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Nel tardo
Ottocento, e poi durante la
prima parte del Novecento, la
maggior parte dei concerti per
violino venivano scritti
direttamente dai violinisti
che dovevano suonarli e che li
costruivano attentamente in
maniera da sfruttare i punti
forti e minimizzare le
debolezze della propria
tecnica esecutiva. Pochi
soltanto di tali violinisti
possono aspirare al rango di
compositori "importanti": e in
effetti l'unico ad esser
considerato grande tanto come
strumentista che come
compositore fu Spohr.
Tuttavia, l'influenza di
Viotti, Rode, Kreutzer e
Paganini fu assai notevole, e
si estese ben oltre il
repertorio del loro strumento;
e se Viotti ed i suoi
successori furono importanti
per aver unito una tecnica
brillante (ma non vuotamente
spettacolare) con la melodia
romantica e un mirabile senso
formale, il grande contributo
di Paganini fu quello di
sensibilizzare non solo i
violinisti ma anche altri
strumentisti, e compositori,
verso le riserve ancora
largamente inutilizzate di
possibilità tecniche a loro
disposizione. Durante il
periodo in cui più estesamente
viaggiò per l’intera Europa,
dal 1829 al 1834, egli
produsse un’impressione
indimenticabile su quasi tutti
coloro che lo ascoltarono (e
lo videro) suonare.
Uno dei
brani centrali del suo
repertorio concertistico fu il
Concerto per violino in re
maggiore (originariamente in
mi bemolle) che Paganini, in
una lettera del 1826, chiamò
il suo Primo Concerto. In
realtà, non si tratta del
primo concerto per violino che
egli abbia composto, dato che
un precedente concerto in mi
minore, da lui soppresso, è
invece giunto fino ai giorni
nostri. La data di
composizione del Primo
Concerto non è nota con
sicurezza, ma una recensione
apparsa nell’Allgemeine
Musikalische Zeitung nel
1816, in cui si riferisce a un
concerto in mi bemolle suonato
da Paganini, insieme con
l’opinione espressa da Fétis
nel 1831 che il Concerto fosse
stato composto “15 o 16 anni
fa” suggeriscono che esso
debba risalire al 1815-16,
precedendo di una decina
d’anni il Secondo Concerto.
Il primo
movimento si apre con un
energico ritornello che
richiama lo stile grandioso
della scuola di Viotti, mentre
la fascinosa cantilena del
secondo soggetto deriva dal
seducente idioma melodico
dell`opera italiana; i
brillanti fuochi d’artificio
della tecnica, peraltro, che
di rado mancano a lungo, sono
del più puro Paganini. A
quanto egli stesso racconta,
l’Adagio venne ispirato
da una scena di una
rappresentazione teatrale cui
aveva assistito a Milano, in
cui figurava una commovente
scena ove un prigioniero,
rievocate le sue disgrazie,
invoca la morte che venga a
liberarlo dalle sue miserie.
Quella notte, ossessionato
dalla visione di tale scena,
Paganini non riuscì ad
addormentarsi; ed infine,
disperando ormai di poter
prender sonno, si levò e buttò
giù l’abbozzo del presente
movimento. Ascoltandolo
suonare dall’autore, William
Gardiner osservò che esso
conteneva “toni più che umani,
che paion tratti dalle più
profonde angosce d’un cuore
spezzato”. Il Rondò
finale si pone con esso in
rinfrancante contrasto, con il
vivace tema principale a far
da trama per interludi
pirotecnici da toglicre il
fiato.
Come la
maggior parte della musica di
Paganini, il Primo Concerto
per violino rimase inedito ai
tempi dell’autore, ed è
improbabile che la parte
solistica del violino sia
sempre rimasta esattamente la
stessa da un'esecuzione
all’altra, visto che Paganini
era noto per la sua
straordinaria capacità di
abbellire e modificare le
melodie a suo piacimento. Egli
in realtà eseguiva in molti
dei suoi concerti solamente
una parte dell’intera
composizione, talvolta il solo
primo movimento, talaltra
soltanto l’Adagio e il
Rondò, e altre volte
ancora il Rondò
preceduto da un improvvisato
preludio per violino solo.
Di tipo
diverso fu l’influenza che
sullo sviluppo del concerto
per violino i grandi
violinisti esercitarono nel
corso del Novecento. Paganini
fa parte dell’ultima
generazione realmente
significativa di
violinisti-compositori, e a
partire all’incirca dalla metà
del secolo i virtuosi del
violino (anche se qualcuno di
loro continuò a scriversi i
propri concerti) ebbero un
ruolo assai più importante
come ispiratori e consiglieri,
e poi come interpreti, dei
concerti di diversi importanti
compositori. Ferdinand David
lavorò in stretta associazione
con Mendelssohn nel plasmare
il Concerto per violino di
quest’ultimo; Joseph Joachim
fu un consigliere di
inestimabile valore per Brahms
e Bruch nella composizione dei
loro concerti; mentre Pablo de
Sarasate stimolò a comporre
per violino e orchestra
numerosi compositori, fra cui
Saint-Saëns.
Il Terzo
Concerto per violino di
Saint-Saëns fu scritto nel
1880 per Sarasate, che lo
eseguì in uno dei Concerti del
Lunedì di Saint-Saëns
quell’anno stesso. Saint-Saëns
aveva già scritto per Sarasate
il suo Primo Concerto per
violino più di venti anni
prima, e la loro duratura
amicizia ebbe una
considerevole influenza sullo
sviluppo dello stile di
scrittura violinistica di
Saint-Saëns. Il compositore
ricordò in seguito: “Chi ai
vecchi tempi era solito venire
alle mie serate musicali non
ha dimenticato la distinzione
che ad esse conferiva il mio
celebre amico, una distinzione
tale che per diversi anni
nessun altro violinista
avrebbe accettato di suonare
da me. Tutti erano
terrorizzati all’idea di
essere posti a confronto con
lui. Egli si distingueva non
solo grazie al talento, ma
anche per il suo spirito e la
vivacità inesauribile della
sua conversazione, che era
sempre viva e assai godibile.”
La
scrittura vivace e
appassionata, ma insieme
raffinata e squisitamente
lirica, della parte
violinistica del Concerto di
Saint-Saëns riflette le
qualità dello stile esecutivo
di Sarasate, che ancora
possiamo ascoltare in alcune
brevi registrazioni effettuate
nel 1905. Il primo movimento
mette a contrasto in maniera
assai efficace dei passaggi
francamente assertivi con
sezioni cantabili più
introspettive. L’Andantino
quasi allegretto, una
seducente barcarola, fa da
interludio di quiete fra i due
movimenti esterni, e presenta
quella sorta di delicate
figurazioni filigranate in cui
eccelleva l’arte esecutiva di
Sarasate. Il finale, che
inizia con una breve sezione a
mo’ di recitativo, unisce
nobiltà e brillantezza, e
conduce il brano a degna
conclusione.
Clive
Brown
(Traduzione:
Alfredo Tutino)
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