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Devo
ancora muovermi con
spavalderia. Se non ci fosse
questa faccenda dell’udito,
avrei già da tempo intrapreso
viaggi per tutto il mondo e
devo assolutamente farlo. -
Per me non esiste piacere più
grande che dedicarmi alla mia
arte e mostrarla al mondo.”
Con queste parole Beethoven
caratterizzò la concezione che
aveva di sé e del suo lavoro
in una lettera del 16 novembre
1801 all’amico Wegeler. Fu la
rassegnazione che lo spinse
nel marzo dello stesso anno a
pubblicare il Concerto in do
maggiore op. 15, e nel
dicembre successivo il
precedente in si bemolle
maggiore catalogandolo come
op. 19? Nella stessa lettera
Beethoven si ribellava contre
il suo “debole udito” che gli
“appariva ovunque come un
fantasma”. Comunque la sua
carriera di virtuoso del
pianoforte continuamente
impegnato in tournées gli
stava già alle spalle. Era
passato il tempo in cui egli
si comportava come Mozart, che
nel 1784 - l’anno in cui
compose numerosi Concerti per
pianoforte - aveva scritto al
padre: “Mi reca più giovamento
tenerli ancora un paio di
annetti nel cassetto e poi
renderli noti a tutti mediante
la pubblicazione a stampa.”
Beethoven
aveva sicuramente tenuto ben
più concerti di quanto sia
effettivamente documentato.
Oggi, lo studio delle fonti ha
accertato che la prima
versione del Concerto in si
bemolle maggiore era già stata
approntata a Bonn, al più
tardi nel 1790; a questa prima
versione ne seguì una seconda
nel 1793 a Vienna, poi una
terza nel 1794/95 e infine una
quarta, la versione
definitiva, che - a quanto mi
risulta - fu redatta da
Beethoven in occasione della
sua tournée a Praga
nell’ottobre 1798. Della parte
solistica erano stati
rapidamentc notati sulla
partitura solo alcuni
passaggi, e fu soltanto
nell'aprile 1801 che Beethoven
scrisse su fogli separati
l’intera parte pianistica.
Prima di consegnare questo
Concerto al pubblico Beethoven
fatto dunque trascorrere più
di dieci anni, interi
movimenti erano stati
sostituiti con altri, novità
di carattere
effimero lasciarono il posto a
elementi più validi.
Quel Concerto che Beethoven
presentò il 29 marzo 1795, in
occasione del suo debutto in
una “accademia” (= concerto)
della Tonkünstler-Societät di
Vienna era una prima versione
del Concerto in do maggiore.
Egli lo eseguì nelle sue
tournées a Berlino, Bratislava
e Budapest, e ancora in un
concerto di beneficenza dei
cugini Romberg il 29 o 30
dicembre 1796 a Vienna, e
quindi nell’ottobre 1798 a
Praga. Quando, il 2 aprile
1800, Beethoven ebbe per la
prima volta a disposizione lo
Hofburg-theater di Vienna,
aveva pensato in un primo
tempo di scrivere per questa
occasione un lavoro
completamente nuovo, quello
che sarebbe poi stato il
Concerto in do minore;
tuttavia non riuscì a
terminarlo e decise di
redigere una seconda versione
del Concerto in do rnaggiore,
che rimase poi la versione
definitiva.
I due
Concerti op. 15 e 19 seguono
inevitabilmente la scia di
Mozart. I loro organici
strumentali si orientano al
modello mozartiano; nel Largo
dell’op. 15 sono assenti le
trombe e i timpani, e ciò in
corrispondenza con la
strumentazione dei movimenti
centrali dei Concerti in do
maggiore K. 467 e K. 503 di
Mozart. Il primo intervento
del pianoforte solista
nell’op. 15 manifesta un fitto
e complesso intreccio di
influenze: nella frase
iniziale, oltre a un gesto di
riverenza per Johann Sebastian
e C.P.E. Bach, Beethoven cita
dissimulandolo un “motto”
mozartiano in una cadenza
della mano sinistra, cui fa
immediatamente seguire una
citazione dall'"Idomeneo".
Solo nella dodicesima battuta
di questo assolo appare il
tema principale, anch’esso
eseguito dalla mano sinistra.
È un’idea eminenternente
beethoveniana quella di
inserire nella Coda del Rondò
un Adagio di due battute per
gli oboi e i corni per dare
alla conclusione un carattere
ancor più trascinante. Al di
là di Mozart rimandano le
dimensioni e la trasognata
originalità del Largo, che
costituisce il centro di
gravità dell’opera. Per
compensare un’eventuale
perdita di equilibrio formale
Beethoven ha rinunciato nel
Rondò all’indicazione
“scherzando” che
originariamente si trovava nel
manoscritto. - La fitta
elaborazione motivica del
primo movimento dell’op. 19 è
frutto delle tre preeedenti
versioni. Il tema del Rondò in
origine iniziava con
un’anacrusi e da ciò derivano
gli spavaldi accenti in
sforzato dell’ultima versione:
si può così rilevare come,
anche nei primi Concerti per
pianoforte, il rapporto di
Beethoven con la tradizione
apparisse già come un
confronto critico.
Hans-Werner
Küthen
(Traduzione: Gianmario
Borio)
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