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La testimonianza della
complessità di un itinerario spirituale e
culturale che non si risolve soltanto nella
composizione e nella direzione d’orchestra.
Terminata la "prova al
pianoforte della prima parte del terzo
atto", una sera il maestro Sinopoli esce dal
teatro, e "in quel silenzio misterioso che
solo a Venezia è possibile", distratto dalla
risonanza di un Leitmotiv - quello
dell’Errore -, non ritrova la strada e si
perde nell’intreccio delle calli veneziane.
Si perde e vuole perdersi, come se l’onda
della musica wagneriana lo avesse davvero
stregato, interrogandolo sulle ragioni della
vita e della morte e al tempo stesso,
complice lo scenario notturno della sua
città, suggerendogli una via d’uscita o una
risposta. Parsifal è figura altamente
simbolica, è il giovinetto barbaro e
ingenuo, è l’eroe folle e pietoso, che cerca
la verità attraverso l’errore, il bene
attraverso il peccato, il giusto attraverso
la colpa: Sinopoli si specchia nel mito,
ricco di esperienza e di maestria, niente
affatto candido, anzi astuto e sottile.
Parsifal è Sinopoli, o meglio il suo doppio,
e al tempo stesso il suo antagonista, e
Venezia è il mondo o piuttosto la sua
raffigurazione intellettuale: nel confronto
e nell’incontro di due figure mitiche, di
due esperienze esistenziali e intellettuali
si scatena una tempesta, che deve essere
placata, mentre il tema dell’Errore non
lascia la presa. Il libro di Sinopoli è il
racconto di un’avventura, la storia di uno
smarrimento e soprattutto del lento,
faticoso riconoscimento del senso e della
direzione.
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