PHILIPS - 3 LPs - 412 133-1 - (p) 1984
PHILIPS - 3 CDs - 412 133-2 - (p) 1984

Giuseppe VERDI (1813-1901)






Macbeth
162' 34"
Opera in quattro atti (Libretto: Francesco Maria Piave dopo Shakespare)








Long Playing 1
55' 34"
ATTO I
1. Preludio 3' 48"


Coro di Streghe 2. "Che faceste? dite su!" (Coro di Streghe)
3' 21"



Scena e Duetto 3. "Giorno non vidi mai" (Macbeth, Banco) 8' 21"


Coro di Streghe 4. "S'allontanarosno!" (Coro) 1' 45"



Scena e Cavatina 5. "Nel dì della vittoria io le incontrai..." (Lady) 9' 28"


Scena e Marcia 6. "Oh donna mia" (Macbeth, Lady) 3' 36"



Gran scena e Duetto 7. "Sappia la sposa mia" (Macbeth, Lady) 12' 42"


Scena e Sestetto - Finale I 8. "Di destarlo per tempo il re m'impose" (Macbeth, Lady, Macduff, Banco, Dama, Malcolm) 8' 50"

ATTO II Scena 9. "Perché mi sfuggi" (Lady Macbeth) 3' 09"



Long Playing 2
57' 13"

Aria 1. "La luce langue" (Lady) 4' 25"


Coro di Sicari 2. "Chi v'impose unirvi a noi?" (Coro) 2' 58"


Gran Scena 3. "Studia il passo, o mio figlio!" (Banco) 4' 41"


Finale II 4. "Salve o re" (MAcbeth, Lady, Dama, Macduff, Sicario, Coro) 17' 13"

ATTO III Coro d'Introduzione - Incantesimo 5. "Tre volte miagola la gatta in fregola" (Coro di Streghe) 4' 14"


Ballabili 6. I 1' 58"



7. II 5' 10"



8. III (Valzer) 2' 46"


Gran Scena della Apparizioni 9. "Finché appelli, silenti m'attendete!" (Macbeth, Streghe, 3 Apparizioni) 13' 17"



Long Playing 3
49' 47"

Coro e Ballabili 1. "Ondine e Silfidi" (Coro di Streghe) 3' 50"


Scena e Duetto - Finale III 2. "Ove son io?..." (Macbeth, Lady) 3' 05"

ATTO IV Coro di Profughi Scozzesi 3. "Patria oppressa" (Coro) 7' 20"


Scena ed Aria 4. "O figli, o figli miei!" (Macduff, Malcom, Coro) 4' 08"



5. "Dove siam?" (Malcom, Macduff, Coro) 2' 45"


Gran Scena del sonnambulismo 6. "Vegliammo invan due notti" (Lady, Medico, Dama) 15' 14"


Scena ed Aria 7. "Perfidi! all'Anglo contro me v'unite!" (Macbeth, Coro, Dama) 5' 58"


Scena e Battaglia 8. "Via le fronde" (Macduff, Macbeth, Coro) 3' 52"


Inno di Vittoria - Finale 9. "Vittoria!" (Coro, Macduff, Malcom) 3' 05"







 
Mara ZAMPIERI, LADY MACBETH (Soprano) CHOR UND ORCHESTER DER DEUTSCHEN OPER BERLIN
Renato BRUSON, MACBETH (Baritono) Walter Hagen-Groll, Chorus master
Robert LLOYD, Banco (Basso) Giuseppe SINOPOLI
Lucia ALIBERTI, Dama (Soprano) Conductor's Assitant: Guido Guida
Neil SHICOFF, MACDUFF (Tenore)

Claes H. AHNSJÖ, MALCOM (Tenore)

Petteri SALOMAA, MEDICO (Basso)

Miomir NIKOLIČ, SERVO & SICARIO (Basso)

Andreas SCHMIDT, ARALDO & APPARIZIONE 1 (Baritono)

Ralph Leopold NEUBERT, APPARIZIONE 2 & 3 (Soprano fanciullo)

 






Luogo e data di registrazione
Berlin (Germania) - novembre/dicembre 1983

Registrazione: live / studio
studio


Producer / Engineer / Editing

-


Prima Edizione LP
Deutsche Grammophon | 412 133-1 | 3 LPs - 55' 34", 57' 13" & 49' 47" | (p) 1984 | Digital


Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 412 133-2 | 3 CDs - 55' 34", 57' 13" & 49' 47" | (p) 1984 | DDD


Note
Koproduktion mit Sender Freies Berlin















Il primo incontro di Verdi con Shakespeare
Macbeth rappresenta il primo incontro di Verdi con Shakespeare. A quale preciso momento nella storia della formazione culturale verdiana risalga la scoperta del drammaturgo inglese, non è facile stabilire con precisione. È certo comunque che Verdi, durante tutta la sua lunga carriera di operista, ebbe costante dimestichezza con il teatro shakespeariano attraverso la traduzione di Carlo Rusconi, pubblicata per la prima volta a Padova nel 1838. È, questa di Rusconi, una traduzione in prosa, tendente cioè a far prevalere i valori più scopertamente drammatici, la dinamica teatrale del testo, anche talvolta a scapito delle immagini poetiche, e soprattutto della loro resa sonora nel fluire dei versi. Quella di Rusconi fu comunque la prima traduzione integrale in lingua italiana dell’opera di Shakespeare; il che testimonia, se mai ce ne fosse bisogno, l’attenzione e l’interesse del giovane Verdi verso i fatti culturali più nuovi e significativi del suo tempo. Tutto questo però non ci aiuta molto, perché il compositore - e questo specialmente nell’iniziale, intensissimo periodo di attività creativa - scelse sovente i soggetti per i suoi libretti fra i molti argomenti di pièces teatrali e testi letterari sui quali aveva fermato l’attenzione, proprio come suscettibili di futura resa drammatica musicale, attraverso quelle ampie, persino disordinate letture che costituiscono l'antefatto di queste scelte. A volte la gestazione ebbe tempi lunghissimi, altre volte invece fu di una rapidità folgorante.
Su Macbeth la scelta cadde, almeno all’inizio, per ragioni contingenti; l’assenza cioè di un tenore adatto a sostenere una parte di primo piano: “Il signor Maestro si occupa del libretto per Firenze; i soggetti sono tre: l'Avola [= Die Ahnfrau di Grillparzer], I Masnadieri [= Die Räuber di Schiller], e Macbeth. Se avrä [il tenore] Fraschini farä l’Avola, se invece di Fraschini gli daranno Moriani, come sembra, allora fa il Macbeth, e non abbisogna pi# di un tenore di grande forza”; in questo modo Emanuele Muzio, che in quel torno di tempo stava compiendo studi di composizione a Milano sotto la guida di Verdi, comunicava ad Antonio Barezzi, il mecenate bussetano suocero del compositore, la situazione il 13 agosto 1846. Il contratto con l’impresario Lanari di Firenze era per un’opera da rappresentarsi al Teatro della Pergola nella stagione di carnevale-quaresima 1847, e ancora una volta la disponibilità o meno dei principali interpreti era il punto chiave della situazione. Ma quale tipo di interpreti Verdi volesse, e per quali ragioni, è detto chiaramente in un’altra lettera di Muzio a Barezzi del 27 agosto, quando la scelta dell’argomento era quasi definita, e la decisione dipendeva ormai soltanto dal cantate che Verdi voleva come protagonista: “Forse a Firenze nell’opera del signor Maestro non canterà né Moriani né Ferri. Adesso tutto dipende da una risposta di Varesi; se Varesi accetta di cantare nella Quaresima a Firenze, allora scrive il Macbeth, ove vi sono due sole parti principali: Cordelia [sic!!!] e Macbeth: la Löwe e Varesi; le altre sono seconde parti. Nessun attore, al presente, in Italia può fare più bene il Macbeth di Varesi, e per il suo modo di canto, e per la sua intelligenza, e per la sua stessa piccola e brutta figura. Forse egli dirà che stuona, questo non fa niente perché la parte sarebbe quasi tutta declamata, e in questo vale molto”.
Nessuna partitura verdiana contiene tante esplicite indicazioni di colorito vocale, e alternate con tanta frequenza, quanto Macbeth; il predominio dei valori drammatici su quelli di pura cantabilità è quindi cosciente scelta stilistica già al momento dell’inzio della composizione. Ma la narrazione shakespeariana della leggenda del thane di Scozia attira l’attenzione di Verdi anche per un’altro aspetto: la presenza del soprannaturale, del fantastico nella vicenda: le streghe, lo spettro di Banquo, soprattutto le apparizioni dei re sono un potente incentivo alla fantasia del compositore: quando la stesura della partitura è già a buon punto, nel gennaio 1847, egli scrive da Milano al1’impresario Lanari: “[...] parlando giorni fà con Sanquirico del Macbeth ed esternandogli il mio desiderio di montare assai bene il terzo atto delle apparizioni egli mi suggerì diverse cose, ma la più bella è certamente la fantasmagorìa [...]. Tu sai cosa è la fantasmagorìa ed è inutile te ne faccia descrizione. Per Dio se la cosa riesce bene come me l’ha descritta Sanquirico sarà un affare da sbalordire, e da far correre un mondo di gente soltanto per quello [...]”. L’elemento fantastico e soprannaturale rimarrà un aspetto, tutto sommato, secondario nello sviluppo della drammaturgia verdiana, sempre così potentemente ancorata all’hic et nunc terreno dell’uomo; e tuttavia all’epoca della composizione di Macbeth aveva un peso non indifferente nelle scelte del compositore; basti ricordare che nell’Ahnfrau di Grillparzer il protagonista è perseguitato ed infine ucciso dallo spettro dell’“avola”. Mala potenza della tensione drammatica, soprattutto il divenire interiore dei protagonisti ha ben presto il sopravvento su ogni altra dimensione della vicenda. E in questo senso Macbeth rappresenta la crisi culminante e determinante dell’arte verdiana; costituisce cioè il momento in cui il compositore prende coscienza che egli deve trovare, all’interno del linguaggio musicale, gli elementi caratterizzanti i poli drammatici della vicenda, in modo da realizzare un arco di tensione che trascenda i singoli momenti, le situazioni isolate, e si estenda invece lungo tutta la partitura. Verdi comprende che la poetica tradizionale dei “numeri chiusi” (arie, duetti, pezzi concertati, cori, finali) empiricamente alternati e giustapposti, è del tutto indifferente a quest’esigenza, anzi ad essa si contrappone; egli avverte che è necessario stabilire connessioni ben precise, ed in termini esclusivamente musicali, tra i momenti salienti della vicenda, proprio per mettere nella massima evidenza il rapporto che tra essi esiste e che li individua. Solo in questo modo la tensione drammatica che tanta forza ha nell’originale shakespeariano può venir tradotta e realizzata nello spettacolo d’opera.
Nel momento stesso in cui sceglie un soggetto come Macbeth, Verdi comprende che l’essenza della tragedia si accentra nei due protagonisti, e nel loro dialettico rapporto, dominato dalla sete di potere: le segrete - quasi inconfessate - aspirazioni di Macbeth al trono di Scozia sono continuamente echeggiate, sorrette, stimolate dalle ciniche esortazioni della moglie di lui, l’unico personaggio dell’intero teatro verdiano che non ha nome proprio, ed è soltanto Lady Macbeth. I due personaggi sono indissolubilmente uniti in un unico destino, caratterizzato dal succedersi dei delitti necessari per raggiungere e conservare il trono. La sete di potere - delineata con chiarezza nel protagonista atrraverso il breve duetto con Banco che segue l’iniziale profezia delle streghe - viene esplicitamente rivelata nella prima grande aria di Lady, “Vieni, t’affretta!”; ma alla fantasia di Macbeth è necessaria tutta una serie di stimoli ultraterreni (l’immaginario pugnale, poi insanguinato; le voci notturne, il grido del gufo) perché essa si concretizzi nell’atto delittuoso dell’uccisione di Duncan; in questo modo viene preparata attraverso una tensione drammatica senza pari la frase con cui Macbeth, rientrato in scena, le mani insanguinate, annuncia alla moglie che il fatto è compiuto (“I have done the deed” in Shakespeare).
Questa frase, la prima vera “parola scenica” verdiana, ha la potenza icastica di riassumere nell’arco di due battute l’intera situazione, ed insieme costituisce il punto d’attacco dellosviluppo drammatico nella parte centrale della vicenda. Infatti il duetto seguente, che Verdi ad essa collega attraverso una iterazione intensificata in orchestra delle altezze dei suoni che la compongono (Do - Re bemolle), non costituisce che un prolungamento nel tempo, un’amplificazione esplicativa delle contrastanti reazioni dei due protagonisti dopo l’atto delittuoso; angoscia e rimorso in Macbeth, cinica derisione di questi sentimenti nella moglie di lui. Le quattro sezioni tradizionali nelle quali il duetto si articola sono identificate attraverso precisi e pertinenti riferimenti musicali alla frase del protagonista che immediatamente precede il duetto; questi riferimenti, messi in evidenza anche per mezzo di iterazioni proprio all’inizio di ciascuna delle sezioni del duetto, stabiliscono con inconfondibile chiarezza la logica drammatica degli eventi, la loro concatenazione.
La frase di Macbeth “Tutto è finito!” viene ripetuta dagli ottoni in unisono all’inizio del secondo atto, ed è seguita da un’estesa citazione delle prima sezione del duetto, quasi a sottolinearne la funzionalità drammatico-dinamica. Ma il ritmo puntato di quella frase viene impiegato da Verdi in altri contesti musicali ad essa drammaticamente connessi; così questo ritmo, scandito in una ossessionante iterazione, domina l’intera conclusione del primo atto, dal momento in cui l’indignazione generale segue l’annunzio di Banco della scoperta dell’assassinio (“Schiudi, o inferno”), sino al grandioso cantabile con cui quest’indignazione si distende in una possente frase melodica (“L’ira tua formidabile e pronta”).
Oltre al ritmo e alle altezze dei suoni, Verdi si serve di timbri strumentali particolarmente individuati per inverare lungo l’arco della partitura le connessioni tra i momenti drammaticamente salienti. Se è vero che i destini dei due protagonisti sono indissolubilmente legati attraverso la sete del potere, il dénouement autentico della vicenda non è tanto la fine del protagonista (che nella revisione dell’opera Verdi fa addirittura avvenire fuori scena), quanto la “Grande scena del sonnambulismo”, in cui Lady Macbeth, che aveva spinto con sprezzante freddezza il marito alla serie di delitti onde conservare il potere, rivive in un angosciato accavallarsi diacronico i momenti salienti di quegli eventi delittuosi, soprattutto la notte dell’uccisione di Duncan. Già il testo shakespeariano contiene precisi collegamenti verbali tra i due episodi; e Verdi comprese perfettamente la necessità di trasferirli e realizzarli analogamente sul piano musicale. Mi limiterò qui ad evidenziarne uno soltanto. Nel corso della prima sezione del duetto le “voci soffocate” e cupe dei personaggi in scena sono raddoppiate in orchestra dal timbro freddo, nasale ma soprattutto penetrante del corno inglese; a questo stesso strumento Verdi affida il “lamento” (un semitono discendente) in orchestra che si inserisce, isolato ed evidente, tra le brevi, affannose frasi con le quali Lady Macbeth rivive la serie dei delitti e soprattutto quella tremenda notte. In questo modo il testo shakespeariano viene assunto come modello di organizzazione strutturale sul piano musicale; e sarà questa una lezione fondamentale per l’intero teatro verdiano, la cui caratteristica più originale, a ben guardare, consiste proprio in questa cosciente realizzazione, a livello musicale, dell’unità drammatica.
Nella corrispondenza del compositore viene spesso sottolineata, quasi un motivo ricorrente, la stretta connessione tra i due episodi, e la necessità di una tecnica vocale più da attore che da cantante per eseguirli entrambi; ad esempio, in questa lettera a Salvatore Cammarano del 23 novembre 1848: “Avvertite che i pezzi principali dell’Opera sono due: il Duetto tra Lady ed il marito ed il Sonnambulismo; Se questi pezzi si perdono, l’Opera è a terra: e questi pezzi non si devono assolutamente cantare: bisogna agirli, e declamarli con una voce ben cupa e velata: senza di ciò non vi puo essere effetto [...]”.
Nel 1863, quando l’impresario del Théatre Lyrique, Carvalho, propose a Verdi di mettere in scena Macbeth a Parigi, il compositore avvertì la necessità di riscrivere molte parti dell’Opera, e prima di tutto di aggiungere un balletto, di prammatica in ogni spettacolo per la capitale francese. È questa la versione dell’opera che si esegue correntemente in teatro, ed anche in questa incisione discografica; essa ha il pregio di esprimersi in un linguaggio musicale più raffinato e complesso che non la versione del 1847. Nel darsi pena di smussare tutte le rozzezze della prima redazione, e soprattutto per togliere (per dirla con parole sue) i “diversi pezzi che sono o deboli, o mancanti di carattere, che è ancora peggio”, Verdi mise mano all’intera partitura, spesso modificando la sola parte orchestrale, altre volte parti vocali e parti d’accompagnamento; in più sostituì o riscrisse alcuni numeri: rifece l’aria di Lady Macbeth del secondo atto, che divenne “La luce langue”; il coro degli esiliati scozzesi, che trasformò da “coro patriottico” all’unisono (sul modello del “Va pensiero” del Nabucco) in una delle pagine più articolate e raffinate dell’intera partitura; rimpiazzò l’aria di Macbeth che concluderà il terzo atto con un duetto fra il protagonista e la sua donna; e infine cambiò l’intero finale, eliminando il monologo conclusivo del protagonista e sostituendovi una “Battaglia” strumentale in forma di fuga, e un conclusivo coro di vittoria, anche questo di prammatica in un’opera da rappresentarsi sulle scene parigine. Nonostante l’accuratezza e la profondità dei ritocchi, anzi forse proprio per questa causa, l’accostamento, anzi la giustapposizione dei pezzi provenienti dalle due redazioni non è sempre inavvertibile, e questo crea talvolta un senso di ineguaglianza stilistica nella partitura.
Le due versioni di Macbeth si collocano entrambe in momenti cruciali di sviluppo della parabola compositiva verdiana; di qui viene, nonostante ogni possibile dislivello di risultati drammatici causato dalle varie redazioni, la straordinaria ricchezza ed originalità della partitura., anche all’interno del corpus verdiano. Proprio in virtù di questi valori, ritengo, Macbeth è ritornato da trent’anni a far parte del repertorio corrente nei teatri d’opera di tutto il mondo, ed è forse la riconquista più alta, con Simon Boccanegra, da quell’immenso patrimonio culturale che è il teatro verdiano.

Pierluigi Petrobelli
Direttore, Istituto di Studi Verdiani, Parma
L’ARGOMENTO
ATTO PRIMO
In un bosco della Scozia tre gruppi di streghe sono intente ai loro sortilegi allorché si imbattono in Macbeth e Banco, generali di Duncano, re di Scozia, reduci da una battaglia vittoriosa contro i ribelli. Interpellate, esse salutano il primo come Signore di Glamis e di Caudor e futuro re di Scozia, mentre al secondo profetizzano una vita più felice e una discendenza di re. All’inattesa predizione essi stupiscono ma, quasi a confermare una parte delle profezie, giungono messi che annunciano avere Duncano condannato a morte, per tradimento, il sire di Caudor; Macbeth è designato a succedergli. Macbeth è impressionato dall’avverarsi della prima predizione; Banco medita come talvolta per sospingere al male, l’inferno sveli squarci di verità. Nel suo castello Lady Macbeth apprende queste notizie da una lettera del marito; la sua sfrenata ambizione rivela in lei una donna spietata, pronta a tutto pur di raggiungere il potere. Quando un servo annuncia che Duncano sta per giungere con Macbeth e pernotterà al castello, già ella ha concepito il suo piano e induce il marito ad assassinare il Vecchio re.
Macbeth esita, ma, incapace di resistere alla inesorabile determinazione della moglie e spinto dalla propria ambizione, che gli fa immaginare una spada dapprima pulita e poi coperta di sangue, compie il delitto. Stravolto da ciò che ha commesso, sente che mai più potrà dormire sonni tranquilli e le sue ansie contrastano con l’implacabile freddezza della moglie. Macduff si reca a destare il vecchio re; Banco, che l'accompagna, è oppresso da tristi presagi. Egli stesso, invitato dall’inorridito Macduff denuncia così all’intera corte, la scoperta del delitto. L’ignoto assassino viene maledetto da tutti e nella maledizione si uniscono Macbeth e la consorte.
ATTO SECONDO
Macbeth è re di Scozia; del delitto è stato incolpato, ad arte, Malcolm, figlio di Duncano che con la sua fuga in Inghilterra ha avvalorato i sospetti. Macbeth però non è sicuro, ricorda la profezia delle streghe: è necessario che scorra altro sangue. Banco ed il figlio Fleanzio cadono nell’agguato teso loro dai sicari di Macbeth; Banco viene ucciso, ma Fleanzio riesce a fuggire. La corte è riunita in un sontuoso banchetto e Lady Macbeth innalza un Brindisi a cui tutti si uniscono. Macbeth finge meraviglia per l’assenza di Banco la cui morte gli è appena stata comunicata; decide di sedersi al suo posto e, proprio in quell’istante, l’ombra di Banco gli appare e lo atterrisce. Macbeth pronuncia frasi sconnesse, compromettenti, invano frenato dalla moglie. Lady Macbeth intona di nuovo il Brindisi ma, agli occhi di Macbeth appare di nuovo lo spettro insanguinato di Banco. Atterrito il re decide di tornare ad interrogare le streghe sul proprio futuro.
ATTO TERZO
In un’oscura caverna le streghe sono intente a preparare intrugli infernali; danzano. Appare Ecate, che preannuncia l’arrivo di Macbeth e dispone le profezie che gli devono essere rivelate, e il suo destino; le danze riprendono. Giunge Macbeth e chiede alle streghe di consultare gli spiriti per conoscere il futuro. Tre successive apparizioni lo consigliano di guardarsi da Macduff, gli predicono che nessun nato di donna potrà nuocergli e che sarà glorioso e invincibile finché il bosco di Birnam non gli si muoverà contro. Però Macbeth non è ancora soddisfatto, alla precisa domanda se i figli di Banco regneranno dopo di lui, appaiono gli spiriti di “Otto re che passano l’un dopo l’altro. Da ultimo viene Banco con uno specchio in mano”. È la conferma della profezia, Macbeth sviene e Ondine e Silfidi gli danzano attorno. Quando riacquista i sensi, la moglie gli si trova accanto, e insieme decidono di vendicarsi di Macduff, anch’egli fuggito in Inghilterra, distruggendogli i beni e trucidandone la famiglia.
ATTO QUARTO
Macduff è accampato ai confini della Scozia con i profughi e i fuoriusciti. Essi piangono la sorte della patria oppressa e lo sterminio delle loro famiglie. Malcolm li raggiunge alla testa degli alleati inglesi e, con l’esercito, si prepara a muovere all’assalto del castello di Macbeth, facendosi schermo con le fronde strappate agli alberi della foresta di Birnam. Intanto, nel castello, Lady Macbeth è in preda agli incubi del rimorso; una dama di compagnia e il medico che l’assiste la vedono giungere, sonnambula, con una candela in mano; quasi folle rivive l’assassinio di Duncano e cerca invano di cancellare le macchie di sangue che immagina sulle sue mani. Macbeth, atterrito e furente, abbandonato dalla maggior parte dei suoi, sente che la sua sorte sta per compiersi e che i presagi si avverano. All’annuncio della morte della moglie non reagisce e comprende che la fine è vicina perché vede la foresta di Birnam che si muove. I soldati inglesi avanzano con i ribelli scozzesi e, gettate le fronde che li ricoprivano, sguainano le spade e si gettano all’assalto. Nella battaglia Macduff , non nato di donna ma estratto dal ventre materno, ferisce Macbeth. Malcom è proclamato re di Scozia.
Marisa di Gregorio Casati