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DG - 1
CD - 427 324-2 - (p) 1989
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| Alexander
SCRIABIN (1872-1915) |
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| Symphonie Nr. 3,
Op. 43 "Le Divin Poème" |
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49' 03" |
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1. Lento -
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1' 07" |
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2. Luttes (Allegro) - |
23' 54" |
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3. Voluptés (Lento - Vivo) - |
13' 14" |
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4. Jeu divin (Allegro) |
10' 48" |
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| Le
Poème de l'Extase, Op. 54 |
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20' 25" |
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| Glenn Dicterow,
Solo violin |
NEW YORK
PHILHARMONIC |
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| Philip Smith, Solo
trumpet (Op. 54) |
Giuseppe SINOPOLI |
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| Andreas Juffinger,
Organ (Op. 54) |
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Luogo
e data di registrazione |
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Manhattan
Center, New York (USA) - gennaio
1988 |
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Registrazione:
live / studio |
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studio |
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Executive
Producer |
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Günther
Breest |
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Recording
Producer |
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Wolfgang
Stengel |
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Balance
Engineer
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Klaus
Heimann |
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Editing |
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Werner
Roth |
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Prima Edizione
LP |
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Prima Edizione
CD |
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Deutsche
Grammophon | 427 324-2 | LC 0173
| 1 CD - 69' 43" | (p) 1989 | DDD |
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Note |
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In un
saggio famoso, che Kandinsky
volle compreso
nel celebrato numero unico Der
blaueReiter,
il compositore russo Leonid
Sabaneev già
dettava nel 1912 una linea
interpretativa destinataa
conservarsi come traccia
ineludibile per ogniconsiderazione
successiva su Alexander
Scriabin:l'inseparabilità
nel suo caso, e specie a
partire dalmomento
della piena maturazione
compositiva,fra
la scrittura musicale e la
concezionc estetico-filosofica.
Con quel giudizio prendeva
avvio un percorso
di lettura che si spingera in
seguito fino aconsiderare
la riflessione letteraria e
filosofica come
fonte primaria della musica
scriabiniana,scorgendo
in essa un intrico di
suggestioni culturali che,
pur circoscritte nell’alveo
del decadentismo
europeo, spaziano dalla
dottrina del superuomo di
Nietzsche alle teorie del
simbolismo russo, da tardive
riprcse schopenhaueriane
all’infatuazione per
le coeve speculazioni
teosofiche di una Elena
Blavatsky (alle quali non
doveva restare insensibile,
in anni limitrofi, anche lo
Schönberg dell’incompiuto
oratorio Die Jakobsleiter).
E tuttavia, risulterà
altrettanto legittimo
invertire la
direzionc di questo tragitto
dalla filosofia alla
musica e, magari avvalendosi
di una delle non rare
dichiarazioni dello stesso
autore, vedere piuttosto la
sua musica come “sentiero
della Rivelazione”, come
itinerario di folgoranti
intuizioni e sintesi di
un’esperienza
conoscitiva che trova a
livello estetico,
in una vagheggiata, armoniosa
fusione delle
arti, quanto resterebbe
inattingibile al pure pensiero.
Ma, qualunque sia la via che
si voglia seguire, si
voterebbe all’incomprensione
chi pensasse di scindere
dall’opera di Scriabin i suoi
contenuti extra-musicali,
per quanto fumosi e deliranti
possano
apparire, o ignorasse
l'esaltazione mistica che la
pervade, il fine ultimo cui
aspira di una purificazione
dissolutrice di ogni
materialità e di ascetica
divinizzazione del soggetto.
Nella prospettiva di una
musica vissuta come esperienza
mistica, come
ineffabile manifestazione di
spiritualità va inteso il
titolo di “poema” assegnato,
oltre ad alcune pagine
pianistiche, agli ultimi tre
lavori sinfonici; non,
quindi, nel senso, già
inadeguato per Liszt o per
Strauss, di allusione a un
disegno narrativo o a un
definibile programma
filosofico.
Composto negli anni fra il
1902 e il 1904, il primo di tali
lavori sinfonici, la terza Sinfonia
in do minore “Poema
divino”, si prescnta
come l’opera più imponente
che Scriabin abbia concepito,
nonché
quella in cui più
scopertamente, e fin dal tema
d’esordio ove è adombrato il
motivo della spada del
Ring, si pone a
confronto con l’eredità wagneriana.
Articolata secondo un
tradizionale impianto
tripartito, con i suoi tre
movimenti che si
succedono senza interruzioni,
la Sinfonia traccia un
intenso itinerario emotivo,
con un’ampiezza di
respiro musicale che ha solo
superficialmente la
vaghezza dell’andamento
rapsodico, mentre è in
realtà fermamente concepita
entro le maglie del
sinfonismo ottocentesco e,
segnatamente nell’Allegro
iniziale, della forma-sonata.
Sorprende, se mai,
dopo la singolare anonimia
tematica della seconda
Sinfonia, la precisa
individuazione d’idee,
talora classicamente
contrastanti, che vi si incontra,
la nettezza dei disegni che
guidano il flusso sinfonico
del primo movimento, in una
convulsa successione
di slanci e momenti di
oppressione, trionfante
nella grandiosità di certi
squarci o declinante in
oasi di languori e abbandoni.
Se si escludono
brevi passi di preziosismo
solistico, con aperture in tono
vagamente leggendario su tenui
spiragli di
estatica felicità (come
nell’assolo del violino, su arpeggiare
di flauti, clarinetti e arpe,
che prelude alla
conclusione), la scrittura
orchestrale è tutta un
impasto fittissimo di linee e
di timbri, in un addensarsi
di sovrapposizioni verticali
dissonanti di
estrema arditezza armonica.
Dopo questa pagina inquieta e
nervosa, che Scriabin
intitola Luttes, il
lento centralc, Voluptés,
mostra delle spiritualistiche
tensioni al misticismo
l’inevitabile versante
sensuale, la scorciatoia offerta
dai scnsi all’ascesi. A lungo
immerso nelle
ombrose seduzioni del
cromatismo e sviluppato nei
suoi densi intrecci come un
magmatico impasto,
ove talora s’incide tagliente
una fanfara di
tromba (già ascoltata in Luttes),
il brano libera sul
finire una sortita fiabesca e
orientaleggiante ancora
del violino, qui scortato da
un naturalistico
frullar d'ali dei legni.
Episodio che affascinò, come
racconta in una bella pagina
autobiografica, il tredicenne
Pasternak. Il paradiso dei
sensi apre la via al
conclusivo Jeu divin,
frenetico epilogo chc si avvia
fulmineo sullo scatto di una
tromba ed è animato
da una traboccante volontà
creatrice, da
un’enfatica ansia di luce. La
propensione alla circolarità,
tipica del pensiero
simbolista, conduce
Scriabin a chiudere la
Sinfonia al modo di una
forma chiusa, con l'ampia
ripresa di temi già utilizzati
nei movimenti precedenti,
prima del dilagante
finale di
stampo eroico.
Agli anni
successivi, tra il 1905 e il
1908, risale la laboriosa
gestazioue del Poema
dell'estasi, concepito
inizialrncnte come una
sinfonia in quattro
movimenti dal titolo di Poéme
orgiaque.
L’elaborazione musicale si
sviluppò parallelamente alla
stesura di un’ampia
composizione poetica, oltre
trecento versi che Scriabin
pubblicò indipendentemente e
due anni prima della
partitura. Vi si tratta, in
uno stile invasato e irto di
simboli, della conquista da
parte dello Spirito di un
ineffabile stato di estasi,
del trionfo del suo
desiderio di luce sulle
minacce di un “oscuro
presentimento” e conseguente
abbandono alle gioie
dell’amore, fino
all’apoteosi di una luminosa
autoaffermazione che spazza
ogni inquietudine e ogni
dubbio. Esistono così
naturali corrispondcnze tra
i luoghi di un siffatto
itinerario di elevazione e
lo svolgersi della musica:
un tema del desiderio al
flauto, poi al violino, in
apertura, sul tremolo
iridescente degli archi
divisi; poche battute dopo,
un disegno cromatico al
clarinetto, come immagine
del sogno e quindi
l'mperioso tema della
vittoria per quarte
ascendenti, idea centrale e
non mono che ossessiva
dell’intero Poème,
affidata alla tromba.
Mentre la
struttura del brano riprende
lo schema principe della
forma-sonata, sia pure con
molta libertà (è assente, ad
esempio, qualsiasi contrasto
tematico), non sfuggirà come
il suo respiro sia cosa del
tutto nuova e in grado di
fluire con una espansività
sconosciuta ai precedenti
lavori sinfonici. I suoi
pregi indubitabili sono
nella estrema sensibilità
del linguaggio armonico
(ancorato certo alla
tonalità ma costantemente
teso sia a un ampliamento
delle disposizioni accordali
che a una sospensione delle
funzioni tonali) e più
ancora nella mirabile
qualità inventiva della
strumentazione. Tra le
maglie di un’orchestra
ricchissima. ove non mancano
momenti di vero e proprio
delirio fonico né pause di
impreziosite sonorità
solistiche, spirano aliti
sconosciuti che ne
alleggeriscono le trame in
un vivido risaltare di
colori e di timbri. In non
pochi tratti la vicinanza
con il Debussy de La Mer
sembra fuori discussione.
Non si tace, infine, della
seduzione ambigua che fa di
questa musica quasi il
corrispettivo di un
“viaggio” sotto gli effetti
un potente allucinogeuo,
come se il pensiero liberato
da ogni ingorgo e posseduto
da un’incontenibile vitalità
potesse fluire liberamente,
rasentando strati profondi
dell’essere, altri universi
e altri modi di esistere.
Così il suo volto più
autentico, ad onta del
parossistico Finale
celebrativo di un
fantomatico Spirito, sembra
piuttosto risiedere in un
senso visionario e
panteistico della natura, in
una mistica trasfigurazione
del mondo ove si annulla
ogni distinzione fra l’anima
e la rnaterialità di ciò che
vive.
Ernesto
Napolitano
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