DG - 1 CD - 431 685-2 - (p) 1991

MISCHA MAISKY












Edward ELGAR (1857-1934) Concerto for Cello and Orchestra in E minor, Op. 85
28' 04"

- Adagio: Moderato 7' 47"


- Lento: Allegro molto 4' 07"


- Adagio 5' 04"


- Allegro: Moderato - Allegro, ma non troppo 11' 03"






Peter Ilyich TCHAIKOVSKY (1840-1893) Variations on a Rococo Theme for Cello and Orchestra, Op. 33
18' 18"

- Moderato quasi Andante: Tema: Moderato semplice 2' 31"



- Variazione I: Tempo del Tema 0' 47"


- Variazione II: Tempo del Tema 1' 13"


- Variazione III: Andante sostenuto 3 39"


- Variazione IV: Andante grazioso 1' 50"


- Variazione V: Allegro moderato 3' 27"


- Variazione VI: Andante 2' 52"


- Variazione VII: Allegro vivo 1' 59"






 
Mischa MAISKY, Cello
NEW YORK PHILHARMONIC
Giuseppe SINOPOLI
 






Luogo e data di registrazione
Watford Town Hall, Watford (Gran Bretagna) - marzo 1990

Registrazione: live / studio
studio

Produced by
Wolfgang Stengel

Balance Engineer
Klaus Hiemann

Editing
Reinhild Schmidt, Ingo Petry

Publishers
Novello, Borough Green, Sevenoaks, Kent (Elgar)

Prima Edizione LP
-

Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 431 685-2 | LC 0173 | 1 CD - 46' 29" | (p) 1991 | DDD


Note
-














Gentiluomo dell’età vittoriana, Sir Edward William Elgar è un brillante e sicuro compositore, il cui linguaggio tardo-romantico deriva dal sinfonismo europeo dell’Ottocento, in particolare tedesco, dal quale mutua la struttura formale, l’elaborazione tematica e il magistero della scrittura strumentale. A queste qualità Elgar aggiunge, di spiccatamente suo, un certo spirito contemplativo e l’influsso della natura. Musicista di formazione cosmopolita, Elgar credeva nella immediatezza dell’ispirazione: soleva spesso dire “la musica è scritta sulle nuvole del cielo, e nell’aria tutt’attorno a noi, basta stendere la mano e prenderne quanta se ne vuole”.
La fama di Elgar è principalniente legata al successo delle Enigma Variations (1899), dell’oratorio The Dream of Gerontius (1900) e di alcuni lavori orchestrali come le Sinfonie n. 1 (1908) e n. 2 (1911), il poerna sinfonico Falstaff (1913) nonché il ciclo delle marce Pomp and Circumstance (1901-1930). Nell’ambito concertistico si ricordano il Concerto per violino (1910), varie pagine cameristiche e vocali e anche di soggetto sacro. Nella generalità della sua opera creativa si impone l'incontrastata presenza di un afflato melodico largamente influenzato dal canto popolare inglese. Sotto tale riguardo Elgar fu infatti un pioniere e un caposcuola della rinascita di un linguaggio nazionale britannico, all’alba del Novecento, dopo l’oblio in cui L'Inghilterra era vissuta, quale paese musicale, nel corso del XIX secolo.
Composto prevalentemente nell’inverno 1918-19, il Concerto in mi minore per violoncello e orchestra fu ultimato nell’agosto 1919 a Brinkwells con la dedica a Sidney e Frances Colvin, amici carissimi del musicista. La prima esecuzione assoluta si svolse a Londra, alla Queen’s Hall, il 26 ottobre dello stesso anno con l’autore sul podio e Felix Salmond come solista all’arco. Il successo fu soltanto di stima perché Albert Coates, che nella medesima serata completava il programma dirigendo il Poema dell'estasi di Scriabin e la Seconda Sinfonia di Borodin, si era accaparrato gran parte del tempo destinato alle prove. Uno dei testiruoni dell’evento fu uno strumentista della compaginie orchestrale, violoncello di fila diciannovenne, John Barbirolli, il futuro grande direttore. Nel ricordare quella première, Barbirolli precisa che, “nonostante la tarda età del compositore, non vi era nel lavoro alcuna traccia di epigonismo romantico o di crepuscolarismo nella vena inventiva”.
Mentre scriveva questa musica, che è da considerarsi tra i lavori più emblematici della sua produzione, Elgar non faceva mistero dell’angoscia che l’aveva attanagliato durante la prima guerra mondiale che, al suo aninio d’artista, si rivelava sempre più come una svolta cruciale della cultura europea, quasi il punto terminale dell’era di una civiltà. Di tale compianto elegiaco per un “mondo di ieri” sempre più lontano, il Concerto per violoncello è, in un certo senso, l'espressione al pari del Finale della Seconda Sinfonia e dei suoi cupi presagi. Sotto parecchi aspetti, nella concatenazione del materiale tematico e nella sagacia della scrittura strumentale, questo lavoro può essere accostato al Concerto per violoncello di Dvořák, mentre, nel riflettere l’osmosi tra biografismo e arte della produzione elgariana, si può concordare con l’opinione di Michael Kennedy, secondo il quale “soltanto Mahler, con la temperie dramrnatica della Sesta Sinfonia, ha individuato con pari forza nella sua musica il presagio del proprio destino”.
Il Concerto in mi minore si apre con un breve recitativo del violoncello solista (Adagio). Il primo movimento, Moderato, enuncia una bella idea tematica nel canto delle viole in 9/8, ripreso dal violoncello in un contesto formale A-B-A ove la sezione centrale in 12/8, introdotta dal clarinetto, è in sol maggiore. Senza soluzione di continuità un breve assolo del violoncello conduce al secondo movimento, Allegro molto, costruito sulla forma-sonata liberarnente intesa, con una scansione ritmica un po’ ossessiva e marcatamente pronunciata e un bel risalto al carattere “puntilista” della scrittura strumentale con gli archi divisi e leggeri accordi degli ottoni. In si bemolle maggiore si dipana il terzo tempo, Adagio, segnato da una spiccata effusione melodica. L’introduzione al Finale sfocia nel movimento di maggior respiro di questo concerto, l’Allegro, ma non troppo in forma di rondò nella tonalità principale di mi minore, ove la seconda idea si caratterizza per la nobiltà del suo incedere. Poco prima della conclusione, un breve episodio lento rammenta, sull’esempio di Dvořák, un’intensa frase dell’Adagio e il Concerto in mi minore approda, quasi improvvisamente, alla fine, fondendo strettamente assieme il canto del violoncello solista e il vigore espressivo dell’orchestra.

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Alla scoperta predilezione di Ciaikovski per Mozart e, più in generale, per il Settecento, sono riconducibili l’ispirazione e la genesi di questo lavoro, scritto nel 1876 a beneficio di Wilhehn Fitzenhagen, celebre violoncellista tedesco e didatta al conservatorio di Mosca. Probabilmente l’epoca e l’opera tanto ammirate da Ciaikovski si identificavano in un Settecento di maniera e in una sorta di paradiso perduto dell’armoniosa euritmia degli schemi formali: il tutto contemplato, ovviamente, con gli occhi di un protaonista dell’età romantica.
Ciaikovski non aveva molta familiarità con le risorse tecniche del violoncello e di buon grado si risolse a ricorrere all’ausilio di Fitzenhagen e della sua esperienza. Ma questi, con il pretesto di rivedere e di abbellire la scrittura della parte del solista, non esitò a procedere a non poche modifiche sostanziali oltre che ad alterare anche l’ordine delle variazioni, rispetto all’originaria stesura Ciaikovskiana. Fitzenhagen aveva, comunque, dalla sua parte, un virtuosismo eccezionale sì che la prima esecuzione delle Variazioni su un tema rococò op. 33 fu salutata da un franco successo di pubblico e di critica a Mosca il 18 (30) novembre 1877, sul podio Nikolai Rubinstein.
Qualche tempo dopo, senza interpellare l’autore, Fitzenhagen procedette ad altre, ancor piu sostanziali modifiche alla stessa partitura e tale rinnovata versione egli presentò a Wiesbaden nel giugno del 1879 riscuotendo, tra l’altro, il consenso entusiastico di Liszt. Da allora, delle Variazioni su un tema rococò viene normalmente suonata l’ultima stesura revisionata da Fitzenhagen e pubblicata da Jurgenson nel 1889, con il consenso, seppur riluttante, di Ciaikovski. In tempi recenti in Unione Sovietica è stata riesumata la prima stesura autografa ed inserita nel 1956 nell’edizione nazionale.
Dopo una breve introduzione dell’orchestra, il violoncello solo enuncia il Tema che è una bella frase melodica dal profilo aggraziato e dalla casta, classica espressività. A questa idea risponde un breve inciso, assai più personale, che, nel gioco dei legni con la replica del solista, funge da ritornello a riappare più volte nel corso dell’intero lavoro. Intessuta di brillanti fioriture è la Variazione I che si allaccia, nel medesimo tempo, alla Variazione II, caratterizzata da un’atmosfera prossima ai momenti più felici della vena ballettistica dell'autore. La Variazione III ha un incedere sostenuto mentre nella IV risultano combinati assieme spunti del terna e del ritornello. Nel corso della Variazione V il violoncello si impegna in brillanti passaggi ornamentali e da vita a due cadenze solistiche, la seconda delle quali crea un ponte per la Variazione VI ove il tema originario ritrova la sua più schietta cantabilità sui pizzicati degli archi. Infine la Variazione VII dà un’evidenza sempre maggiore al ruolo del violoncello solista sino a concludere la composizione in un clima improntato ad una doviziosa seduzione sonora.
Luigi Bellingardi