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1 CD -
8.572137 - (p) 2012
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Carlo GESUALDO da Venosa
(1566-1613)
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IL
QUARTO LIBRO DE' MADRIAGALI, 1596 |
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Luci
serene e chiare - (a,b,d,e,f) |
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4' 56" |
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Tal'hor
sano desio - (a,d,c,e,f,g) |
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3' 51" |
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Io
tacerò, ma nel silenzio mio |
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7' 43" |
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-
Io tacerò, ma nel silenzio mio (part
1) - (a,b,d,e,f) |
4' 03" |
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-
Invan, dunque, o crudele (part 2) -
(a,b,d,e,f) |
3' 40" |
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Che
fai meco, mio cor -
(a,b,c,e,f) |
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2' 40" |
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Questa
crudele e pia - (a,b,d,e,f) |
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4' 45" |
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Hor
che in gioia |
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4' 54" |
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-
Hor che in gioia (part 1) -
(a,b,d,e,f,g) |
1' 19" |
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- O sempre crudo
amore (part 2) - (a,b,d,e,f,g) |
3' 35" |
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Cor
mio, deh, non piangete |
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4' 48" |
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-
Cor mio, deh, non piangete (part 1)
- (a,b,c,d,f) |
2' 13" |
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-
Dunque non m'offendete (part 2) -
(a,b,c,d,f) |
2' 35" |
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(Luzzasco
Luzzaschi: Toccata del IV tono)
- (h)
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2' 48" |
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Sparge
la morte al mio Signor -
(a,b,c,d,f,h) |
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7' 27" |
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Moro, e mentre
sospiro |
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4' 02" |
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- Moro, e mentre
sospiro (part 1) - (a,b,c,d,f,g) |
2' 08" |
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- Quando di lui la
sospirata vita (part 2) -
(a,b,c,d,f,g) |
1' 54" |
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Mentre gira
costei - (a,b,d,e,f,g) |
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2' 35" |
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A voi, mentre
il mio core - (a,b,c,e,f) |
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3' 03" |
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Ecco, morirò
dunque |
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5' 11" |
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- Ecco, morirò
dunque (part 1) - (b,d,c,e,f) |
2' 06" |
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- Ahi, già mi
discoloro (part 2) - (a,b,c,e,f) |
3' 05" |
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Arde il mio cor
- (a,b,c,e,f,g) |
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3' 53" |
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Se chiudete nel
core - (a,b,d,e,f,g) |
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2' 22" |
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Il sol qual or
più splende |
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3' 59" |
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- Il sol qual or
più splende (a sei voci - part 1)
- (a,b,c,d,e,f,g) |
1' 26" |
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- Volgi mia luce
(a sei voci - part 1) -
(a,b,c,d,e,f,g) |
2' 33" |
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Urtext Music for
this recorfing by Marco Longhini
and Rosaria Chiodini, 2009
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DELITIÆ MUSICÆ /
Marco Longhini, Conductor |
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Alessandro
Carmignani, Countertenor
(cantus) (a) |
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Paolo Costa, Countertenor
(quintus) (b) |
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Fabio Fùrnari, Tenor
(quintus-altus) (c) |
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Raffaele Giordani, Tenor
(altus) (d) |
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Marco Scavazza, Baritone
(tenor) (e) |
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Walter Testolin, Bass
(bassus) (f) |
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Raffaele Giordani, Tenor
(altus) (e) |
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Carmen Leoni, Harpsichord
(clavicembalo) (g) and Organ
(organo) (h)
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Luogo
e data di registrazione |
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Chiesa
di San Pietro in Vincoli, Azzago,
Verona (Italia) - 20-24 luglio
2009 |
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Registrazione:
live / studio |
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studio |
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Producer /
Engineer |
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Lodovico
and Marco Longhini / Michael
Seberich / Corrado Ruzza / Antonio
Scavuzzo |
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Prima Edizione CD |
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NAXOS
- 8.572137 - (1 CD) - durata 68'
59" - (p) 2012 - DDD |
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Note |
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Cover
image: Venus Asleep With Cupid
by Paris Bordone (Franchetti
Gallery, Cà D'Oro, Venezia, Italy) |
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Il
Quarto Libro de’Madrigali di
Carlo Gesualdo “Prencipe di
Venosa” venne pubblicato
nel 1596 dall’editore ferrarese
Vittorio Baldini (lo
stesso del Primo, Secondo
e Terzo Libro) e
ristampato poi a Venezia da Gardano
nel 1604 e 1611; nel 1613,
questo libro fu poi pubblicato
“in partitura” (raro che
avvenisse in quest’epoca) a
Genova, dall’editore Giuseppe
Pavoni, perchè si studiassero le
melodie orizzontali insieme al
loro innovativo senso
verticale-armonico. Questo
Quarto Libro sarà
l’ultima pubblicazione che nasce
in quella Ferrara che, due anni
prima, l’aveva accolto a braccia
aperte, quale sposo di Eleonora
d’Este, figlia del duca. Come
abbiamo visto nelle note della
prima pubblicazione di questa
serie di registrazioni a lui
dedicate (che ci offrono
l’ascolto di tutti i suoi
madrigali e opere profane), per
Carlo Gesualdo stampare le
proprie opere a Ferrara
significava contribuire ad
incrementare con la propria arte
quella corte che, più d’ogni
altra, aveva dato un contributo
fondamentale allo sviluppo del
madrigale, forma musicale di
sintesi tra arti di una
raffinata cultura aristocratica.
Purtroppo la speranza di voltare
pagina e crearsi un nuovo
futuro, una nuova vita che
sopprimesse definitivamente il
passato che tanto l’aveva
segnato, non ebbe il successo
sperato.
Il processo dopo l’assassinio
“Don Carlo
Gesualdo, figliolo del
principe di Venosa et nipote
dello illustrissimo
cardinale, appositamente
salito martedì alle 6 ore
di notte con sicura
compagnia alla
stanza della donna Maria
d’Avalos, moglie et cugina
sua carnale, stimata la più
bella signora di Napoli,
ammazzò prima il signor
Fabricio Caraffa, duca
d’Andria, che era con essa,
et lei appresso, di questa
maniera vendicando
l’ingiuria ricevuta”.
Così scrive l’ambasciatore
veneziano a Napoli al suo
doge, il 19 ottobre 1590. Il
dramma avviene in un palazzo
in pieno centro storico di
Napoli. La descrizione del
fatto è dettagliata: infatti,
pochi giorni dopo
l’assassinio, Gesualdo (aveva
ventiquattro anni, lo
ricordiamo) fu processato dai
magistrati. Due i testimoni:
Silvia Albana, la serva di
camera di Maria d’Avalos, e
Pietro Maliziale detto il
Bardotti, servo del principe.
Entrambe le testimonianze
(trascritte pedissequamente e
allegate agli atti del
processo) narrano come si
svolsero i fatti con dovizia
di particolari. Alcuni di
questi sono interessanti anche
per noi: Carafa, quando venne
sorpreso, indossava una
camicia da notte femminile che
Maria stessa aveva ordinato
alla serva di appoggiare sul
letto prima che lui arrivasse
e le parlasse alla finestra “cossì
come più volte ha visto essa
testimonia che facea detta
signora”. Carlo quando
arriva, urla alla serva “Ah
traditora, te voglio
occidere, mò non mi scappi”.
Bardotto invece testimonia che
“il Signor Carlo li disse
che volea andare a caccia,
et esso testimonio li disse
che quella ora non era hora
di caccia, et detto il
signor Carlo
rispose: vedrai che caccia
faccio io!”; più tardi
dice “voglio andare ad
ammazzare il duca de Andria
et questa bagascia
de donna Maria”et così
sagliendo alla porta,
vedde esso testimonio tre
homini armati (…) li quali
portavano una alabarda per
uno et uno archibuscetto
per uno (…) aprirono la
porta della camera
dove dormea la signora donna
Maria de Avalos (…)
ordinò che havesse buttato
una delle due torcie che
esso testimonio portava in
mano (…) et in questo sentio
dui botte di scoppiettate
et don Carlo dire “Ammaza,
ammaza quest’infame et
questa bagascia! A casa
Gesualdo corna!” (…)
uscirno quelli tre giovani
(…) et poi uscio il
signor don Carlo tutte piene
le mani di sangue et
domandava dov’era la
ruffiana di Laura, et non
avendola trovata, tornò a
trasire alla camera de donna
Maria, dicendo “non credo
che siano morti”(…) andò
al letto della signora Maria
dicendo “non deve essere
morta ancora” et le diede
alcune ferite (…) et disse
a esso testimonio “ecco una
chiave che ho trovata sopra
la seggia”.
Le testimonianze non
possono che portare ad un
verdetto: l’omicidio
perpetuato in caso d’adulterio
conclamato non è un delitto,
ma un diritto del quale può
avvalersi l’offeso per
difendere l’onore della
propria persona. Viene
definito come “delitto
d’onore”. La legge,
inoltre, prevede che in tale
situazione di tradimento, sia
giustificato il duplice
omicidio da attuare
congiuntamente (quindi non in
due momenti diversi) contro la
moglie adultera e contro
l’uomo che giace con lei.
L’omicidio per adulterio è
dunque un vero e proprio diritto
ad uccidere offerto al
maschio (in quanto l’adulterio
è concepito solo da parte
femminile e non maschile).
Come recita il Codice
delle leggi del Regno di
Napoli: “al marito è lecito
di uccidere in atto di adulterio
la moglie e l’uomo”.
Le testimonianze dei
due servi sono costruite in
modo che non vi siano dubbi
(per questo i particolari
citati sono importanti): gli
adulteri sono colti in
flagranza di reato in casa
propria; Carafa è vestito con
sottoveste femminile di
proprietà della d’Avalos
(quindi non era passato
casualmente); v’è consuetudine
nel tradimento in casa propria
“come più volte ha visto”;
subisce vergogna e infamia “A
casa Gesualdo corna!”;
le mani piene di sangue sono
di Gesualdo che ritorna
flagellando nuovamente il
corpo di Maria (quindi non
sono i fedeli amici che
uccidono ma lui stesso visto
che solo lui ne aveva il
diritto; ma noi ci poniamo
l’ulteriore domanda: sarebbe
stato capace di fare tutto
questo da solo?); le chiavi
sono un pesante elemento di
tradimento reiterato in casa
propria.
Era considerata infamante e
addirittura un reato
(lenocidio) che il marito
perdonasse la moglie sorpresa
in flagrante adulterio e
consentisse a lasciare andare
l’adultero: tutta una serie di
leggi lo vietava. Gesualdo non
può far altro che affrontare
quella dura realtà che tutta
Napoli conosceva e che
infamava la sua casata, il suo
prestigio, la sua virilità.
Non sapremmo mai se lui si
fosse rassegnato a questa
condizione: sicuramente
diventa un problema nel
momento in cui diventa di
dominio pubblico. Gesualdo
doveva decidere se accettare
la sua condizione di
“cornuto”, non facendo nulla e
passare la sua vita
disprezzato da tutti, parenti,
amici, servi, nobiltà, oppure
se affrontare la situazione
mondando il disonore con il
sangue. Naturalmente entrambe
le soluzioni erano violente,
l’una contro se stesso,
l’altra contro la donna che
amava. La legge però gli
permetteva di risolvere tutto,
permettendogli di vivere nel
giusto. Bastava che tutto
fosse ben predisposto, che ci
fossero i testimoni e che
questi sostenessero la tesi
del delitto d’onore: tutto
doveva essere corretto agli
occhi della giustizia e della
società. Purtroppo se la
giustizia assolve il delitto
dal punto di vista formale e
giuridico, il delitto non fu
assolto dai poeti
contemporanei che per anni
trattarono la vicenda: come
vedremo nel libretto allegato
alla pubblicazione del Quinto
Libro de’ Madrigali
vedremo che fiorirono numerose
poesie e testi letterali e
teatrali che non condividono
l’assoluzione, optando per
avvalorare la tesi del grande
amore reciso dalla violenza.
Purtroppo un nemico
ben più forte della fantasia
letteraria attacca l’animo del
nostro musicista: il tormento
del rimorso. Focalizza bene
Giovanni Iudica nella sua
biografia “Il principe dei
musici” scrivendo che
Gesualdo “aveva ceduto alla
volontà e alle leggi della
sua epoca, del suo casato,
incapace di obbedire al
proprio impulso, alla
propria volontà. Alle
ragioni dell’onore
aveva sacrificato quelle del
suo amore, quando
l’intero suo essere avrebbe
più volentieri rinunciato
a tutto pur di non fare del
male alla donna amata.
Aveva chiesto perdono a Dio
per quello che aveva
fatto; il suo confessore
l’aveva assolto, i suoi
familiari gli erano grati,
il popolo di Gesualdo lo
ammirava, i suoi sudditi ne
avevano fatto un eroe. Era
la sua coscienza che non
l’aveva perdonato, ed il suo
io aveva emesso un
giudicato di condanna. A
Carlo, per lenire la
ferita di questo conflitto
interiore, non restava che
il BALSAMO DELLA MUSICA.
La musica come espiazione: il
Quarto Libro de’ Madrigali
Nel Quarto libro de’
Madrigali, al centro della
pubblicazione, osserviamo
un’anomalia: un madrigale
spirituale “Sparge la morte
al mio Signor”, vero e
proprio affresco sacro, che
ritrae le sofferenze di Cristo
sulla croce. Il testo ha tutte
le caratteristiche per
interessare il nostro Gesualdo
(abbiamo trattato nella
precedente pubblicazione, i
criteri di scelta dei testi:
morte, sospiri, sofferenze,
insomma i temi del madrigale
gesualdiano sono traslati
dalla donna che fa soffrire,
al supplizio di Cristo sulla
croce. Il tema è l’espiazione,
il tormento per una morte
ingiusta (quella di Cristo,
come quella di Maria
d’Avalos): ritroviamo tale
tema immortalato dal pittore
Giovanni Balducci (Firenze
1560–Napoli 1631) nella pala
d’altare “Il perdono
di Gesualdo” (1609),
riprodotta nell’ultima pagina
di questo libretto. Conservato
nella Cappella del Convento di
Santa Maria delle Grazie,
nella città di Gesualdo e
nello stesso luogo che ospita
la tomba di Carlo e del suo
figlio Emanuele, il grande
quadro (alto cinque metri)
rappresenta il nostro principe
inginocchiato insieme alla
seconda moglie Eleonora
d’Este, in attesa del giudizio
di Cristo. Le eterne
sofferenze dell’inferno, si
aprono davanti a lui in una
drammatica scena di anime
immerse nelle fiamme: come un
angelo tende la mano ad
un’anima perdonata mentre
un’altro solleva il corpo di
un’altra anima graziata, così
il Principe spera di essere
perdonato dalla sua colpa
grazie all’intercessione della
Vergine Maria, dell’arcangelo
Michele e soprattutto grazie
alla presentazione dello zio
cardinale Carlo Borromeo
(1538–1584), all’epoca del
quadro già proclamato beato
(1602) e in seguito
canonizzato santo (1610).
Vegliano su di lui, con un
gesto, anche S. Francesco, S.
Domenico, la Maddalena, S.
Caterina da Siena, ai quali il
nostro principe era
particolarmente devoto. Dunque
il balsamo della musica non
gli basta. Tutto può alleviare
quel senso di colpa che dal
giorno dell’assassinio afferra
e tormenta il nostro
musicista: Gesualdo
commissiona il dipinto e
commissiona un Quarto
Libro de’ Madrigali nel
1594, al rinomato compositore
e organista ferrarese Luzzasco
Luzzaschi (1545–1607). Al
centro di questa pubblicazione
fa collocare proprio un
madrigale spirituale che
riprende il tema del perdono:
S’homai d’ogni su’errore
L’alma Signor pentita
Perdon ti chiede e in un ti
chiede aita
Tu fonte di pietà tu mar di
spene
Per cui pur si mantiene
Questa del mondo rio misera
valle
A prieghi miei deh non voltar
le spalle
deh no dolce Signore
Ma ver me suoni tua paterna
voce
Qual l’udì già il buon ladrone
in croce.
Due anni più tardi,
sempre per un Quarto Libro,
sempre a metà pubblicazione
(le coincidenze sono troppo
evidenti per non essere
rilevate), Gesualdo colloca un
affresco sacro in un’opera
profana. Nel tentativo di
evidenziare questo momento di
raccoglimento e di preghiera,
all’esecuzione del brano
vocale di Gesualdo abbiamo
voluto far precedere
un’intonazione per organo sul
Quarto Tono, proprio di
Luzzaschi, inserita nel
trattato “Il transilvano”
di Gerolamo Deruta, 1593 e
accompagnare il madrigale con
questo strumento (unica
eccezione nella nostra
esecuzione completa delle
opere profane).
Deferente omaggio ferrarese è
anche il meraviglioso
madrigale iniziale “Luci
serene e chiare” (in
seguito, musicato nel 1603 nel
Quarto Libro de’ Madrigali
di Claudio Monteverdi
dedicato agli Accademici
Intrepidi di Ferrara). Come
spesso accade, il primo brano
è un madrigale innovativo che
evidenzia le novità
linguistiche della raccolta:
la perfetta aderenza tra
parola e musica ma soprattutto
la capacità della musica di
trasfigurare quell’energia e
quel vigore che la parola può
offrire perchè divenga
immagine, avvenimento,
situazione acustica da
rimirare e da apprezzare
attraverso l’ascolto, diventa
qui mirabile. Non è più il “madrigalismo”
manierato, fine a se
stesso: è espressività, è
parola poetica che si
trasforma in un “evento
sonoro”. Grondano veramente di
sangue le dissonanze sulle
parole “e tutta sangue si
strugge e non si
duol, more e non langue”, quando
le melodie lentamente si
spossano come un corpo esangue
a terra, in un finale fra i
più geniali e struggenti della
letteratura madrigalistica.
Gli attriti
taglienti sono il tema di “Io
tacerò” (in due parti)
dove dinamiche esasperate,
sulle teatrali parole “ma
se avverrà ch’io mora,
griderà poi per me
la morte ancora”, innescano
accesi contrasti dinamici e
armonici, dove germogliano
dure dissonanze e
concatenazioni armoniche non
più regolate dagli schemi
compositivi tipici di quel
periodo storico. Il desiderio
di lacerare queste regole
invalse è evidente in “Questa
crudele e pia” sulle
parole “anco sdegnosa”
e nel finale; senza precedenti
il finale di “O sempre
crudo amore”, che
tratteggia lo sconforto
dell’anima dopo le dissonanze
“peni il cor” che
trafiggono il nostro ascolto,
tanto quanto un pugnale
potrebbe entrare con forza nel
nostro cuore.
Un esempio di quello
che definiamo come “evento
sonoro” è la seconda parte di
“Ecco morirò dunque”
dove la parola “discoloro”
(in contrasto con “Ahi”
di sofferenza concreta e
immediata) scioglie le melodie
in una rete di passaggi
cromatici discendenti che
traducono perfettamente il
perdere della consistenza di
forme e colori apparentemente
tangibili, solidi e cangianti:
la verità oggettiva del mondo
rinascimentale, lascia spazio
a forme meno nette, a contorni
evanescenti, colori in
divenire che si evolvono
soggettivamente a seconda
dello stato d’animo del nostro
vivere. Anche la “strana
morte” di Arde il
mio cor non è che
destabilizzazione della
concatenazione armonica
tradizionale, voluta a
contrastare la stabilizzante e
“dolce” atmosfera
immediatamente precedente.
Vano il tentativo
dei tre brani finali di questo
Quarto Libro (di cui
gli ultimi due eccezionalmente
a sei voci) a riportare il
clima giocoso e la serenità
all’ascoltatore: in tutto il
libro è fortemente e
volutamente presente il
desiderio e la determinazione
di scardinare la perfezione
che da decenni desiderava
offrire all’ascoltatore una
visione univoca della bellezza
artistica e della realtà. Qui
tutto è asimmetria, eccezioni
alle regole, armonie
inconsuete, partenze e finali
con voci che non si assommano
verticalmente ma che arrivano
in ritardo rispetto
all’accordo (finendo per
divenire frammenti solitari e
isolati), cadenze irregolari
che non offrono stabilità.
Esiste volontà di rompere con
il passato perfetto dello
stile “alla Palestrina”, della
filosofia che reputa la
perfezione come “bello
assoluto”. Irrompe nel mondo
artistico musicale, pittorico
e architettonico un nuovo
valore: l’espressività, quella
forza che trascina l’uomo
verso nuovi modi di realizzare
Arte.
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