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PHILIPS
- 3 LPs - 412 133-1 - (p) 1984
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PHILIPS
- 3 CDs - 412 133-2 - (p) 1984 |
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Giuseppe
VERDI (1813-1901) |
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Macbeth |
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162' 34" |
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Opera in quattro
atti (Libretto: Francesco Maria
Piave dopo Shakespare) |
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Long Playing 1 |
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55'
34" |
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ATTO I |
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1.
Preludio |
3' 48" |
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Coro di Streghe |
2.
"Che faceste? dite su!" (Coro di
Streghe)
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3' 21"
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Scena e Duetto |
3. "Giorno non
vidi mai" (Macbeth, Banco) |
8' 21" |
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Coro di Streghe
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4.
"S'allontanarosno!" (Coro) |
1' 45"
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Scena e Cavatina |
5.
"Nel dì della vittoria io le
incontrai..." (Lady) |
9' 28" |
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Scena e Marcia |
6.
"Oh donna mia" (Macbeth, Lady) |
3' 36"
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Gran scena e
Duetto |
7.
"Sappia la sposa mia" (Macbeth,
Lady) |
12' 42" |
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Scena e Sestetto -
Finale I |
8.
"Di destarlo per tempo il re
m'impose" (Macbeth, Lady,
Macduff, Banco, Dama, Malcolm) |
8' 50" |
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ATTO II
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Scena |
9.
"Perché mi sfuggi" (Lady
Macbeth) |
3' 09" |
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Long Playing 2 |
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57'
13" |
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Aria |
1.
"La luce langue" (Lady) |
4' 25" |
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Coro di Sicari |
2.
"Chi v'impose unirvi a noi?" (Coro) |
2' 58" |
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Gran Scena |
3.
"Studia il passo, o mio figlio!" (Banco) |
4' 41" |
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Finale II |
4.
"Salve o re" (MAcbeth, Lady,
Dama, Macduff, Sicario, Coro) |
17' 13" |
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ATTO III |
Coro
d'Introduzione - Incantesimo |
5.
"Tre volte miagola la gatta in
fregola" (Coro di Streghe) |
4' 14" |
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Ballabili |
6.
I |
1' 58" |
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7.
II |
5' 10" |
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8.
III (Valzer) |
2' 46" |
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Gran Scena della
Apparizioni |
9.
"Finché appelli, silenti
m'attendete!" (Macbeth, Streghe,
3 Apparizioni) |
13' 17" |
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Long Playing 3 |
|
49'
47" |
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Coro e Ballabili |
1.
"Ondine e Silfidi" (Coro di
Streghe) |
3' 50" |
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Scena e Duetto -
Finale III |
2.
"Ove son io?..." (Macbeth, Lady) |
3' 05" |
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ATTO IV
|
Coro di Profughi
Scozzesi |
3.
"Patria oppressa" (Coro) |
7' 20" |
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Scena ed Aria |
4.
"O figli, o figli miei!" (Macduff,
Malcom, Coro) |
4' 08" |
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5.
"Dove siam?" (Malcom, Macduff,
Coro) |
2' 45" |
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Gran Scena del
sonnambulismo
|
6.
"Vegliammo invan due notti" (Lady,
Medico, Dama) |
15' 14" |
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Scena ed Aria |
7.
"Perfidi! all'Anglo contro me
v'unite!" (Macbeth, Coro, Dama) |
5' 58" |
|
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Scena e Battaglia |
8.
"Via le fronde" (Macduff,
Macbeth, Coro) |
3' 52" |
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Inno di Vittoria -
Finale |
9.
"Vittoria!" (Coro, Macduff,
Malcom) |
3' 05" |
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Mara ZAMPIERI, LADY
MACBETH (Soprano) |
CHOR UND ORCHESTER
DER DEUTSCHEN OPER BERLIN |
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Renato BRUSON, MACBETH
(Baritono) |
Walter Hagen-Groll, Chorus
master |
|
Robert LLOYD, Banco
(Basso) |
Giuseppe SINOPOLI |
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Lucia ALIBERTI,
Dama (Soprano) |
Conductor's Assitant:
Guido Guida |
|
Neil SHICOFF, MACDUFF
(Tenore) |
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|
Claes H. AHNSJÖ,
MALCOM (Tenore) |
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Petteri SALOMAA,
MEDICO (Basso) |
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Miomir NIKOLIČ,
SERVO & SICARIO (Basso) |
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Andreas SCHMIDT,
ARALDO & APPARIZIONE 1 (Baritono) |
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Ralph Leopold
NEUBERT, APPARIZIONE 2 & 3
(Soprano fanciullo) |
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Luogo
e data di registrazione |
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Berlin
(Germania)
- novembre/dicembre 1983 |
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Registrazione:
live / studio |
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studio
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Producer
/ Engineer / Editing
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-
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Prima
Edizione LP |
|
Deutsche
Grammophon | 412 133-1
| 3 LPs - 55' 34", 57'
13" & 49' 47" |
(p) 1984 | Digital
|
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|
Prima
Edizione CD |
|
Deutsche
Grammophon
| 412
133-2 |
3
CDs
- 55'
34",
57' 13" & 49'
47" | (p)
1984
| DDD
|
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Note |
|
Koproduktion
mit Sender
Freies Berlin
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Il primo incontro
di Verdi con Shakespeare
Macbeth
rappresenta il primo
incontro di Verdi con
Shakespeare. A quale preciso
momento nella storia della
formazione culturale
verdiana risalga la scoperta
del drammaturgo inglese, non
è facile stabilire con
precisione. È certo comunque
che Verdi, durante tutta la
sua lunga carriera di
operista, ebbe costante
dimestichezza con il teatro
shakespeariano attraverso la
traduzione di Carlo Rusconi,
pubblicata per la prima
volta a Padova nel 1838. È,
questa di Rusconi, una
traduzione in prosa,
tendente cioè a far
prevalere i valori più
scopertamente drammatici, la
dinamica teatrale del testo,
anche talvolta a scapito
delle immagini poetiche, e
soprattutto della loro resa
sonora nel fluire dei versi.
Quella di Rusconi fu
comunque la prima traduzione
integrale in lingua italiana
dell’opera di Shakespeare;
il che testimonia, se mai ce
ne fosse bisogno,
l’attenzione e l’interesse
del giovane Verdi verso i
fatti culturali più nuovi e
significativi del suo tempo.
Tutto questo però non ci
aiuta molto, perché il
compositore - e questo
specialmente nell’iniziale,
intensissimo periodo di
attività creativa - scelse
sovente i soggetti per i
suoi libretti fra i molti
argomenti di pièces
teatrali e testi letterari
sui quali aveva fermato
l’attenzione, proprio come
suscettibili di futura resa
drammatica musicale,
attraverso quelle ampie,
persino disordinate letture
che costituiscono
l'antefatto di queste
scelte. A volte la
gestazione ebbe tempi
lunghissimi, altre volte
invece fu di una rapidità
folgorante.
Su Macbeth la scelta
cadde, almeno all’inizio,
per ragioni contingenti;
l’assenza cioè di un tenore
adatto a sostenere una parte
di primo piano: “Il signor
Maestro si occupa del
libretto per Firenze; i
soggetti sono tre: l'Avola
[= Die Ahnfrau di
Grillparzer], I
Masnadieri [= Die
Räuber di Schiller], e
Macbeth. Se avrä [il
tenore] Fraschini farä l’Avola,
se invece di Fraschini gli
daranno Moriani, come
sembra, allora fa il Macbeth,
e non abbisogna pi# di un
tenore di grande forza”; in
questo modo Emanuele Muzio,
che in quel torno di tempo
stava compiendo studi di
composizione a Milano sotto
la guida di Verdi,
comunicava ad Antonio
Barezzi, il mecenate
bussetano suocero del
compositore, la situazione
il 13 agosto 1846. Il
contratto con l’impresario
Lanari di Firenze era per
un’opera da rappresentarsi
al Teatro della Pergola
nella stagione di
carnevale-quaresima 1847, e
ancora una volta la
disponibilità o meno dei
principali interpreti era il
punto chiave della
situazione. Ma quale tipo di
interpreti Verdi volesse, e
per quali ragioni, è detto
chiaramente in un’altra
lettera di Muzio a Barezzi
del 27 agosto, quando la
scelta dell’argomento era
quasi definita, e la
decisione dipendeva ormai
soltanto dal cantate che
Verdi voleva come
protagonista: “Forse a
Firenze nell’opera del
signor Maestro non canterà
né Moriani né Ferri. Adesso
tutto dipende da una
risposta di Varesi; se
Varesi accetta di cantare
nella Quaresima a Firenze,
allora scrive il Macbeth,
ove vi sono due sole parti
principali: Cordelia
[sic!!!] e Macbeth: la Löwe
e Varesi; le altre sono
seconde parti. Nessun
attore, al presente, in
Italia può fare più bene il
Macbeth di Varesi, e
per il suo modo di canto, e
per la sua intelligenza, e
per la sua stessa piccola e
brutta figura. Forse egli
dirà che stuona, questo non
fa niente perché la parte
sarebbe quasi tutta
declamata, e in questo vale
molto”.
Nessuna partitura
verdiana contiene tante
esplicite indicazioni di
colorito vocale, e alternate
con tanta frequenza, quanto
Macbeth; il
predominio dei valori
drammatici su quelli di pura
cantabilità è quindi
cosciente scelta stilistica
già al momento dell’inzio
della composizione. Ma la
narrazione shakespeariana
della leggenda del thane
di Scozia attira
l’attenzione di Verdi anche
per un’altro aspetto: la
presenza del soprannaturale,
del fantastico nella
vicenda: le streghe, lo
spettro di Banquo,
soprattutto le apparizioni
dei re sono un potente
incentivo alla fantasia del
compositore: quando la
stesura della partitura è
già a buon punto, nel
gennaio 1847, egli scrive da
Milano al1’impresario
Lanari: “[...] parlando
giorni fà con Sanquirico del
Macbeth ed
esternandogli il mio
desiderio di montare assai
bene il terzo atto delle
apparizioni egli mi suggerì
diverse cose, ma la più
bella è certamente la fantasmagorìa
[...]. Tu sai cosa è la fantasmagorìa
ed è inutile te ne faccia
descrizione. Per Dio se la
cosa riesce bene come me
l’ha descritta Sanquirico
sarà un affare da
sbalordire, e da far correre
un mondo di gente soltanto
per quello [...]”.
L’elemento fantastico e
soprannaturale rimarrà un
aspetto, tutto sommato,
secondario nello sviluppo
della drammaturgia verdiana,
sempre così potentemente
ancorata all’hic et nunc
terreno dell’uomo; e
tuttavia all’epoca della
composizione di Macbeth
aveva un peso non
indifferente nelle scelte
del compositore; basti
ricordare che nell’Ahnfrau
di Grillparzer il
protagonista è perseguitato
ed infine ucciso dallo
spettro dell’“avola”. Mala
potenza della tensione
drammatica, soprattutto il
divenire interiore dei
protagonisti ha ben presto
il sopravvento su ogni altra
dimensione della vicenda. E
in questo senso Macbeth
rappresenta la crisi
culminante e determinante
dell’arte verdiana;
costituisce cioè il momento
in cui il compositore prende
coscienza che egli deve
trovare, all’interno del
linguaggio musicale, gli
elementi caratterizzanti i
poli drammatici della
vicenda, in modo da
realizzare un arco di
tensione che trascenda i
singoli momenti, le
situazioni isolate, e si
estenda invece lungo tutta
la partitura. Verdi
comprende che la poetica
tradizionale dei “numeri
chiusi” (arie, duetti, pezzi
concertati, cori, finali)
empiricamente alternati e
giustapposti, è del tutto
indifferente a
quest’esigenza, anzi ad essa
si contrappone; egli avverte
che è necessario stabilire
connessioni ben precise, ed
in termini esclusivamente
musicali, tra i momenti
salienti della vicenda,
proprio per mettere nella
massima evidenza il rapporto
che tra essi esiste e che li
individua. Solo in questo
modo la tensione drammatica
che tanta forza ha
nell’originale
shakespeariano può venir
tradotta e realizzata nello
spettacolo d’opera.
Nel momento stesso
in cui sceglie un soggetto
come Macbeth, Verdi
comprende che l’essenza
della tragedia si accentra
nei due protagonisti, e nel
loro dialettico rapporto,
dominato dalla sete di
potere: le segrete - quasi
inconfessate - aspirazioni
di Macbeth al trono di
Scozia sono continuamente
echeggiate, sorrette,
stimolate dalle ciniche
esortazioni della moglie di
lui, l’unico personaggio
dell’intero teatro verdiano
che non ha nome proprio, ed
è soltanto Lady Macbeth. I
due personaggi sono
indissolubilmente uniti in
un unico destino,
caratterizzato dal
succedersi dei delitti
necessari per raggiungere e
conservare il trono. La sete
di potere - delineata con
chiarezza nel protagonista
atrraverso il breve duetto
con Banco che segue
l’iniziale profezia delle
streghe - viene
esplicitamente rivelata
nella prima grande aria di
Lady, “Vieni, t’affretta!”;
ma alla fantasia di Macbeth
è necessaria tutta una serie
di stimoli ultraterreni
(l’immaginario pugnale, poi
insanguinato; le voci
notturne, il grido del gufo)
perché essa si concretizzi
nell’atto delittuoso
dell’uccisione di Duncan; in
questo modo viene preparata
attraverso una tensione
drammatica senza pari la
frase con cui Macbeth,
rientrato in scena, le mani
insanguinate, annuncia alla
moglie che il fatto è
compiuto (“I have done the
deed” in Shakespeare).
Questa frase, la prima vera
“parola scenica” verdiana,
ha la potenza icastica di
riassumere nell’arco di due
battute l’intera situazione,
ed insieme costituisce il
punto d’attacco
dellosviluppo drammatico
nella parte centrale della
vicenda. Infatti il duetto
seguente, che Verdi ad essa
collega attraverso una
iterazione intensificata in
orchestra delle altezze dei
suoni che la compongono (Do
- Re bemolle), non
costituisce che un
prolungamento nel tempo,
un’amplificazione
esplicativa delle
contrastanti reazioni dei
due protagonisti dopo l’atto
delittuoso; angoscia e
rimorso in Macbeth, cinica
derisione di questi
sentimenti nella moglie di
lui. Le quattro sezioni
tradizionali nelle quali il
duetto si articola sono
identificate attraverso
precisi e pertinenti
riferimenti musicali alla
frase del protagonista che
immediatamente precede il
duetto; questi riferimenti,
messi in evidenza anche per
mezzo di iterazioni proprio
all’inizio di ciascuna delle
sezioni del duetto,
stabiliscono con
inconfondibile chiarezza la
logica drammatica degli
eventi, la loro
concatenazione.
La frase di Macbeth “Tutto è
finito!” viene ripetuta
dagli ottoni in unisono
all’inizio del secondo atto,
ed è seguita da un’estesa
citazione delle prima
sezione del duetto, quasi a
sottolinearne la
funzionalità
drammatico-dinamica. Ma il
ritmo puntato di quella
frase viene impiegato da
Verdi in altri contesti
musicali ad essa
drammaticamente connessi;
così questo ritmo, scandito
in una ossessionante
iterazione, domina l’intera
conclusione del primo atto,
dal momento in cui
l’indignazione generale
segue l’annunzio di Banco
della scoperta
dell’assassinio (“Schiudi, o
inferno”), sino al grandioso
cantabile con cui
quest’indignazione si
distende in una possente
frase melodica (“L’ira tua
formidabile e pronta”).
Oltre al ritmo e alle
altezze dei suoni, Verdi si
serve di timbri strumentali
particolarmente individuati
per inverare lungo l’arco
della partitura le
connessioni tra i momenti
drammaticamente salienti. Se
è vero che i destini dei due
protagonisti sono
indissolubilmente legati
attraverso la sete del
potere, il dénouement
autentico della vicenda non
è tanto la fine del
protagonista (che nella
revisione dell’opera Verdi
fa addirittura avvenire
fuori scena), quanto la
“Grande scena del
sonnambulismo”, in cui Lady
Macbeth, che aveva spinto
con sprezzante freddezza il
marito alla serie di delitti
onde conservare il potere,
rivive in un angosciato
accavallarsi diacronico i
momenti salienti di quegli
eventi delittuosi,
soprattutto la notte
dell’uccisione di Duncan.
Già il testo shakespeariano
contiene precisi
collegamenti verbali tra i
due episodi; e Verdi
comprese perfettamente la
necessità di trasferirli e
realizzarli analogamente sul
piano musicale. Mi limiterò
qui ad evidenziarne uno
soltanto. Nel corso della
prima sezione del duetto le
“voci soffocate” e cupe dei
personaggi in scena sono
raddoppiate in orchestra dal
timbro freddo, nasale ma
soprattutto penetrante del
corno inglese; a questo
stesso strumento Verdi
affida il “lamento” (un
semitono discendente) in
orchestra che si inserisce,
isolato ed evidente, tra le
brevi, affannose frasi con
le quali Lady Macbeth rivive
la serie dei delitti e
soprattutto quella tremenda
notte. In questo modo il
testo shakespeariano viene
assunto come modello di
organizzazione strutturale
sul piano musicale; e sarà
questa una lezione
fondamentale per l’intero
teatro verdiano, la cui
caratteristica più
originale, a ben guardare,
consiste proprio in questa
cosciente realizzazione, a
livello musicale, dell’unità
drammatica.
Nella corrispondenza del
compositore viene spesso
sottolineata, quasi un
motivo ricorrente, la
stretta connessione tra i
due episodi, e la necessità
di una tecnica vocale più da
attore che da cantante per
eseguirli entrambi; ad
esempio, in questa lettera a
Salvatore Cammarano del 23
novembre 1848: “Avvertite
che i pezzi principali
dell’Opera sono due: il
Duetto tra Lady ed il
marito ed il
Sonnambulismo; Se questi
pezzi si perdono, l’Opera è
a terra: e questi pezzi non
si devono assolutamente
cantare: bisogna agirli, e
declamarli con una voce ben
cupa e velata: senza di ciò
non vi puo essere effetto
[...]”.
Nel 1863, quando
l’impresario del Théatre
Lyrique, Carvalho, propose a
Verdi di mettere in scena Macbeth
a Parigi, il compositore
avvertì la necessità di
riscrivere molte parti
dell’Opera, e prima di tutto
di aggiungere un balletto,
di prammatica in ogni
spettacolo per la capitale
francese. È questa la
versione dell’opera che si
esegue correntemente in
teatro, ed anche in questa
incisione discografica; essa
ha il pregio di esprimersi
in un linguaggio musicale
più raffinato e complesso
che non la versione del
1847. Nel darsi pena di
smussare tutte le rozzezze
della prima redazione, e
soprattutto per togliere
(per dirla con parole sue) i
“diversi pezzi che sono o
deboli, o mancanti di
carattere, che è ancora
peggio”, Verdi mise mano
all’intera partitura, spesso
modificando la sola parte
orchestrale, altre volte
parti vocali e parti
d’accompagnamento; in più
sostituì o riscrisse alcuni
numeri: rifece l’aria di
Lady Macbeth del secondo
atto, che divenne “La luce
langue”; il coro degli
esiliati scozzesi, che
trasformò da “coro
patriottico” all’unisono
(sul modello del “Va
pensiero” del Nabucco)
in una delle pagine più
articolate e raffinate
dell’intera partitura;
rimpiazzò l’aria di Macbeth
che concluderà il terzo atto
con un duetto fra il
protagonista e la sua donna;
e infine cambiò l’intero
finale, eliminando il
monologo conclusivo del
protagonista e sostituendovi
una “Battaglia” strumentale
in forma di fuga, e un
conclusivo coro di vittoria,
anche questo di prammatica
in un’opera da
rappresentarsi sulle scene
parigine. Nonostante
l’accuratezza e la
profondità dei ritocchi,
anzi forse proprio per
questa causa,
l’accostamento, anzi la
giustapposizione dei pezzi
provenienti dalle due
redazioni non è sempre
inavvertibile, e questo crea
talvolta un senso di
ineguaglianza stilistica
nella partitura.
Le due versioni di Macbeth
si collocano entrambe in
momenti cruciali di sviluppo
della parabola compositiva
verdiana; di qui viene,
nonostante ogni possibile
dislivello di risultati
drammatici causato dalle
varie redazioni, la
straordinaria ricchezza ed
originalità della
partitura., anche
all’interno del corpus
verdiano. Proprio in virtù
di questi valori, ritengo, Macbeth
è ritornato da trent’anni a
far parte del repertorio
corrente nei teatri d’opera
di tutto il mondo, ed è
forse la riconquista più
alta, con Simon
Boccanegra, da
quell’immenso patrimonio
culturale che è il teatro
verdiano.
Pierluigi
Petrobelli
Direttore, Istituto
di Studi Verdiani, Parma
L’ARGOMENTO
ATTO PRIMO
In un
bosco della Scozia tre
gruppi di streghe sono intente
ai loro sortilegi
allorché si imbattono in
Macbeth e Banco,
generali di Duncano, re di
Scozia, reduci da una
battaglia vittoriosa
contro i ribelli.
Interpellate, esse salutano il
primo come Signore di
Glamis e di Caudor e
futuro re di Scozia,
mentre al secondo
profetizzano una vita
più felice e una discendenza di
re. All’inattesa
predizione essi stupiscono ma,
quasi a confermare una
parte delle
profezie, giungono messi
che annunciano avere
Duncano condannato a
morte, per
tradimento, il sire di
Caudor; Macbeth è designato a
succedergli. Macbeth è
impressionato
dall’avverarsi della
prima predizione; Banco medita
come talvolta per
sospingere al male, l’inferno
sveli squarci di verità.
Nel suo castello Lady
Macbeth apprende queste
notizie da una
lettera del marito; la
sua sfrenata ambizione
rivela in lei una donna
spietata, pronta a tutto
pur di raggiungere il
potere. Quando un
servo annuncia che
Duncano sta per giungere
con Macbeth e pernotterà
al castello, già
ella ha concepito il suo
piano e induce il
marito ad assassinare il
Vecchio re.
Macbeth
esita, ma, incapace di
resistere alla inesorabile
determinazione della
moglie e spinto dalla
propria ambizione, che
gli fa immaginare una
spada dapprima pulita e
poi coperta di
sangue, compie il
delitto. Stravolto da ciò che ha
commesso, sente che mai
più potrà dormire
sonni tranquilli e le
sue ansie contrastano
con l’implacabile
freddezza della moglie.
Macduff si reca a
destare il vecchio re; Banco, che
l'accompagna, è oppresso
da tristi presagi. Egli
stesso, invitato
dall’inorridito Macduff
denuncia così all’intera
corte, la scoperta del
delitto. L’ignoto
assassino viene maledetto da
tutti e nella
maledizione si uniscono Macbeth
e la consorte.
ATTO SECONDO
Macbeth è re di Scozia;
del delitto è stato
incolpato, ad arte,
Malcolm, figlio di
Duncano che con la sua
fuga in Inghilterra ha
avvalorato i sospetti.
Macbeth però non è
sicuro, ricorda la
profezia delle streghe:
è necessario che scorra
altro sangue. Banco ed
il figlio Fleanzio
cadono nell’agguato teso
loro dai sicari di
Macbeth; Banco viene
ucciso, ma Fleanzio
riesce a fuggire. La
corte è riunita in un
sontuoso banchetto e
Lady Macbeth innalza un
Brindisi a cui tutti si
uniscono. Macbeth finge
meraviglia per l’assenza
di Banco la cui morte
gli è appena stata
comunicata; decide di
sedersi al suo posto e,
proprio in
quell’istante, l’ombra
di Banco gli appare e lo
atterrisce. Macbeth
pronuncia frasi
sconnesse,
compromettenti, invano
frenato dalla moglie.
Lady Macbeth intona di
nuovo il Brindisi ma,
agli occhi di Macbeth
appare di nuovo lo
spettro insanguinato di
Banco. Atterrito il re
decide di tornare ad
interrogare le streghe
sul proprio futuro.
ATTO TERZO
In un’oscura
caverna le streghe sono
intente a preparare
intrugli infernali;
danzano. Appare Ecate,
che preannuncia l’arrivo
di Macbeth e dispone le
profezie che gli devono
essere rivelate, e il
suo destino; le danze
riprendono. Giunge
Macbeth e chiede alle
streghe di consultare
gli spiriti per
conoscere il futuro. Tre
successive apparizioni
lo consigliano di
guardarsi da Macduff,
gli predicono che nessun
nato di donna potrà
nuocergli e che sarà
glorioso e invincibile
finché il bosco di
Birnam non gli si
muoverà contro. Però
Macbeth non è ancora
soddisfatto, alla
precisa domanda se i
figli di Banco
regneranno dopo di lui,
appaiono gli spiriti di
“Otto re che passano
l’un dopo l’altro. Da
ultimo viene Banco con
uno specchio in mano”. È
la conferma della
profezia, Macbeth sviene
e Ondine e Silfidi gli
danzano attorno. Quando
riacquista i sensi, la
moglie gli si trova
accanto, e insieme
decidono di vendicarsi
di Macduff, anch’egli
fuggito in Inghilterra,
distruggendogli i beni e
trucidandone la
famiglia.
ATTO QUARTO
Macduff è
accampato ai confini
della Scozia con i
profughi e i
fuoriusciti. Essi
piangono la sorte della
patria oppressa e lo
sterminio delle loro
famiglie. Malcolm li
raggiunge alla testa
degli alleati inglesi e,
con l’esercito, si
prepara a muovere
all’assalto del castello
di Macbeth, facendosi
schermo con le fronde
strappate agli alberi
della foresta di Birnam.
Intanto, nel castello,
Lady Macbeth è in preda
agli incubi del rimorso;
una dama di compagnia e
il medico che l’assiste
la vedono giungere,
sonnambula, con una
candela in mano; quasi
folle rivive
l’assassinio di Duncano
e cerca invano di
cancellare le macchie di
sangue che immagina
sulle sue mani. Macbeth,
atterrito e furente,
abbandonato dalla
maggior parte dei suoi,
sente che la sua sorte
sta per compiersi e che
i presagi si avverano.
All’annuncio della morte
della moglie non
reagisce e comprende che
la fine è vicina perché
vede la foresta di
Birnam che si muove. I
soldati inglesi avanzano
con i ribelli scozzesi
e, gettate le fronde che
li ricoprivano,
sguainano le spade e si
gettano all’assalto.
Nella battaglia Macduff
, non nato di donna ma
estratto dal ventre
materno, ferisce
Macbeth. Malcom è
proclamato re di Scozia.
Marisa di
Gregorio Casati
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