DG - 1 LP - 410 862-1 - (p) 1984
DG - 1 CD - 410 862-2 - (p) 1984

Franz SCHUBERT (1797-1828) Symphonie Nr. 8 h-moll, D 759
29' 01"

- 1. Allegro moderato 16' 32"


- 2. Andante con moto 12' 31"






Felix MENDELSSOHN (1809-1847) Symphonie Nr. 4 A-dur, Op. 90 "Italienische"
32' 06"

- 1. Allegro vivace 10' 18"


- 2. Andante con moto 7' 27"


- 3. Con moto moderato 8' 17"


- 4. Saltarello: Presto 6' 04"






 
PHILHARMONIA ORCHESTRA
Giuseppe SINOPOLI
 






Luogo e data di registrazione
Kingsway Hall, London (Gran Bretagna) - giugno 1983


Registrazione: live / studio
studio

Production
Günther Breest

Recording Supervision
Wolfgang Stengel

Recording Engineer
Klaus Hiemann

Editing
Jobst Eberhardt

Prima Edizione LP
Deutsche Grammophon | 410 862-1 | LC 0173 | 1 LP - 61' 43" | (p) 1984 | Digital

Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 410 862-2 | LC 0173 | 1 CD - 61' 43" | (p) 1984 | DDD


Note
-














Il 30 ottobre 1822 Schubert iniziò a stendere la sua sinfonia in si minore; ma dopo aver ultimato due movimenti in bella copia e averne iniziato un terzo, egli apparentemente la accantonò. Il manoscritto dei due movimenti completi entrò in posscsso dell’amico di Schubert Anselm Hüttenbrenner, e rimase presso di lui, nel cassetto stracolmo di carte di uno scrittoio, per più di quarant'anni. Soltanto nel 1865 Hüttenbrenner lo consegnò al direttore d’orchestra Johann Herbeck, che diresse la prima esecuzione dell’opera a Vienna nel dicembre dello stesso anno.
Alla perenne domanda per quale motivo la Sinfonia sia rimasta incompiuta, non c'è una chiara risposta. Una possibilità è che la sinfonia sia stata terminata, ma che il resto del manoscritto sia andato perduto o disperso. Si è anche supposto che il poderoso Entr’acte in si minore della musica per Rosamunda di Schubert del 1823 sia il finale mancante della sinfonia, e in effetti c’è una corrispondenza con i due movimenti sia nell’orchestrazione - i tre tromboni aggiunti alla tradizionale orchestra classica - che nella tonalità. Ma la spiegazione più plausibile è che il venticinquenne compositore non avesse sufficiente fiducia in sé per tentare di aggiungere ai due movimenti già finiti altri due che li eguagliassero in drammaticità ed eloquenza, e nella struttura di così ampio respiro.
E così l’opera rimane come è conosciuta e amata oggi, un dittico asimmetrico, ma perfettamente bilanciato: dapprima un Allegro moderato nel quale fin dall’inizio si contrappongono efficacemente tensione drammatica e serenità lirica, poi un Andante con moto in mi maggiore, errabondo e tumultuoso, che giunge finalmente alla quiete nella coda colma di una serenità ultraterrena.
Le sinfonie “Italiana” e “Scozzese” di Mendelssohn hanno ambedue origine da un Grand Tour d’Europa che il giovane compositore intraprese nel 1829 e nel 1831. La “Scozzese” non fu completata prima del 1842; ma l'Italiana”, nonostante che il suo ultimo movimento fosse costato a Mendelssohn uno sforzo considerevole - e in effetti non lo soddisfece mai del tutto - fu terminata nel marzo del 1833, e fu eseguita per la prima volta a Londra due mesi più tardi. (Il che non impedì che la “Scozzese” divenisse la n. 3, l'Italiana” la n. 4, e la precedente “Riforma” la n. 5!)
Questa sinfonia ci mostra l’Italia attraverso gli occhi e le orecchie di un turista sensibile sia al colore locale che a un meno tangibile senso dell’atmosfera. È l’atmosfera del sud in generale, piuttosto che specifiche melodie o orchestrazioni nazionali, che permea il gioioso movimento d’apertura in 6/8, nel quale lo slancio diminuisce solo una volta, poco prima dell’inizio, abilmente mascherato, della ripresa. Il minuetto con trio, graziosamente all’antica, che forma il terzo movimento, è anch’esso non precisamente localizzato: nel trio e nella coda ci sono addirittura allusioni al fatato mondo del suo Sogno di una notte di mezza estate.
Il colore locale gioca un ruolo più importante negli altri due movimenti. Il secondo, un Andante in re minore, è l'impressione di una processione religiosa che Mendelssohn vide a Napoli: il frammento di canto liturgico all’inizio dà un’aria di solennità al procedimento; “il resto”, ha scritto il musicologo inglese Donald Tovey, “è tutto dominato dall’elemento pittoresco e processionale”. E il finale, insolitamente tutto in la minore, senza mai un’apparizione della tonalita maggiore, è un movimento di danza di enorme vitalità, spinto in avanti dai ritmi incessabili del saltarello romano e della tarantella napoletana.
Anthony Burton
(Traduzione: Mirella Noack-Rofena)
Sogno e Memoria nell'Incompiuta" di Schubert
Al di là di qualsiasi tipologia sentimentale, l'Incornpiuta di Franz Schubert rappresenta uno dei momenti più sconcertanti nella letteratura musicale implicata nella categoria del funerario. Per tale s’intende la celebrazione cultuale del bene perduto. Se il bene non c’è mai stato, per essere sempre così intensamente anelato e mai raggiunto, esso viene trasposto in una zona limbica della coscienza e là posseduto come sogno.
La baudelairiana “apparizione irripetibile di una lontananza” che Walter Benjamin trasforma nel concetto di aura, trova così nella sfera dell’onirico un suo modo d’essere. “L’apparizione” avviene nel sogno e ivi, annullata “l’estrema lontananza”, posseduto il bene.
La realtà (il risveglio) significherà rimettere la benda al mondo delle cose amate, accecarle e quindi perderle.
Ora la musica della Sinfonia in si minore riflette gli stadi intercorrenti tra “l'apparizione” del “bene amato” come sogno o memoria, e l’urlo dell’“accecamento”, della perdita.
Sogno e Memoria, la cui pronunciazione velatissima è sempre minata dalla tenuità effimera che sorregge la loro emergenza da una parte, e l’urlo improvviso ed il fremito che nascono dalla sensazione angosciante del vuoto e del silenzio dall’altra, mi pare che rappresentino uno dei momenti più fondamentali e tragici dell’ “Incompiuta”.
Sogno e Memoria bandiscono ogni emozionalità diretta (non si dimentichi che la dinamica del secondo tema del primo movimento è pp) e ogni tendenza epica.
Per questo ogni volontà costruttiva viene come sospesa. I temi appaiono isolati, come delle monadi, al di là di qualsiasi rapporto col tempo. Sono delle melodie vaganti in cui la idea e la volontà di sviluppo cedono al desiderio del canto. Ne nasce una tristezza indicibile ed il divino, il celestiale di Schubert non è che l'atemporalità della sua musica, il coincidere miracolosamente di questi contenuti, come senza attrito con una forma-sonata tutta concretezza di funzioni e di storicità. La Durchführung, e forse per la prima Volta, non è momento astratto-costruttivo legato alla concretezza della temporalità, ma dilatazione angosciata e angosciante del carattere vagante del canto tematico, sottoposto alle tragiche attrazioni del vacuo, come all’inizio dello sviluppo, o alle esaltanti isterie dell’assenza poi.
Il canto è solo sogno o memoria. La fisicità dinamica e l'espansione vitalistica del cantabile sono proibiti. Tutto è trattenuto sull’orlo dell’abisso del nulla.
I ritmi ostinati funerari dei pizzicati delle viole, dei violoncelli e contrabbassi in tutta la prima sezione tematica sono gli orologi ossessivi della memoria, larve che invadono i vuoti del presente. Tutto ciò analogamente e anche sostanzialmente altrimenti che in Mahler.
Se infatti in questo senso Mahler rappresenterà alla fine del secolo il punto focale delle tendenze lesioniste e autolesive del soggetto (ormai in fase di esplicita “regressione”, imprigionato dalle scadenze temporali e tendente ad assimilare le periodicità ossessive dei ritmi funerari con la regolarità inebetita dei Wiegenlieder), questo accade nel rovello di una tensione incolmabile e irriducibile tra i contenuti dichiaratamente privati e la forma storica continuamente dilaniata dalla incompatibilità tra le funzioni armonico-formali e i significati che con essa si confrontano.
In Schubert invece si assiste ad una ineffabile immanenza del contenuto nella forma depositata. Il significato musicale pare così garantito, per dirla con Adorno, da una “ontologia della forma” che fungerebbe da stabilizzatore delle “tendenze epiche”. Però non si tratta tanto di garanzia e di stabilizzazioni riduttive da parte della forma sul significato musicale (il che implicherebbe ancora una volta una lettura interpretativa classicista della sinfonia), quanto di una immobilizzazione della forma da parte di quell'Inhalt che la visita.
Il momento magico di quest'incontro è il suono di questa Sinfonia, tutto schubertiano e particolarissimo.
Parafrasando quanto Karl Kraus dice della “parola” si può dire di quel suono che ... “quanto più da vicino lo si ascolta tanto più lontano esso ascolta”.
Giuseppe Sinopoli