nasce,
col sostegno entusiasta di
Kotek (i compositori
d’Ottocento, generalmente
pianisti, hanno perso la
confidenza con lo strumento ad
arco dei loro predecessori),
una soddisfatta voga creativa
che vede l’11 aprile ultimato
il Concerto in re M
per violino e orchestra e la
sostituzione dell'originario
tempo lento, mutatosi poi nel
Souvenir d'un lieu cher
(Méditation, op. 42 n.1),
con l`attuale “Canzonetta”.
Il Concerto
fu dedicato a un virtuoso e
didatta della statura di
Leopold Auer (Kolek,
probabilmente per rivalsa, si
rifiutò sempre di eseguirlo)
che però lo ritenne “troppo
lungo” e “non violinistico”.
Proposto da Adolf Brodsky
nella Vienna di Brahms e
Bruckner fu stroncato (tra gli
altri da Hanslick) ma dopo
altre comparse a Londra e
Mosca e in un breve volgere
d’anni divenne composizione
favorita dai solisti nel
ristretto novero dei concerti
romantici per violino.
In
realtà, a dispetto della sua
lunghezza, il Concerto
è un piccolo capolavoro di
costruzione formale entro cui
risalta un tracciato
virtuosistico notevole (spesso
tutt’uno con la danza: il
“Finale”) però mai
fastidiosamente invadente per
il suo peso equilibratore
dell'elemento lirico e l’uso
accorto dell’orchestra tra
l’altro con raffinate
colorature.
Nell'“Allegro
moderato” d’apertura si
ritrova la lunga e affidabile
ombra del Concerto in mi m
di Mendelssohn nel porre la
cadenza prima della ripresa e
nel collegarla analogamente
con la riesposizione dei temi
(in Mendelssohn la prosecutio
di arpeggi che si fanno
elasticamente balzati; in
Ciaikovski lunghi trilli).
Altro rimando del tempo
d`apertura riguarda il
concerto di secondo Settecento
(ma anche gli exempla
paganiniani) nello sviluppo:
decorativo anzichè tematico,
basato su variazioni - qui del
tema principale - piuttosto
che modulazioni o un fare
dialettico. Quanto all’esordio
orchestrale ancora dell'“Allegro”,
si tratta di una semplice
apertura di scena e
preparazione con cenni
tematici all'entrata del
personaggio-solista; il quale,
a sua volta, non esporrà i due
temi, entrambi lirici, ex
abrupto, ma con una
gentile cadenzina prefattiva
che di essi accentua la
caratteristica elegia
affettuosa e malinconica più
pronunciata nella seconda
idea. Così lo spazio
espressivo dell'orchestra è
spostato - ancora un rifarsi a
Mendelssohn? - dall'inizio a
quando, dopo il carico di
tensione accumulato dal
solista pure nella codetta e
nei ponti brillanti, vi sarà
l'esplosione finalmente
liberatoria d'un "tutti",
invero un poco barocco, posto
alla fine dell'esposizione
verso lo sviluppo, mentre un
analogo secondo "tutti"
porterà alla cadenza (scritta)
e alla ripresa nel modo
descritto; sino alla coda
catturante.
La tenera "Canzonetta" col
violino sordino - in sol
minore e for,a ABA' - è tutta
imbevuta di delicate tinte
orchestrali, in testa i legni,
e risulta un omaggio a
tematica e modi di Chopin. Si
collega senza stacco al
vorticoso e conclusivo
"Allegro vivacissimo" di rondò
con due couplet - il
primo, pastorale, tra bordoni
e fagotto bucolico; il secondo
in minore, imbevuto di canti e
controcanti dei legni a solo,
dalla distesa e "russa"
cantabilità - sino allo
stringente epilogo dove
ricompare il fantasma di
Mendelssohn.
Al contrario del Russo
Sibelius fu violinista
provetto - virtuoso mancato,
secondo alcuni - ed ebbe
un'esistenza familiare
ordinata e tranquilla nella
casa di campagna a nord di
Helsinki dove andò a vivere
nel 1904.
Proprio agli anni di questo
progressivo radicamento
campestre fanno capo la
stesura e la revisione del Concerto
in re m per violino e
orchestra rispettivamente del
1903 e del 1905, quando il
lavoro venne rielaborato e
snellito anche nella parte
solistica, con alleggerimento
della densità virtuosistica
originaria.
È un
componimento di taglio
rapsodico: con spazi di
cadenza e frequenti variazioni
di movimento, di figure e
caratteri; l'avvio
dell'"Allegro moderato" -
tremolo in piano dei violini,
entrata del solista - sarà
replicato una dozzina d'anni
dopo, pur in un diverso clima
e contesto, da Prokofiev per
l'incantato lirismo da cui
muove il suo Concerto
violinistico in re M
(assenza anche qui come in
Mendelssohn dell'esposizione
orchestrale, peraltro invisa a
Sibelius data la sua
lunghezza).
Il canto
disteso e via via eccitato dal
violino va a parare sulla
prima cadenza (in arpeggi)
verso i nuovi elementi
tematici proposti
dall'orchestra e completati
dal solista. L'episodio che
segue, "Allegro molto", ha
tratti di danza ora rude ora
lieve e porta un'altra, ampia
cadenza, sorta di sviluppo
bravuristico (e nuovamente
prima della ripresa) anche se
i materiali risulteranno
trasformati durante la
riesposizione.
L'"Adagio di molto" ha
carattere di intermezzo
nordico per tinte, lirismo e
visionarietà, mentre
l'"Allegro, ma non tanto"
esemplifica a suo modo il
consueto lieto fine da
concerto, estroverso e
virtuosistico. Si concentrano
in esso i più disparati
procedimenti di bravura
inseriti però in gesti anche
lirici e drammatici e su
rimandi folclorici molto
scoperti. Il disegno formale è
di rondò-sonata con una
robusta coda in luogo della
ripresa.
Alberto
Cantù
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