DG - 1 LP - 2532 023 - (p) 1982
DG - 1 CD - 423 307-2 - (p) 1982

Giacomo MANZONI (1932) Masse: Omaggio a Edgard Varèse
19' 29"

per pianoforte e orchestra







Arnold SCHÖNBERG (1874-1951) Kammersymphonie, Op. 9
22' 07"

per 15 strumenti solisti



- Langsam 2' 16"


- Zeitmaß, schwungvoll (16)
0' 32"


- sehr zurückhaltend (20)
3' 05"


- sehr rasch (38)
0' 42"


- sehr rasch (Presto, alla breve) (46)
0' 29"


- steigernd, wieder sehr rasch (50)
1' 00"


- viel langsamer, aber doch fließend (60)
1' 35"


- sehr rasch (Anfangszeitmaß) (67)
1' 55"


- viel langsamer (77)
4' 04"


- ((85) + 3 Takte) 1' 09"


- schwungvoll (90)
1' 14"


- Hauptzeitmaß (94)
2' 58"


- Hauptzeitmaß (110)
1' 11"






 
Maurizio POLLINI, Piano (Manzoni)
BERLINER PHILHARMONIKER (Manzoni)

MITGLIEDER DER BERLINER PHILHARMONIKER (Schönberg)
Giuseppe SINOPOLI
 






Luogo e data di registrazione
Philharmonie, Berlin (Germania):
- settembre 1980 (Manzoni)
- giugno 1981 (Schönberg)


Registrazione: live / studio
live recording (Manzoni), studio (Schönberg)

Producetion
Rainer Brock (Manzoni), Günther Breest (Schönberg)

Recording Supervision
Rainer Brock (Manzoni), Wolfgang Stengel (Schönberg)


Recording Engineer
Karl-August Naegler

Editing
Christopher Alder (Manzoni), Reinhild Schmidt (Schönberg)

Publisher
Ricordi & C. S.p.A., Milano (Manzoni), Universal Edition, Wien (Schönberg)

Prima Edizione LP
Deutsche Grammophon | 2532 023 | LC 0173 | 1 LP - 41' 54" | (p) 1982 | Digital

Prima Edizione CD
Deutsche Grammophon | 423 307-2 | LC 0173 | 1 CD - 41' 54" | (p) 1982 | DDD


Note
-














Manzoni: "Masse: Omaggio a Edgard Varèse"
Masse
, commissionata dalla Komische Oper di Berlin dove furono eseguite la prima volta il 6 ottobre 1977, sono dedicate a Maurizio Pollini. La composizione vuol essere anche un omaggio ad Edgard Varèse, come a uno dei maggiori ricercatori ed inventori di entità acustiche e timbriche del nostro secolo. Giacché idea base di Masse è appunto la "materia sonora", intesa quale percezione autentica della realtà musicale oltre l'inerzia di una comunicatività che si considera scaduta. Che è poi il motivo dominante della ricerca di Manzoni. Manzoni, mirando alla materia sonora, tratta il fenomeno di massa che la concreta. La materia è definita dalla massa, ossia dall'assembramento di atti omologhi che presi a sé, delibati nella loro singolarità, avrebbero vita precaria, perché si offrirebbero disponibili all'articolazione di un discorso, chiederebbero sistemazione in un organismo espressivo, tutti da sviluppare secondo una dialettica che non è più credibile. Invece la massa realizza subito la concretezza della materia, vale a dire una certezza prima e tangibile, già fin d'ora appagante.
E poiché contano, a costituire materia, non i momenti singoli, ma i modi caratteristici che li rendon presenti, Manzoni guarda ai tipi di produzione sonora. Come quelli definiti dai suoni cosiddetti multipli, prodotti da una tecnica che consente agli strumenti della famiglia dei legni (flauto, oboe, clarinetto, fagotto) di emettere due o più suoni contemporanei nonché una varietà di trascolorazioni timbriche durante un suono tenuto, con tutta una ricca fenomenologia di effetti; o come quelli, più o meno familiari, ottenuti dai vari strumenti dell'orchestra col frullato di suono o d'aria, con l'impiego delle sordine, con l'uso dell'arco oltre il ponticello col legno, eccetera, eccetera. Indicazioni ulteriori di registro (medio-acuto, medio, medio-grave) inseriscono ancora alla nozione di fascia, di densità, concernendo a ribadire l'istanza della materia. La quale trova prolungamento nei processi di addensamento e di rarefazione, verticali e orizzontali, del tessuto sonoro, che segnano il percorso della composizione, concepito la maniera che resti impedita qualsiasi ricostituzione di senso fuori dell'incombente concentrazione della materia.
Senonché c'è poi il pianoforte solista. Vuoi il rapporto inevitabilmente drammatico che esso instaura con l'orchestra, vuoi la sua natura di strumento temperato per eccellenza, lo pongono in aperta contraddizione con tutta l'impostazione materia del lavoro. L'intervento del pianoforte reca allo scoperto una disponibilità alla significazione che l'esperienza assoluta della massa vorrebbe avere annullata e che invece sembra ancora covare al suo interno. Di questa non sopita possibilità lo strumento solista denota i sintomi più esposti, benché essa si estenda all'intera partitura. Solo che ruolo e costituzione rendono il pianoforte più riluttante al livellamento di massa. Perché è vero che esso coopera al generale adunamento di densità e di volumi fonici, e che si adopera a dissolvere il temperamento mediante una scrittura estremamente spessa di blocchi armonici intesa a ingenerare una sensazione di suono bianco (in elettronica si chiama così il suono che contiene, in modo statisticamente uniforme, tutte le frequenze comprese nella gamma udibile da 20 a 20.000 Hz), ma già il virtuosistico tour de force da questa richiesto all'esecutore segna un'affermazione individualistica in contrasto con la condotta di insieme. Sovente la materia apportata dal solista conserva, nella sua difficoltà), la memoria dell'antagonismo tradizionale. Eppoi, di quando in quando, può emergere dal suo informe una ribattuta di nota o di un accordo, un andamento polifonico, un ritmo involontario, un tratto concertante e caratteristico, la sagoma di un'armonia, di un ritorno, di una parentela, di un suggello; così come nell'orchestra può adombrarsi un pedale acuto, un contrappunto, una musica da camera, o che so d'altro. Fatto sta che l'impressione complessiva è quella del trascendere di una grande materia in cui sia rimasto impigliato il brandello appena riconoscibile di un qualche rado messaggio.
Un messaggio, tuttavia, di cui non avvertiamo né un'urgenza, né un avvilimento. Per Manzoni la cognizione sensibile della materia in tasto è certezza e positività in quanto rimane tutta presso di sé e non sviluppa forze centrifughe. Semmai mostrerà tale comprensione da annettere al suo livello anche il morto automatismo, la carta straccia dell'antico codice. La gestualità residua non è diversa dalla qualità del tutto; il poco di essa che vi è trattenuto non affoga, è unificato. E non esprime disperazione o impotenza, al contrario attesta la fiducia nella condizione in cui si sorprende, di un concreto immediatamente toccato dopo la caduta di ogni funzione. Manzoni fa intendere che il terreno sotto i piedi non è tanto una questione di paesaggio, quanto la possibilità di camminare.
Piero Santi
Schönberg: Sinfonia da camera
Arnold Schönberg compose la Kammersymphonie (Sinfonia da camera) op. 9 nel 1906, durante un suo soggiorno estivo sul Tegernsee (un lago dell'Alta Baviera). Nella Kammersymphonie, che è uno dei più originali contributi del secolo XX al genere sinfonico, prosegue quel percorso innovativo della forma-sonata tardo romantica che aveva avuto l'avvio nel poema sinfonico "Pelleas und Melisande" op. 5 e nel Quartetto per archi op. 7. Il significato particolare che questa composizione ha da un punto di vista storico-musicale deriva innanzi tutto dalla riduzione dei mezzi sonori. Infatti, con la scelta di un organico sinfonico costituito di 15 strumenti solisti, Schönberg dà prova di aver rotto con la tradizione del sinfonismo monumentale; e ciò avveniva in un momento in cui non si era ancora profilato quell'ideale della sonorità ascetica che sarà poi propugnato dal movimento "Neue Sachlichkeit" (Neo-oggettivismo), peraltro non ancora esistente ai tempi della Kammersymphonie. Successivamente però
Schönberg ha rielaborato per grande orchestra questa composizione, adeguandola così a quella norma sonora che era considerata generalmente valida. D'altra parte la Kammersymphonie occupa una posizione particolare nell'evoluzione delle forme sinfoniche, dal momento che è una composizione strutturata in un unico movimento e scritta proprio nel periodo in cui Gustav Mahler aveva dilatato la forma della sinfonia in più movimenti in un monumentale ogranismo sonoro. Tale struttura in un unico movimento racchiude però nel suo impianto unitario una pluralità funzionalmente articolato in movimenti - come era già avvenuto per la Sonata in si minore di Liszt del 1851. Così ad un'esposizione costituita da tre temi segue uno Scherzo (di struttura tripartita) con relativo Trio, uno sviluppo (anch'esso tripartito), un Adagio e un Finale che, secondo l'analisi di Alban Berg, "in una sorta di ripresa e successiva coda utilizza solamente elementi tratti dalle sezioni precedenti della Sinfonia". Come nelle già menzionate composizioni op. 5 e op. 7, così anche in questa Kammersymphonie la coesione ciclica delle cinque sezioni in cui essa si articola è assicurata da correlazioni tematiche indirette, da metamorfosi di motivi e soprattutto dal famoso Quartenakkord (accordo di quarte), che con il suo carattere di fanfara viene quasi ad essere il motto di questa composizione. Tali mezzi, impiegati nell'intento di dare una architettura unitaria alla Kammersymphonie, acquistavano importanza sempre maggiore. Infatti la costruzione tonale ed armonica, se nel tardo romanticismo di Strauss, Bruckner, Mahler e Reger ancor conferiva alle sinfonie una struttura relativamente solida, cedeva il passo, in questa fase liberty di Schönberg, ad una armonia atonale, in cui qualunque nota di un accordo poteva fangere da sensibile e qualunque sonorità poteva avere funzione di sostegno. Il modello formale chiaramente concepito da Schönberg, la freschezza e lo slancio delle idee musicali e soprattutto il tipo di strumentazione, dove il contrasto timbrico ha funzione strutturale; ecco i fattori che spiegano perchè questa Kammersymphonie, compiuta secondo i più rigorosi criteri razionali, pure riesce a destare assai presto l'impressione di una "espressività" profondamente sentita e vissuta.
Klaus Hinrich Stahmer
(Traduzione: Gabriele Cervone)