Philips - 3 LPs - 412 592-1 - (p) 1985
Philips - 2 CDs - 412 592-2 - (p) 1985

Philips - 1 CD - 468 1472--2 - (c) 1999

Giuseppe VERDI (1813-1901)






Rigoletto
127' 29"
Melodramma in tre atti (Libretto: Francesco Maria Piave dopo Victor Hugo)








Long Playing 1
38' 40"


- Preludio 3' 16"
*
ATTO PRIMO Introduzione: - "Della mia bella insognita borghese" (Duca, Borsa)
1' 36"



Ballata:
- "Questa o quella" (Duca) 1' 45"
*

Minuetto e Perigordino: - "Partite? Crudele!" (Duca, Contessa di Ceprano, Rigoletto, Borsa, Coro) 2' 15"



Scena e Coro: - "Gran nuova! Gran nuova!" ... "Tutto è gioia, tutto è festa" (Marullo, Duca, Rigoletto, Ceprano, Borsa, Coro, Monterone) 3' 04"


Seguito e Stretta dell'Introduzione: - "Voi congiuraste contro noi" (Rigoletto, Monterone, Duca, Borsa, Marullo, Ceprano) 4' 17"



Duetto: - "Quel vecchio maledivami" (Rigoletto, Sparafucile) 1' 28"



- "Signor?... Va, non ho niente" (Sparafucile, Rigoletto) 4' 18"


Scena e Duetto: - "Pari siamo" (Rigoletto) 4' 18"
*


- "Figlia. Mio padre" (Rigoletto, Gilda) 1' 57"
*


- "Deh, non parlare al misero" (Rigoletto) 1' 19"
*


- "Quanto dolor" (Gilda, Rigoletto, Giovanna) 3' 38"
*


- "Veglia, Gilda, Giovanna, Duca" (Rigoletto, Gilda, Giovanna, Duca) 5' 36"
*


Long Playing 2
41' 35"

Scena e Duetto: - "Giovanna, ho dei rimorsi" (Gilda, Giovanna) 2' 02"



- "T'amo! T'amo..." (Duca, Gilda) ... "È il sol dell'anima" (Duca, Gilda) 4' 48"
*


- "Che m'ami, deh, ripetimi" (Duca, Gilda, Ceprano, Borsa, Giovanna) ... "Addio... speranza ed anima" (Duca, Gilda) 1' 54"


Scena ed aria: - "Gualtier Maldè" (Gilda) 7' 15" | *


- "Caro nome" (Gilda) | *


- "È la... Miratela" (Borsa, Ceprano, Marullo, Coro) | *

Scena e Coro - Finale I - "Riedo!... perchè?" (Rigoletto, Borsa, Ceprano, Marullo) 2' 11"



- "Ziti, zitti" (Coro, Borsa, Marullo, Ceprano) 1' 22"



- "Soccorso, padre mio!" (Gilda, Rigoletto, Coro) 1' 27"

ATTO SECONDO Scena ed Aria: - "Ella mi fu rapita" (Duca) 2' 38"
*


- "Parmi veder le lagrime" (Duca) 3' 08"
*

Scena: - "Duca, duca!" (Marullo, Ceprano, Borsa, Duca) 2' 27" |

Coro: - "Scorrendo uniti" (Coro, Borsa, Marullo, Ceprano, Duca) |


- "Possente amor" (Duca) 3' 18"


Scena ed Aria - "Povero Rigoletto! - La rà, la rà" (Marullo, Rigoletto, Borsa, Ceprano, Coro, Paggio) 4' 00"
*


- "Cortigiani, vil razza dannata" (Rigoletto) 1' 23"
*


- "Ebben piango" (Rigoletto) 3' 46"



Long Playing 3
47' 14"

Scena e duetto:
- "Mio padre! Dio! Mia Gilda!" (Gilda, Rigoletto, Borsa, Marullo, Ceprano, Coro) 1' 50"



-. "Parla... siam soli" ... "Tutte le feste al tempio" (Rigoletto, Gilda) 4' 36"
*


- "Piangi, fanciulla" (Rigoletto, Gilda) 3' 17"
*


- "Compiuto pur quanto" (Rigoletto, Gilda) ... "Schiudete..." (Usciere, Monterone, Rigoletto) 1' 22"



- "Sì, vendetta" (Rigoletto, Gilda) 2' 10"
*
ATTO TERZO Scena e Canzona:
- "E l'ami!" (Rigoletto, Gilda, Duca, Sparafucile) 2' 32"



- "La donna è mobile" (Duca) ... "È là il vostr'uomo" (Sparafucile, Rigoletto) 3' 01"
*

Quartetto: - "Un dì, se ben rammentomi" (Duca, Gilda, Maddalena, Rigoletto) 1' 35"



- "Bella figlia dell'amore" (Duca, Maddalena, Gilda, Rigoletto) 4' 33"
*


- "M'odi, ritorna a casa..." (Rigoletto, Gilda, Sparafucile, Duca, Maddalena, Coro) 5' 24" |


- "La donna è mobile" (Duca) |


- "È amabile invero" (Maddalena, Sparafucile) |

Scena, Terzetto e Tempesta: - "Venti scudi hai tu detto?" (Rigoletto, Sparafucile, Duca, Maddalena, Coro) |


- "Ah, più non ragiono!..." (Gilda, Maddalena, Sparafucile, Coro) 5' 14"


Scena e Duetto - Finale: - "Della vendetta alfin" (Rigoletto, Sparafucile) 4' 56" |


- ("La donna è mobile") ... "Qual voce" (Duca, Rigoletto) |


- "Chi è mai" (Rigoletto) 3' 50"



- "V'ho ingannato" (Gilda, Rigoletto) 4' 55" | *


- "Lassù... in cielo" (Gilda, Rigoletto) | *






 
Neil SHICOFF, IL DUCA DI MANTOVA CORO E ORCHESTRA DELL'ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA
Renato BRUSON, RIGOLETTO Norbert Balatsch, Chorus master
Edita GRUBEROVA, GILDA Giuseppe SINOPOLI
Robert LLOYD, SPARAFUCILE Conductor's assistant: Guido Guida
Brigitte FASSBAENDER, MADDALENA

Jean RIGBY, GIOVANNA

Kurt RYDL, MONTERONE

Armando GABBA, MARULLO

William MATTEUZZI, BORSA

Geoffrey MOSES, CEPRANO, USCIERE


Maria Grazia PITTAVINI, CONTESSA DI CEPRANO, PAGGIO


 






Luogo e data di registrazione
Roma (Italia) - settembre 1984

Registrazione: live / studio
studio


Recording Producer
Erik Smith

Recording Engineer
Onno Scholze

Balance Engineer
Hans Lauterslager

Prima Edizione LP
Philips | 412 592-1 | 3 LPs - 38' 40", 41' 35" & 47' 14" | (p) 1985 | Digital


Prima Edizione CD
Philips | 412 592-2 | 2 CDs - 59' 50" & 68' 12" | (p) 1985 | DDD
Philips "eloquence" | 468 178-2 | 1 CD - 71' 14" | (c) 1999 | DDD | Highlights *


Note
Koproduktion mit Sender Freies Berlin















"RIGOLETTO": "UN GOBBO CHE CANTA DIRÀ TALUNO! E PERCHÈ NO?..."
Cantavano gli dei, i semidei; canteranno leprostitute, le zingare, le stripteaseuses da sette veli. Senza dimenticare i draghi, gli uccellini saccenti oppure le magiche stoviglie di Colette. Eppure fu la deformità fisica a intralciare il cammino creativo di Rigoletto seppure dietro alibi moralistici o politici. Cioè la vera molla drammaturgica verdiana prima ancora che dalla musica venne paradossalmente sottolineata, nella sua perfetta e bruciante forza drammatica, dai solerti funzionari della censura veneziana e da quei “taluni” che Verdi sprezzanternente bolla nella lettera da cui è tratta la citazione messa a mo’ di epigrafe.
Il primo protagonista del melodramma fu un semidio, Orfeo; il primo grande melodramma, la favola in musica monteverdiana Orfeo si apre con La Musica in persona che canta: due secoli e mezzo dopo Verdi si permetti di far cantare un gobbo. Questo è scandalo, come il “sacrifizio” di Violetta; come saranno “scandalosi” per futuri pubblici quelli di Carmen o di Lulù. Una dorma di facili costumi si redime, una zingara si fa ammazzare pur di rimanere libera, una prostituta viene a morire in una sorta di auro sacrificale e trasfigurata. Siamo ancora nella normalità: ma un gobbo che canta, un gobbo che ha sentimenti... Cosa rappresenta?
Un pericolo, senz’altro. Non solo per le censure ottocentesche, se nel 1937 il giornalista cinefilo e liricofobo Luigi Freddi in una lettera indirizzata a Benito Mussolini si preoccupava d’annotare, tra altre vaghezze relative ai capolavori del nostro operismo: “è mai possibile che si possa pensare oggi alla realizzazione di un Rigoletto, efferata storia di un tirannello provinciale che usa e abusa dei sudditi, di un satrapo che si sollazza di tradimenti e assassini in una Italietta divisa e primitiva, con tutte le conseguenze politiche e morali che ne possono derivare alla massa del pubblico...”.
Sarebbe operazione troppo facile, e inutile, ripercorrere semplicemente il filo dei travisamenti che hanno accompagnato la storia del collegamento tra l’originale di Hugo e il libretto di Piave, sotto l’implacabile e eloquentissima supervisione di Verdi; anche se nemmeno i testi che hanno sviscerato con eccezionale sottigliezza questo esemplare e ben documentato caso di censura sono stati in grado di trascendere lo stadio della collimazione documentaria per entrare nel vivo della strepitosa dimostrazione di superiorità drammaturgica elargita dal compositore (e di non plebea consapevolezza del librettista). Qui ci interessa la questione secondo un’ottica meno storica, visto che tentiamo una serie di riflessioni che partano dal dato di fatto (la conoscenza della partitura, del libretto e dei “precedenti” di Rigoletto) per affrontare, o meglio per lanciare, indizi critici o d’interpretazione desunti dall’osservazione ravvicinata di alcune coincidenze compositive.
La mossa d’avvio è nota e verdiana: “io trovo appunto bellissimo rappresentare questo personaggio esternamente defforme e ridicolo, ed internamente appassionato e pieno d’amore”. La dichiarazione d’autore è magistralmente completata da “scelsi appunto tale soggetto per queste qualità e questi tratti originali, se si tolgono io non posso più far musica”. Poi si arriverà al sopportabile compromesso e Verdi potrà “far musica.
Ma sarebbe ingiurioso per un drammaturgo così potente, pensare che le contraddizioni messe a plasmare i “tratti originali” fossero soltanto quelle rilevabili alla pura lettura o all’ascolto. Certo, la drammaticità di Rigoletto, uomo e padre, buffone e giustiziere, ha un riscontro ineffabile nel taglio bellissimo della narrazione e nella forza delle immagini musicali impiegate da Verdi. Ma è al fondo di tali immagini, nella sequenza quasi ininterrotta di duetti che danno sostanza al progetto musicale dell’opera che vale la pena di guardare a fondo. Perché l’opera delle contraddizioni, dei mutamenti di caratteri, delle decisioni repentine e drammatiche possiede una sua logica segreta che si diparte con processi significanti dalla squisita scrittura. In altre parole non può essere considerato casuale che il trattamento musicale del Duca di Mantova sia quello più convenzionale: una ballata, un duettino, un duetto, una scena (aria e cabaletta con coro), una canzone, un altro breve duetto che sfocia in quartetto (lo specchiamento del libertino nei tre approcci amorosi diversi ha una stringente limatura musicale: basta analizzare i procedimenti impiegati da Verdi per intrecciare le voci. Prima dote del libertino è il camaleontismo), quindi lacerti della sua canzone che, come i lampi metereologici, sono rivelatori ad alto potenziale esplosivo. Convenzionale nel senso che s’adatta allo svolgimento delle situazioni, anzichè modificarle; come la funzione deuteragonistica del ruolo pretende. Il Duca di Mantova è talmente fatuo da non prendere nemmeno in considerazione - la maledizione di Monterone nè l’ipotesi violenta suggerita da Rigoletto a proposito del Conte di Ceprano nè il ronzare inquietante di Sparafucile: tutto avviene come su un piano avanzato rispetto a quello delle sue azioni e dei suioi comportamenti che semplicemente s’adeguano. La presenza del Duca non provoca lacerazioni musicali o drammatiche, semplicemente sottolinea situazioni già avanzate per cui le sortite e le scomparse dalla scena si assomigliano. Appaiono tutte come lo staccarsi per un attimo da quell’ambiente che accoglie e solo risponde alle sollecitazioni drammatiche di Rigoletto.
Eccolo il protagonista. Ogni volta che interviene la temperatura complessiva dell’opera s’increspa. Non vanta le bellurie melodiche del Duca ma lascia il segno: note ribattute, linea vocale spezzata, improvvise modulazioni; il canto non parte dalle labbra ma, più profondamente, dalle viscere d’un personaggio che percorre l’opera irrequieto e come presago fin dalla primissima apparizione (Rigoletto inizia e termina l’opera con una serie di note ribattute: lo stesso disegno ritorna - tra do e re bemolle, tonalità base dell’opera - nei momenti culminanti a partire dalla maledizione di Monterone...).
L’accompagnamento orchestrale, esclusa naturalmente la ‘danzata’ scena dell’atto iniziale, e con l’eccezione dell’invettiva feroce del “Vendetta!” (che nell’andamento musicale riprende - stravolgendola - l’effusione di “Culto, famiglia, la patria”), risponde a un’idea originale anche per l’operismo verdiano in quanto impone autonomia tra le due linee musicali. In orchestra poi troviamo spesso strumenti solisti, a cominciare dal violoncello nel duetto Rigoletto-Sparafucile, e l’orchestra stessa svolge un ruolo di “continuum” sonoro che non spezza mai l’azione: la scandisce semmai. Presago, inquieto, senza speranza. La tinta che Verdi destina al suo protagonista non può lasciare dubbi: se l’essere giullare non fosse espresso dalle sue stesse parole nei passaggi più intensi dell’opera - laddove la contraddizione tra ‘professione’ e sentimento individuale si fa lancinante: “lacrime piangendo, sotto la larva del buffon” - e se non ci si mettesse la volgarità di interpreti che ritengono obbligatoria la risata sguaiata che accompagna la comparsa nel mezzo della festa, l'immagine del protagonista sarebbe tutta segnata dalla drammaticità, dall’apprensione seppure affettuosa (con Gilda), dalla cattiva fama (“tristi” sono i suoi modi secondo i cortigiani), prima di rivelarsi nell’animosità, nella paura, nella difesa estrema degli affetti. Ecco un’altra strada drammaturgica, originale e bilanciata sulle contraddizioni ‘esterne’ del suo Rigoletto, che si rivela nella descrizione di questa schizofrenia comportamentale, della barriera a oltranza innalzata sui propri affetti, sulla propria vera natura. Una moglie celestiale, una figlia santificata in terra, ma celate allo sguardo degli uomini: come nascosti sotto la giubba del sinistro giullare rimangono l’amor paterno e l’umanità.
Tutte qualità continuamente rimosse dal corso drammatico dell’opera. Rigoletto non lascia respiro ai fatti, alle reazioni, è incalzato da una forza esterna: la “maledizione” ha il passo fatale di un’energia inarrestabile, come la “vendetta” (sottolineata con gesto musicale vistoso nel primo coro dei cortigiani: è l’altra parola-simbolo dell’opera) che si ritorce moralmente su chi l’ha ordita. La fatalità, come ritmo vitale travolgente che tutti i personaggi sono costretti a subire, e un macchinismo che percorre la musica e precorre gli avvenimenti. Verdi l’impone al suo teatro successivo arrivando alla costruzione di quell’enorme architettura rituale ch’è Don Carlos: in Rigoletto sembra di avvertirne i presagi. Sarà la tinta omogenea, sarà la vertiginosa corsa delle scene che nella simmetria costruttiva acquistano un’assurda e temeraria compressione emotiva, sarà quella eccezionale capacita di leggere “il cor dell’uomo” (che Filippo II per poco s’illuderà di conoscere...) come fosse non specchiato ma in trasparenza, quindi con pregi e difetti, per arricchimento e sottrazione contemporanee: è impossibile fissare in poche immagini l’energia scatenata da Verdi.
A noi rimangono le emozioni, alle parole le briciole di un istinto drammaturgico sbalorditivo. Sembra innato, miracoloso; invece è miracoloso ma calcolato, inventato, perfezionato.
Verdi ama subito Rigoletto, vi condensa fantasmi lungamente vagheggiati di Re Lear; difende la sua opera con le motivazioni che prima sono state ricordate, ma soprattutto difende un’idea di musica per il teatro con dignità oggettiva, vincente: “dico francamente che le mie note o belle o brutte che siano non le scrivo a caso, procuro sempre di darle un carattere”, soggiungeva poco oltre nella lettera (già citata, del 14 dicembre 1850) indirizzata al presidente dell’Impresa del Teatro La Fenice.
Oltre al carattere delle note c’è quello dei personaggi, accanto ad essi gli ambienti, i climi. Tutto obbedisce a un progetto teatrale esatto che non può subire le limature d’una censura. La forza fatale di cui si parlava prima fa aprire l’opera con un’introduzione orchestrale dove si sviluppa allusivamente l’idea tematica della “Maledizione” e poi lascia il campo alle tre “orchestre” che suggeriscono la gran festa, con alternanze - vere e proprie zoomate sonore - che corrispondono alle sezioni pensate su profondità espressive diverse, tratteggiando una sceneggiatura cinematografica, per campi esattissimi. E lì c’è un clima che non fallisce; il Verdi bandistico nel senso professionale dell’attributo spalanca l’opera su una festa livida, astiosa (si ripassino i discorsi che segmentano l’azione della prima scena), dove aleggia un’idea di “atto gratuito”, di sfida alla dignità degli altri uomini che appartiene sia alla dimensione del cortigiano che a quella del signore libertino (l'Atto gratuito” è una delle molle drammaturgiche introdotte da Auden nel libretto di The Rake's progress di Stravinskiji, esattamente cento anni dopo: e Stravinskij cita Rigoletto tra i lontani creditori della sua straordinaria riflessione sul libertinismo).
Poi gli ambienti: il palazzo, la riva del Mincio, la casa di Rigoletto... ovvero interno, esterno, interno-esterno; interno (ma doppio: c’è: la presenza della stanza dove s’è consumato l’atto d’amore); esterno-interno che “diventa” esterno. Il gioco delle simmetrie in Rigoletto è impietoso, cementa tutta l’opera come le numerose corrispondenze strutturali e tematiche (Luigi Dallapiccola tra le altre ricorda “l’episodio che Liszt avrebbe definito ‘Tempestuoso’ del primo atto” e la ‘tempesta’ dell’ultimo cioè l’identità tra melodia del coro ‘O tu che la festa’ e l’attacco di Sparafucile ‘Se pria ch’abbia il mezzo la notte toccato’ ”). Non a caso il centro drammaturgico dell’opera va riconosciuto nel “Quartetto”, momento sublime dell’ambiguità ambientale (esterno-interno) e di quella sentimentale (un triangolo amoroso con il Duca al vertice e uno affettivo con Gilda contesa tra amante e padre); trasfigurazione strutturale (in un’opera ch’è “una sfilza interminabile di Duetti”, come l’aveva definita Verdi, un Quartetto è una sorta di astrazione sintattica), oltre che palestra d’incontri musicali seducenti.
Un gobbo che canta! Perche no? Verdi aveva capito bene anche un’altra questione: il problema non era la voce, ma il ruolo sociale. Quello non consente a un istrione di corte di avere un’amante, per di più segreta, e bella... : questo è il vero scandalo. Va punito con la degradazione dell’oggetto tanto prezioso a oggetto di burla, poi di piacere. Il potere contro l'emarginato colpevole di aver tentato un’emulazione dei signori (l’amante bella): può essere un’idea d’interpretazione - per carità, non scenica - anche questa.
Ma quando un lampo squarcia la notte e svela il contenuto del sacco si può per un attimo sorridere pensando alla clamorosa sciocchezza diHonegger che definì Rigoletto “histoire d’erreur d’emballage”; poi il gobbo (così è la terza volta: i duetti con Gilda, appunto) canta con una voce ch’è dell’anima. E dimenticandoci d’ogni tentativo di lettura, lasciamo che Verdi c’invada sapendo che la sua mano è quella di un uomo che la statura di Rigoletto l’ha saputa inventare tante volte perché l’aveva dentro da sempre.
Angelo Foletto
L’ARGOMENTO
ATTO PRIMO
Nella grande sala del palazzo del Duca di Mantova si sta svolgendo un ballo. Il Duca sta raccontando a Borsa, uno dei cortigiani, che ogni domenica segue una ragazza dalla chiesa a casa sua attraverso i vicoli nascosti della città. Borsa raccomanda discrezione, mentre il Duca dichiara la propria filosofia, che è quella di amoreggiare sempre. Durante un minuetto, il Duca corteggia apertamente la contessa di Ceprano. Rigoletto, conscio del proprio ruolo di buffone di corte, dileggia il conte suo marito, che gli si rivolta con rabbia, e sia lui che Rigoletto seguono il Duca fuori dalla sala. Dopo un perigordino giunge un altro cortigiano, Marullo, con la notizia che Rigoletto ha un’amante. Il Duca e il giullare rientrano in sala discutendo di come sbarazzarsi di Ceprano. Rigoletto suggerisce di tagliarli la testa, anche perché comunque lui non sa cosa farsene. Ceprano e i cortigiani covano ormai una gran rabbia contro di lui, e iniziano a pensare al rapimento della ragazza che Rigoletto tiene nascosta. Dall’esterno si sente la voce di Monterone, il quale sta venendo a chiedere ragione al Duca che ha sedotto sua figlia. Con oltraggiosa e ironica gravità Rigoletto finge di dargli graziosamente udienza. Monterone maledica sia il Duce che Rigoletto, scagliandosi particolarmente contro quest’ultimo. Il Duca ordina il suo arresto, e i cortigiani reagiscono con costernazione a una simile interruzione della festa, mentre Rigoletto ammutolisce preso da terrore superstizioso.
Arrivato davanti a casa, con la mente che ancora risuona della maledizione di Monterone, Rigoletto viene avvicinato da Sparafucile, sicario di professione, che gli offre all’occorrenza i propri servizi. Rigoletto lo congeda con ripugnanza, ma si rende conto che in fondo la sua professione non è poi così diversa: laddove Sparafucile uccide con il pugnale, egli uccide con la lingua. Ripensa dunque al suo destino di buffone, sempre obbligato a divertire, a prescindere dai propri sentimenti, e a cui e sempre negato il sollievo delle lacrime. Quindi entra in casa, dove viene salutato con trasporto dalla figlia. Ella gli domanda notizie della madre che non ha mai conosciuto, e Rigoletto le risponde che si trattava di un angelo di bellezza e di bontà, ma chc ormai è morta e Gilda è dunque tutto ciò che gli è rimasto al mondo. Quando Gilda chiede che le venga accordata una maggilore libertà, Rigoletto viene preso dal panico, manda a chiamare Giovanna, chaperon della figlia, e le domanda ansiosamente se mai qualcuno le abbia seguite. Rassicurato dalle sue risposte si congeda con affetto da Gilda, interrompendo le effusioni appena sente un rumore dall’esterno; dopo aver ripetuto a Giovanna la raccomandazione di mantenere la più stretta sorveglianza su ciò che le è stato affidato, parte. Gilda sente un lieve rimorso per aver taciuto circa il giovane che regolarmente la segue a casa, quando all’improvviso lo stesso le compare davanti. Il loro duetto d’amore è interrotto bruscamente da Giovanna che ha udito delle voci avvicinarsi. Il Duca parte, non prima di averle dato il nome, che ha appena assunto, di Gualtier Maldè. Mentre Gilda felice sta ripetendosi il suo nome, i cortigiani la spiano dalla strada. Quando vengono avvicinati da Rigoletto che sta nuovamente tornando a casa, essi decidono di coinvolgerlo nel rapimento della figlia. Mostrandogli la chiave del palazzo di Ceprano, Marullo gli dice che intendono rapire la contessa per il piacere del Duca, e Rigoletto si mostra anche troppo desideroso di unirsi alla combriccola. Con il pretesto di mascherarlo gli vengono bendati gli occhi, mentre regge la scala utilizzata dagli altri per entrare in casa. Solamente le grida terrorizzate di Gilda e quelle di trionfo dei cortigiani gli fanno capire all’improvviso che ha collaborato al rapimento della propria figlia.
ATTO SECONDO
In una sala del palazzo il Duca ricorda come sia tornato a casa di Gilda solo per trovarla vuota. La ragazza gli è stata sottratta, ed era l’unico essere umano al quale sarebbe rimasto fedele. Le sua amare riflessioni sono interrotte dai cortigiani che gli raccontano come abbiano rapito Gilda, con l’involontaria collaborazione di Rigoletto, e l’abbiano portata nel suo palazzo. Il Duca si prepara allegramente a cogliere i frutti della sua ultima conquista. Entra Rigoletto, pallido ma padrone di sé, e cerca di comportarsi come sempre da buffone, ma i cortigiani avvertono la sua ansia senza posa. Entra un paggio annunciando che la duchessa vuole parlare a suo marito, ma gli viene risposto in tono che non ammette repliche che il Duca è impegnato altrimenti. Rigoletto comprende improvvisameme la verità e rivela ai cortigiani sbigottiti che Gilda è sua figlia. Egli inveisce furiosamente contro di loro, quindi li supplica di restituirgliela. In quel momento entra di corsa Gilda in persona, Rigoletto impone a tutti di andarsene e ascolta la figlia raccontargli l’intera storia per la prima volta. Mentre padre e figlia si confessano tutto il proprio dolore, Monterone passa lì vicino sotto scorta per essere condotto al patibolo. Rigoletto gligrida che i suoi torti saranno vendicati, mentre Gilda tenta di placare l’ira paterna.
ATTO TERZO
La scena è una taverna alla periferia della città. Qui il Duca è stato attirato da Sparafucile su commissione di Rigoletto. L’esca è costituita dalla sorella di Sparafucile, Maddalena, con la quale il Duca intende trascorrere la notte. Egli ordina un bicchiere di vino, e nell’attesa canta la sua famosa canzone “La donna è mobile”, sull’incostanza delle donne. Nel frattempo Rigoletto arriva fuori dalla taverna con Gilda, in tempo per vedere attraverso le crepe del muro il Duca flirtare con Maddalena. Rigoletto ordina alla figlia di tornare a casa, travestirsi da uomo e precederlo a Verona dove si ricongiungeranno. Subito dopo si accorda con Sparafucile perché il corpo del Duca gli venga consegnato in un sacco a mezzanotte in punto. Ma intanto Maddalena si è innamorata del Duca e supplica il fratello di risparmiargli la vita. Sparafucile però risponde ad un proprio codice d’onore: Rigoletto ha pagato per un corpo e deve averne uno. Il massimo che può concedere è che se uno straniero dovesse arrivare alla locanda e chiedere ricovero, lo ammazzerà in sua vece. Gilda, ritornata in abiti da uomo, ascolta la conversazione e decide di sacrificarsi. Scoppia una tempesta; al suo culmine Gilda bussa alla porta dell’ostello, viene fatta entrare e immediatamente pugnalata, e il suo corpo viene infilato in un sacco. Rigoletto ritorna all’ora stabilita e gli viene consegnata la merce per la quale ha pagato. Ma proprio mentre sta per gettare il sacco nel fiume riconosce da lontano la voce del Duca cantare “La donna è mobile”. Aperto quindi il sacco scopre che contiene il corpo di sua figlia, la quale vive solamente quanto basta a dirgli addio fino a che si reincontreranno nell’aldilà. La maledizione è stata compiuta.
Julian Budden