DG - 1 CD - 429 568-2 - (p) 1990

Pietro MASCAGNI (1863-1945)






Cavalleria rusticana
78' 02"
Melodramma in un atto - Libretto: Giovanni Targioni-Tozzetti / Guido Menasci






PRELUDIO 1.
2' 27"

Siciliana 2. "O Lola ch'hai di latti la cammisa" (Turiddu) 2' 05"



3. Tempo I 3' 14"

ATTO UNICO



Coro d'introduzione 4. Allegro giocoso 2' 39"



5. "Gli aranci olezzano" (Coro) 5' 09"

Scena 6. Largo 2' 19"



7. "Dite, mamma Lucia..." (Santuzza, Lucia) 3' 38"

Sortita di Alfio con Coro
8. "Il cavallo scalpita" (Alfio, Coro) 2' 18"

Scena e Preghiera 9. "Beato voi, compar Alfio" (Lucia, Alfio, Santuzza)
1' 01"


10. "Regina coeli laetare" (Coro) 2' 38"


11. "Inneggiamo" (Santuzza, Lucia, Coro) 4' 42"

Romanza e Scena 12. "Voi lo sapete, o mamma" (Santuzza, Lucia)
6' 09"

Scena 13. "Tu qui, Santuzza?" (Turiddu, Santuzza)
3' 30"

Stornello di Lola
14. "Fior di giaggiolo" (Lola, Turiddu, Santuzza)
3' 25"

Duetto 15. "Ah! lo vedi" (Turiddu, Santuzza)
5' 55"

Duetto 16. "Oh! il Signore vi manda" (Santuzza, Alfio)
3' 59"


17. "Comare Santa" (Alfio, Santuzza)
1' 45"

Intermezzo sinfonico 18.
4' 16"

Scena, Coro e Brindisi
19. "A casa, a casa" (Coro, Turiddu, Lola)
2' 55"


20. "Viva il vino spumeggiante" (Turiddu, Coro, Lola)
2' 35"

Finale 21. "A voi tutti salute!" (Alfio, Coro, Turiddu, Lola)
5' 31"


22. "Mamma, quel vino è generoso" (Turiddu, Lucia, Santuzza) 5' 49"






 
Agnes BALTSA, Santuzza, una giovane contadina CHORUS OF THE ROYAL OPERA HOUSE, COVENT GARDEN
Placido DOMINGO, Turiddu, un giovane contadino Robin Stapleton, Chorus Master
Vera BANIEWICZ, Lucia, sua madre PHILHARMONIA ORCHESTRA

Juan PONS, Alfio, un carrettiere Giuseppe SINOPOLI

Susanne MENTZER, Lola, sua moglie Musical assistance: Paul Wynne Grifiths
 






Luogo e data di registrazione
All Saints' Church, Tooting, London (Gran Bretagna) - giugno 1989

Registrazione: live / studio
studio


Produced by
Wolfgang Stengel

Co-Producer
Claudia Hamann

Balance Engineer

Klaus Hiemann

Editing
Reinhard Lagemann


Publishers
Verlag Bote & Bock, Berlin/Wiesbaden - Originalverlag: casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano


Prima Edizione LP
-

Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 429 568-2 | LC 0173 | 1 CD - 78' 02" | (p) 1990 | DDD

Note
-















I problemi della semplicità
La vicenda si svolge in Sicilia, alla fine dell’Ottocento. È la mattina di Pasqua Turiddu, tornato dal servizio militare, aveva saputo che l’amatissima Lola era nel frattempo andata sposa al carrettiere Alfio. Si era consolato, allora, con Santuzza, ma ora - dopo averla sedotta - gli viene a noia. La giovane non si rassegna e lo affronta disperatamente, ma ne viene respinta. Santuzza allora, per vendicarsi, rivela ad Alfio che Lola lo tradisce con Turiddu.
Si svolge il rito pasquale. Al termine Turiddu invita tutti quanti a bere nell’osteria della madre Lucia. Qaando gli animi sono surriscaldati dal vino, giunge compare Alfio che sfida a duello il rivale Turiddu. Prima di uscire per recarsi al duello mortale, Turiddu chiede alla madre una benedizione e le affida la povera Santuzza. Il duello avviene poco dopo dietro la chiesa: una voce disperata grida, dal fondo che “hanno ammazzato compare Turiddu”.
Per anni il giovane Mascagni aveva lavorato ad un’opera di grandi ambizioni, un poco visionaria, un poco tragica: il Guglielmo Ratcliff. Quell’opera era divenuta segno di un’ambizione ardua, perseguita con un seguito di entusiasmi, di scoramenti, di rabbiose rivolte, e di quant’altro può agitare l’animo di un giovane che si crede destinato alla gloria e che si vede confinato a fare il maestro di banda nel comune di Cerignola, in provincia di Foggia. Il Ratcliff, nel 1888, era quasi terminato, quando irruppe la decisione di partecipare al Concorso Sonzogno per un’opera in un atto.
Cavalleria rusticana veniva concepita come una drastica “semplificazione” delle prospettive drammaturgico-musicali fino ad allora infelicemente coltivate, Fu come se Mascagni pensasse ora davvero di seguire il consiglio dell’amico Puccini, quando - in occasione della rappresentazione delle Villi - gli aveva detto di scegliere un soggetto meno ambizioso del Ratcliff se voleva raggiungere il successo. E di successo il maestro di Cerignola aveva ormai disperatamente bisogno per uscire dalla miseria presente. Le stesse disposizioni del Concorso Sonzogno orientavano verso un “atto unico”; e non trascurerei neppure l’ipotesi che, nel compiere questa scelta, Mascagni abbia messo in campo anche l'esperienza compiuta negli anni precedenti con le compagnie di operetta, il cui repertorio - come si sa - è costituito essenzialmente di “pezzi chiusi”, in cui è decisivo il “colore” ambientale e il tratto caratteristico di ognuno.
La scelta di un soggetto “verista”, che trasferisse cioè in campo musicale la recente moda imposta dal Verga con i Malavoglia, e, tra l’altro, con la versione drammatica della novella Cavalleria rusticana (rappresentata al Carignano di Torino nel 1884, con Eleonora Duse protagonista), corrispose in pieno a queste esigenze di semplificazione, indirizzate ad ottenere la massima efficacia scenica in termini di violenza gestuale. Tutto ciò non ha niente a che vedere con il Ratcliff, neé con l’Otello di Verdi (che Mascagni disse contenere tante cose che lui aveva gia immaginato nel Ratcliff), né con un possibile “wagnerismo”, delle cui implicazioni era stato ben conscio fino ad allora. Si trattava di un’uscita dal genere della “grande opera”, come avevano fatto negli anni Ottanta molti autori oggi pressoché sconosciuti: Guglielmo Zuelli, ad es., con una Fata del Nord vincitrice del premio Sonzogno del 1883, e Spiros Samaras, autore di una fortunata Flora mirabilis (1886). E si trattava anche di cogliere una predilezione verista che doveva essere davvero nell’aria, se al Teatro Costanzi di Roma nell’aprile 1890, un mese prima di Cavalleria, venne presentata un’opera intitolata Mala Pasqua, con ogni evidenza sullo stesso soggetto verghiano.
“Semplificazione”, allora: è quanto si desume dallo stesso meccanismo elementare della novella del Verga, dove i comportamenti atavici dell’ambiente siciliano non lasciano veri margini di iniziativa: compare Alfio deve sfidare a duello e cercare di uccidere Turiddu, l’amico con cui la moglie Lola lo tradisce; Santuzza non può non sentirsi disonorata per la sua relazione con Turiddu, non coronata da matrimonio per il perdurare nell’animo di lui della passione per Lola; Turiddu non può non affermare la propria virilità insidiando la moglie di compare Alfio, che - sposando lui - aveva mancato alla parola datagli prima che partisse per il servizio militare; e così via. La prevalenza dell’ambiente sulla psicologia (il rapporto deterministico tra i due), uno dei cardini della poetica del verismo, si coglie quindi in una rigida distribuzione dei ruoli drammatici, che diventano dei veri e propri stereotipi. Nella Carmen di Bizet, di 15 anni precedente, la rigida distribuzione dei ruoli tra la donna-angelo Micaela, e la donna-demonio, Carmen, rende del tutto esteriore - e teatrale - il conflitto che travolge Don José; in Cavalleria rusticana altrettanto rigido è il rapporto tra Santuzza e Lola; la vecchia madre di Turiddu rientra nella sfera positiva e sentimentale di Santuzza, compare Alfio è l’esecutore della perdizione che Lola rende inevitabile. E Turiddu reagisce a tutto questo come un punto di incontro passivo di queste forze che lo travolgono inesorabilmente.
Nel passaggio dal teatro di prosa al libretto d’opera il livornese Targioni-Tozzetti (coadiuvato nell’ultima fase della stesura da Guido Menasci) si adeguò al più ovvio dei suggerimenti del musicista: quello di fare “un libretto strettamente attaccato all’azione del Verga, aggiungendovi semplicemente qualche brano lirico per vestire la nudità della tragica vicenda”. Ed è quanto Targioni-Tozzetti poté fare senza molte difficoltà rifacendosi a una pluridecennale tradizione di coretti, canzoni, stornelli, eco., tutti ritagliati nell’ambito del “caratteristico” scenico-musicale e tanto importanti nella precedente moda della “grande opera” (dai Vespri Siciliani alla Gioconda, almeno). Da qui dunque i cori d’introduzione “Gli aranci olezzano” e “In mezzo al campo tra le spiche d’oro”, concepiti secondo una visione tutta idilliaca della vita contadina, non propriamente in linea con il verismo verghiano. Da qui la “sortita” di Alfio “Il cavallo scalpita”, assecondato da un ancor più rassicurante coretto: “O che bel mestiere fare il carrettiere”. E potremmo citare ancora il “Regina coeli”, il coro dei paesani all’uscita dalla chiesa (“A casa, a casa”), il brindisi (“Viva il Vino spumeggiante”).
Mascagni accettò senza riserve il libretto che Targioni-Tozzetti gli inviò pagina dopo pagina a Cerignola. L’accostamento tra le parti più violente e verghiane dell’azione e i brani “di carattere” rientrava perfettamente nella sua intenzione e nella stessa sua concezione del teatro musicale. Solo un brano di carattere non fu proposto dal librettista: è la famosa Siciliana che appare - a sipario chiuso - all’interno del Preludio iniziale (Turiddu: “O Lola ch’hai di latti la cammisa”) e che Mascagni, entusiasta di una poesia dialettale ascoltata da un tale De Zerbi di passaggio da Cerignola, compose successivamente alla consegna dell’opera alla commissione del Concorso Sonzogno e che fece conoscere alla commissione in sede di esecuzione al pianoforte.
Gli interventi di Mascagni sul libretto furono pochi ma decisivi. Il “Torello” del Verga divenne il molto più siciliano Turiddu, ma, quel che più importa per la musica, le lungaggini del finale abbozzato dal librettista (un concertato a tre con il coro, poi il canto di Lola, poi il grido di Santuzza, poi ancora il coro che, a sipario chiuso, invoca pieta e perdono) divenne il finale mascagnano che precipita con la violenza “laconica” (com’ebbe a dire) tipica della tradizione Verdiana più fortunata (un esempio per tutti: Un ballo in maschera).
“Semplificazione” significa quindi meccanico accostamento di due scelte drammaturgiche; quella dei pezzi di carattere e quella conseguente all'"unico ideale" che Mascagni professava in quegli anni, “in fatto di musica drammatica”: “la musica deve essere l’espressione della parola”, che è l’ideale della trascrizione diretta dei dialoghi concitati tra Santuzza e Lucia, tra Turiddu e Santuzza, tra Alfio e Santuzza, tra Alfio e Turiddu in un arioso mobilissimo, tutto costruito su gesti melodici ben consolidati dalla tradizione nel loro significato passionale e con sfoghi melodici giustamente famosi e popolarissimi che segnano il culmine drammatico di tali scene: “priva dell’onor mio rimango”, “bada, Santuzza”, “ma è troppo forte l’angoscia mia”, “voi dovrete fare da madre a Santa”, ecc. All’estremo opposto del declamato Mascagni si avvale di una tradizione altrettanto consolidata di “parlato” in alcuni punti di maggiore violenza verbale, tra cui, famosissimo ed esemplare, il grido “hanno ammazzato compare Turiddu”.
Da questo tipo radicale di semplificazione deriva l’efficacia singolarissima di Cavalleria, costruita - prima di tutto - sulla netta differenza stilistica tra i momenti che abbiamo prima indicato (scene di carattere con pezzi chiusi; scene drammatiche “aperte” alla declamazione mobilissima); ma - in seconda istanza - c’è una semplicissima alternanza-opposizione tra quei momenti, sottolineata dalla struttura “a numeri”, cioè formata di momenti nettamente staccati e autonomi. Qui, davvero, il meccanismo scenico-musicale è fulminante.
L’efficacia drammatica della musica si basa su alcuni consolidatissimi meccanismi di sovrapposizione: i casi più notevoli, nella prima parte, sono l'interferenza della canzone di compare Alfio nel dialogo concitato tra Santuzza e mamma Lucia, come pure lo stornello di Lola che, provenendo da fuori scena, acuisce allo spasimo lo sfogo di Santuzza contro l’infedele Turiddu. Nella seconda parte il duello tra Turiddu e Alfio, fuori scena, viene suggerito in orchestra mentre ancora si svolge la scena tra Santuzza e Lucia.
Di questo notevole gioco di alternanze e sovrapposizioni è costituita la felice teatralità di Cavalleria, in cui non manca nemmeno un momento più “colto”, quasi contrappuntistico e di grande sfoggio compositivo: quello del “Regina coeli”, cantato dal coro interno (nella chiesa). Ma, all’estremo opposto, c’è largo uso della forma più “plebea” dello stornello.
A dimostrare quanto non sia possibile racchiudere Cavalleria in una deliinizione univoca che riguardi Lmo solo dei suoi antecedenti, vorrei indicare anche la molteplice funzione che svolge l’orchestra, dove, accanto alla funzione coloristico-ambientale più appariscente (per tutte lo scampanio su pedale doppio ad apertura di sipario) s’impone - ad esempio nel celebre Intermezzo, ma anche ad introduzione e punteggiatura dell’ultimo incontro tra Turiddu e sua madre - una funzione di commento lirico, di esibita commozione che, confessata direttamente dall’autore, ha una notevolissima forza di coinvolgimento sentimentale.
È cosi - con mezzi soprattutto strumentali - che viene trasformato dall’interno il personaggio di Torello nel Turiddu mascagnano: soprattutto nella scena dell’addio alla madre, resa cupamente riflessiva dall’orchestra, Turiddu diviene capace di una profondità di sentire - nei confronti di Santuzza, della madre, di Alfio e di se stesso - che lo riscatta pienamente e lo rende personaggio “positivo”, e, come tale, veramente protagonista, nel senso di quella drammaturgia melodrammatica che - per tradizione romantica - aveva sempre cercato l’identificazione dello spettatore con quanto rappresentato sulla scena.
In tal modo Cavalleria rusticana riproduceva, nella sua piccola proporzione, i vari aspetti del teatro musicale ottocentesco, ma come snelliti al punto da essere ridotti a formule; e come tali immediatamente efficaci. La “felicità” di cui parlò Hanslick a Vienna riguardava quindi non la creazione di una drammaturgia nuova, quanto la possibilità di ridurre ai loro stereotipi esperienze diversissime, e di costruire con essi un ritmo scenico serrato ed essenziale.
Tutto cio poté apparire - nel momento del trionfo romano al Teatro Costanzi, il 17 maggio 1890 - come un frutto della nuova sensibilità “verista”, rappresentata italianamente dal Verga. Ma il punto d’incontro con l'esperienza letteraria stava tutto nella ostentata rinuncia ai paludamenti; Mascagni stesso ebbe a scrivere che tante opere di moda negli anni Ottanta gli avevano “fatto sempre l’impressione di un piccolo cameriere che, per l’occasione di una festa, indossa uno stiffelius del suo grosso padrone”. Il soggetto “verista” - una cruda cronaca di fatti contemporanei in un ambiente di diseredati - viene in realtà (come abbiamo mostrato) abbellito in termini di folklore e di colore locale. Ma, nell’intonare una pur improbabile Siciliana, o un qualsiasi stornello o canzone, il linguaggio musicale di Mascagni ostenta una “povertà” armonica che sostituisce alle complicazioni cromatiche e contrappuntistiche procedimenti per accordi perfetti che hanno un sapore vago e indefinito (diremmo “modale”), a cui si affidava la presenza - accanto a procedimenti “colti”, pur presenti in Cavalleria - di un livello “plebeo” destinato a fare tristemente scuola presso gli imitatori, numerosissimi, accorsi dietro allo strepitoso successo mondiale di Cavalleria.
Ma per Mascagni questa accezione riduttiva, e per formula, del “verisrno” in musica era una strada senza sbocco. Il pubblico internazionale di quegli anni aspettava che Mascagni continuasse sulla Strada che aveva indicato. E invece, tranne il marginale saggio di Silvano (1895), le ragioni profonde del suo teatro (non quelle del successo, cioè) urgevano verso sbocchi molto meno facili e lineari: proprio su questa strada, che passerà attraverso l’ormai completato Ratcliff, Iris, Isabeau e Parisina, Mascagni dovrà verificare, però, l'impossibilità di liberarsi davvero dal destino di essere “l’autore di Cavalleria
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Guido Salvetti