DG - 1 CD - 427 656-2 - (p) 1989

GIL SHAHAM







Max BRUCH (1838-1920) Konzert für Violine und Orchester Nr. 1 g-moll, Op. 26
24' 57"

- 1. Vorspiel. Allegro moderato - attacca: 8' 38"


- 2. Adagio 9' 04"


- 3. Finale. Allegro energico - Presto 7' 15"






Felix MENDELSSOHN BARTHOLDY (1809-1847) Konzert für Violine und Orchester e-moll, Op. 64
30' 16"

- 1. Allegro molto appassionato 14' 36"


- 2. Andante 9' 12"


- 3. Allegretto non troppo - Allegro molto vivace 6' 28"






 
Gil SHAHAM, Violine
PHILHARMONIA ORCHESTRA
Giuseppe SINOPOLI
 






Luogo e data di registrazione
Watford Town Hall, London (Gran Bretagna):
- agosto 1988 (Mendelssohn)
- dicembre 1988 (Bruch)


Registrazione: live / studio
studio


Executive Producers
Dr. Steven Paul, Wolfgang Stengel

Recording Producer
Wolfgang Stengel

Balance Engineer

Klaus Hiemann

Editing
Reinhard Karkwatky

Prima Edizione LP
-

Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 427 656-2 | LC 0173 | 1 CD - 55' 24" | (p) 1989 | DDD


Note
-















Una ventina d’anni separa il Concerto in mi minore di Felix Mendelssohn Bartholdy (primaesecuzione: 13 marzo 1845) dal Concerto in sol minore di Max Bruch (1866; versione finale: 1868) ma ciò che accomuna le due partiture, al di là di analogieche vedremo, è la costante popolarità presso il pubblico e i violinisti - ‘classica’ da sempre è anche l'accoppiata su disco - e il fatto di appartenere alristretto novero dei concerti romantici per violino.Questo in un secolo come l’Ottocento nel quale le consegne solistiche passano al più eloquente pianoforte, in grado di sostenere meglio un rapporto competitivo oltre che d’integrazione con un’orchestra sempre più nutrita e sinfonicamente atteggiata.
Anche sotto questo aspetto il Concerto in mi minore
costituisce una felice eccezione con la sua trasparenza ideativa, di scrittura e la ‘mendelssohniana’ levità d’orchestrazione, capaci di conciliare tematismo, brillantezza e contrappunto (si veda il Finale).
Rifacendosi ai tre personaggi di fantasia in cui Schu
mann scisse la sua personalità, viene da dire che Maestro Raro - tale fu Mendelssohn per il collega di Zwickau - riesce realmente a conciliare nella perfetta dottrina rnusicale le accensioni e i ripiegamenti di Florestano ed Eusebio. Né va dimenticato che un lavoro come questo che sembra nato perfetto e composto d’un fiato unico, fu compiuto in realtà per sette anni, dal ’38 al ’44, con ritocchi, pentimenti, modifiche, lavoro di lima e consultazioni d’amici: soprattutto, per la parte solistica, di Ferdinand David, ‘spalla’ del Gewandhaus e primo interprete del Concerto a Lipsia.
Si può dunque parlare di un frutto tanto miracoloso
quanto isolato, almeno nei suoi estremi di equilibrio irripetibile, e proprio per questo in grado di esercitare suggestioni sui concerti violinistici a venire da Bruch a Ciaikovski e Barber: in realtà più analogie formali che autenticamente spirituali; e senza l’identica capacità di Mendelssohn, come ha notato Renato Di Benedetto, di riscattare poeticamente il virtuosismo strumentale - si veda la superiore eleganza dell’Allegro molto appassionato, la nobile commozione dell’Andante, e la ‘musica degli elfi’ del pur pirotecnico Allegro molto vivace conclusivo - esemplificando al tempo stesso anche un virtuosismo estraneo alla “vena di satanismo” (Di Benedetto) sollecitata nella cultura del tempo dall’apparizione di Paganini.
Fatto, aggiungeremrno, tanto più sorprendente per
come Mendelssohn in questo lavoro si appropria, però creativamente, di alcune soluzioni che sono di Paganini: nel primo movimento le catene d’arpeggi infine ‘balzati’ su cui l’orchestra riprende il tema principale affidandolo ai legni come in concerti e variazioni di bravura del Genovese; nel movimento lento il ‘paganiniano’ tremolo legato unito alla melodia; nel Finale l’accentuato ricorrere di procedimenti bravuristici.
‘Sigla’ del Concerto di Mendelssohn è l’attacco senza
i consueti preamboli di esposizione orchestrale (che risuonerà più avanti); tanto che già a far capo dalla seconda battuta il solista enuncia il tema principale, dal caratteristico empito ascensionale, sul mormorante accornpagnamento degli archi appena ‘legati’ dai fiati e con la spinta ritmica dei timpani coi bassi (tonica-dominante), che imposta la grande chiarezza armonica di ciò che seguirà. Al contrario il secondo tema, alla tonalità relativa sol maggiore e quieto e mosso al contempo, è figurato la prima volta in orchestra, da flauti e clarinetti, sul sol grave del solista ‘a vuoto’ e a mo’ di pedale.
Il passaggio al movimento mediano avviene senza in
terruzione, su una nota tenuta del fagotto, con una squisitissima modulazione cromatica a do maggiore mentre il Finale, preparato da un breve ponte Allegretto non troppo, in un aperto mi maggiore e bitematico come il movimento d’apertura, concilia, come si diceva e per usare le parole di Arnold Schering, “nobile virtuosismo e contenuto poetico” con la trasparenza del contrappunto.
Nel primo movimento del Concerto in sol minore di
Bruch, mendelssohniano è il carattere puramente introduttivo, interlocutorio dell’orchestra in funzione del solista che espone il tema principale analogamente sul pulsare dei bassi. Si può riconoscere un materiale melodico ‘alla Mendelssohn’ seppure trasposto in un ambiente fine secolo più acceso, più voluttuoso e sentimentale, più eccitabile ed eccitato anche in direzione del virtuosismo.
Il titolo del movimento, Vorspiel (cioè Preludio), in
dica sia i ‘germi’ del lavoro in esso contenuti, a partire da un disegno puntato poi ricorrente, sia i caratteri appunto preludianti di una cadenza d’apertura riutilizzata come coda e ponte Verso l’Adagio centrale; caratteri ‘a capriccio’ di tradizione brillante che l’autore concilia con gli estremi sonatistici del movimento: due gruppi tematici a contrasto, il breve e nervoso sviluppo, una sorta di ripresa fatta dall’orchestrae come in Mendelssohn il collegamento senza staccoal movimento lento, in mi bemolle maggiore.
Così, se l’Adagio dilata, distende ed effonde la canta
bilità del movimento d’apertura con mobilità di modulazioni, il Finale - un Allegro energico in sol maggiore nuovamente sonatistico - ne accentua le valenze ritmiche e virtuosistiche con esuberante comunicativa.
Alberto Cantù