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1 CD -
8.572136 - (p) 2011
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Carlo GESUALDO da Venosa
(1566-1613)
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IL
TERZO LIBRO DE' MADRIAGALI, 1595 |
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Voi
volete ch'io mora |
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3' 10" |
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Voi volete ch'io mora (part 1) -
(a,d,e,f,g) |
2' 11" |
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Moro o non moro (part 2) -
(a,d,e,f,g) |
2' 59" |
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Ahi,
disperata vita - (a,d,e,f,g,h) |
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2' 15" |
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Languisco
e moro - (a,b,e,f,g) |
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4' 54" |
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Del
bel de' bei vostri occhi -
(a,b,d,f,g) |
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2' 36" |
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Ahi,
dispietata e cruda -
(a,b,d,f,g) |
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3' 35" |
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Dolce
spirto d'amore - (a,b,e,f,g,h) |
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3' 31" |
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Sospirava
il mio core |
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6' 03" |
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Sospirava il mio core (part 1) -
(a,b,e,f,g) |
2' 52" |
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- O mal nati
messaggi (part 2) - (a,b,e,f,g) |
3' 11" |
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Veggio,
sì, dal mio sole - (a,b,d,f,g)
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2' 39" |
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Non
t'amo, o voce ingrata -
(a,b,e,f,g,h) |
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2' 48" |
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Meraviglia
d'amore |
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5' 19" |
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- Meraviglia
d'amore (part 1) - (a,b,d,f,g) |
1' 23" |
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- Ed ardo e vivo
(part 2) - (a,b,d,f,g) |
1' 56" |
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Crudelissima
doglia - (a,b,d,e,g) |
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3' 32" |
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Se piange,
ohimè, la donna del mio core
- (a,b,e,f,g) |
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3' 56" |
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Ancidetemi pur,
grievi martiri - (a,b,e,f,g) |
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3' 53" |
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Se vi miro
pietosa - (b,d,e,f,g,h) |
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2' 41" |
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Deh, se già fu
crudele - (a,b,e,f,g) |
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2' 41" |
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Dolcissimo
sospiro - (a,b,d,f,g) |
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3' 52" |
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Donna se
m'ancidete (a sei voci) -
(a,b,c,d,f,g,h) |
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3' 01" |
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BONUS TRACKS
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Come vivi cor
mio (canzonetta) -
(a,b,c,f,g,h) |
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4' 38" |
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All'ombra degli
allori (canzonetta) -
(a,b,c,f,g,h) |
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4' 06" |
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Urtext Music for
this recorfing by Marco Longhini
and Rosaria Chiodini
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DELITIÆ MUSICÆ /
Marco Longhini, Conductor |
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Alessandro
Carmignani, Countertenor
(cantus) (a) |
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Paolo Costa, Countertenor
(quintus) (b) |
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Jacopo Facchini, Countertenor
(sextus) (c) |
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Fabio Fùrnari, Tenor
(quintus-altus) (d) |
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Raffaele Giordani, Tenor
(altus) (e) |
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Marco Scavazza, Baritone
(tenor) (f) |
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Walter Testolin, Bass
(bassus) (g) |
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Carmen Leoni, Harpsichord
(clavicembalo) (h) |
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Luogo
e data di registrazione |
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Chiesa
di San Pietro in Vincoli, Azzago,
Verona (Italia) - 27luglio / 1
agosto 2008 |
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Registrazione:
live / studio |
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studio |
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Producer /
Engineer |
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Lodovico
and Marco Longhini / Michael
Seberich / Corrado Ruzza / Antonio
Scavuzzo |
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Prima Edizione CD |
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NAXOS
- 8.572136 - (1 CD) - durata 68'
37" - (p) 2011 - DDD |
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Note |
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Cover
image: Cupid Asleep Approached
by Venus in her Chariot by
(attr.) Orazio Riminaldi
(Kedleston Hall, Derbyshire, UK) |
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Il
Terzo Libro de’ Madrigali di
Carlo Gesualdo “Prencipe
di Venosa” venne
pubblicato dall’editore
ferrarese Vittorio Baldini,
nel 1595, nello stesso anno e
nella stessa tipografia del Primo
e del Secondo Libro. La
pubblicazione è curata da Ettore
Gesualdo in quanto (già lo
sappiamo dalle precedenti
pubblicazioni) non era adeguato
che un nobile si occupasse
materialmente della
pubblicazione di musica: secondo
la concezione dell’epoca,
infatti, altri impegni sociali e
mondani dovevano occupare la
vita di un aristocratico
dell’alta società
rinascimentale. Gesualdo era
prima di tutto un principe,
quindi nobile, ricco e potente
grazie all’antica casata di cui
era l’ultimo discendente e
grazie ai grandi territori e
castelli di famiglia che aveva
ereditato nel sud Italia, vicino
a Napoli. Con uno stratagemma,
l’omonimo Ettore (del quale,
purtroppo, non abbiamo alcuna
notizia biografica) curerà sia
questo che il Quarto libro assicurando
di avere la stessa cura del suo
predecessore Stella in questo
nuovo “grandissimo saggio
d’artificio et
leggiadria…imitazione et
osservanza di parole”.
Se il Secondo Libro proseguiva
il lavoro di ricerca musicale
del Primo, questo Terzo
Libro, segna sicuramente
una svolta nel linguaggio di
Gesualdo: accesi contrasti,
dissonanze sempre più innovative
e non regolate dalle convenzioni
compositive di quel periodo
storico, espressioni che
accostano elementi e immagini
fra loro inconciliabili,
Gesualdo ricerca quella
plausibile energia della parola
poetica a divenire “evento
sonoro”. In questo tipo di
sperimentazione, Gesualdo non
pretende la notorietà del poeta
o la cura estetica del testo:
egli cerca nella poesia
quell’efficienza e quel vigore
che la parola può offrire perchè
divenga immagine, avvenimento,
situazione acustica da
apprezzare attraverso l’ascolto.
Come un’opera pittorica si
comprende e si ammira nel
profondo attraverso
l’osservazione per lungo tempo,
così sempre più i suoi madrigali
divengono tele musicali da
comprendere solo con un ascolto
che supera il primo impatto
superficiale: già all’epoca i
suoi madrigali furono studiati
sulla notazione musicale
scritta. Non è casuale che nel
1613 un’edizione completa dei
suoi madrigali fu pubblicata “in
partitura” perchè possa
essere letta e studiata. Questo
tipo di edizione è estremamente
raro all’epoca (la “Rappresentazione
di anima et di corpo”
di Emilio de’ Cavalieri fu un
altra eccezione), in quanto si
preferiva stampare piccoli libri
per ogni voce, che erano molto
più economici, agili, pratici
per l’esecuzione e molto più
semplici dal punto di vista
editoriale. Probabilmente
edizione “in partitura”
si rese anche necessaria per
porre termine alle varie
discussioni interpretative su
molte delle note alterate che
costituiscono i cromatismi
tipici del linguaggio del
principe.
Rimirando
approfonditamente e reiterando
l’ascolto di queste tele
musicali, potremmo finalmente
apprezzare tutto l’infinito
mondo di soluzioni
sorprendenti verso le quali il
compositore si protende e si
immerge da questo momento in
poi: in quel momento storico,
nessun musicista poteva
avviare una ricerca musicale
che non considerasse quel tipo
di successo effimero che
sgorga da una superficiale
bellezza edonistica delle
proprie opere. Stipendiato
alla corte di un nobile
mecenate o responsabile d’una
istituzione religiosa, i
compositori dovevano misurarsi
in ogni momento con
l’effettivo gradimento delle
loro composizioni da parte dei
committenti o dei fruitori del
loro prodotto artistico.
Gesualdo, principe potente e
ricco, viceversa poteva
permettersi di evitare un
riscontro di pubblico,
dimenticandosi della propria
“sopravvivenza materiale” (e
di conseguenza anche di quel
rendimento in moneta e in
notorietà che le opere “di
successo” potevano offrire),
concentrandosi viceversa sulla
maturazione musicale e sulla
sperimentazione di linguaggio.
Forse per la prima volta nella
storia della musica, egli
poteva permettersi di svolgere
una vera e pura “ricerca”
finalizzata solo a se stessa.
In quest’ottica di
assoluta autonomia artistica,
anche i testi non venivano
proposti o imposti dal
mecenate, ma scelti
accuratamente da Gesualdo
stesso per la loro efficacia
di infondere nella musica
nuove sensazioni sonore: egli
spesso commissiona dei
madrigali a poeti e letterati
(nessun musicista se lo poteva
permettere), chiedendo loro
delle immagini e delle parole
che potessero mettere in
mostra tutta la
sperimentazione che solo lui
era in grado di svolgere,
libero da ogni tipo di vincolo
materiale. Vediamo, ad
esempio, il rapporto
unidirezionale fra Gesualdo e
Torquato Tasso: il sommo poeta
inviava costantemente (e
umilmente) i propri lavori, ma
questi non erano assolutamente
apprezzati dal principe che
preferisce testi più anonimi
(e di poeti meno blasonati) ma
più soddisfacentemente
efficaci a sublimare e le sue
idee. Il 19 novembre 1592 il
sommo Tasso scriveva: “le
mando ancora dieci
madrigali (…) per compiacere
Vostra Eccellenza,
mi sforzerò di trasmutarmi
in nuove forme”. Altri
madrigali furono inviati in
seguito dopo un gelido
silenzio, ma non ricevendo
risposta il 10 dicembre con
coraggio scriveva ancora “le
mando altri dieci madrigali
(…) in tutto deono esser
stati sino a questa ora più
di quaranta”.
Non ricevendo ancora
riscontro, il 16 dicembre si
scusava con il principe perchè
“l’esperienza mi ha fatto
vergognare di me stesso e
del mio ingegno (…) ma
Vostra Eccellenza
non può dubitare ch’io non
l’onori ed ami quanto
si conviene a l’alta sua
fortuna e a la mia depressa
condizione, bench’io non
abbia saputo soddisfarla ne
componimenti dei cinque
madrigali che io le mando”.
Neanche uno di ben
quarantacinque documentati
madrigali commissionati (e
probabilmente pagati) al Tasso
furono mai utilizzati da
Gesualdo che dal Terzo Libro
si avvale sempre più opere di
letterati a noi sconosciuti ma
che appagano il suo crescente
desiderio di nuova creatività.
Tranne il madrigale
d’apertura di Giovanni
Battista Guarini (“Voi
volete ch’io mora”), il
Terzo Libro non si
avvale di poeti noti ma
piuttosto di testi anonimi in
cui parole, immagini e
situazioni possano mettere in
luce la capacità del musicista
ad offrire atmosfere ricche di
pathos. Accesi contrasti,
espressioni che accostano
elementi e immagini fra loro
razionalmente inconciliabili,
Gesualdo si compiace di
trasfigurare musicalmente dei
madrigali che siano efficaci a
divenire “eventi sonori”.
Nella seconda parte
del libro l’atmosfera diventa
poi particolarmente cupa e
violenta segnando il passaggio
alla successiva poetica: il
madrigale “Non t’amo, o
voce ingrata”
segna questo passaggio. Da
questo momento la parola “morte”
e tutti i suoi sinonimi
saranno quasi onnipresenti nei
testi musicali, a segnalare
una ferita sanguinante nel
proprio cuore. Il tradimento
dell’amata moglie, consumato
in casa propria, e il
terribile e violento epilogo a
cui fu indotto, segnò
sicuramente un punto fermo
nella sua produzione creativa
e nella assidua ricerca di
testi che mostrassero a tutti
quelle immagini. Probabilmente
anche il ruolo di violento
uxoricida vendicativo, che è
costretto ad indossare, lo
porta ad indagare una realtà
musicale rabbiosa, irascibile,
furiosa e turbinosa. Oramai
era noto in tutto il mondo per
quest’episodio violento: ora
la sua musica, quella che da
sempre lo aveva reso un uomo
affascinante e felice allo
stesso tempo, dovrà mostrare e
narrare questi suoi stati
d’animo, questa sua reale
sofferenza, questi sentimenti
repressi che erano esplosi in
quell’episodio estremo. La
musica di Gesualdo da questo
momento in poi deve far
riflettere il pubblico sulla
sua sorte d’essere umano
sofferente e tradito: a
quest’uomo non resta altra
amara sorte che ritirarsi
nella musica, tentando di
riscattare con questi
affreschi sonori quella triste
vicenda a cui era stato
involontariamente sottoposto.
Visto che tutti vedevano in
lui solo l’effigie di violento
assassino, la sua musica
doveva mostrare il perchè di
quel gesto estremo, il perchè
pur amando la propria moglie
fin da bambino, è costretto
dalla società a pugnalare
quell’amore. Vedremo nelle
note del Quarto Libro che
nonostante il processo per
l’assassinio della moglie e
del suo amante scagionava
totalmente Gesualdo da Venosa
in quanto “delitto d’onore”
(giustificato pienamente dalla
collettività e dalla giustizia
dell’epoca), la società
prenderà in seguito posizioni
molto contrastanti riguardo
questa vicenda. Molti infatti
schiereranno a favore
dell’amore di Maria d’Avalos
con Fabrizio Carafa,
valorizzando non l’onore come
valore morale, ma il potere
dell’amore che vince ogni
consuetudine sociale fino alla
conseguenza estrema di morire
per esso.
Per tutta la vita
Gesualdo deve difendersi: lo
farà con la sua arte, con
queste tele sonore. Il testo
del madrigale “Dolcissimo
sospiro” offre parole
esplicite di quanto vissuto:
Deh,
vieni a raddolcire
l’amaro mio dolore:
ecco ch’io t’apro il core.
Ma, folle, a chi ridico il
mio martire?
Ad un sospir errante
che forse vola in seno ad
altro amante?
Così anche il
madrigale anonimo “Non
t’amo” descrive
l’insopportabile risposta
dell’amata che categoricamente
rifiuta l’amore tanto
faticosamente cercato e
trovato:
“Non
t’amo”, o voce ingrata,
la mia donna mi disse;
e con pungente strale
di duol e di martir, l’alma
trafisse.
Grazie al lavoro di
Elio Durante e Anna
Martellotti (1987) possiamo
attribuire questo testo a
Ridolfo Arlotti, segretario
del cardinale Alessandro
d’Este e cognato di Gesualdo
che probabilmente fu
l’artefice di alcuni
“rimaneggiamenti” nello stile
del Principe di alcuni testi
anonimi molto più vecchi, come
ad esempio “Se vi miro
pietosa” e il madrigale
più famoso di questo libro: “Ancidetemi
pur, grievi martiri”.
Come era avvenuto
nel Secondo Libro per
il madrigale scritto da
Alfonso d’Avalos “Sento che
nel partire” anche in
questo Libro noi troviamo un
omaggio del Principe al
celebre Jacques Arcadelt:
infatti come “Sento che nel
partire” anche “Ancidetemi
pur” (nel 1539) era
stato usato dal musicista
fiammingo (che evidentemente
Gesualdo ammirava). Il testo
doveva essere adeguato in modo
tale che potessero emergere
l’inedita e personale poetica.
Interessante confrontare i due
testi, come affascinante
confrontare le due
realizzazioni musicali. Ecco
l’originale usato da Arcadelt:
Ancidetemi
pur, grievi martiri
ch’l viver m’è sì a noia
che’l morir mi fia gioia,
ma lassat’ir gli estremi
miei sospiri
a trovar quella ch’è cagion
ch’io muoia
e dir’a l’empia fera
ch’onor non gli è che per
amarl’io pera.
Cinquant’anni
separano questi due madrigali
ma, nonostante le assonanze,
la modernizzazione della
poetica operata da Arlotti
evidenzia lo stesso mutamento
che Gesualdo opererà come
trasfigurazione musicale: non
più la statica perfezione
armonica e contrappuntistica
di Arcadelt, ma una tela
sonora colma di chiaroscuri,
contrasti, contrapposizioni,
contraddizioni musicali che
esplicano gli ossimori poetici
evidenziati in madrigalismi
che coinvolgono tessiture e
armonie: “gli estremi miei
sospiri” divengono
estensioni estreme,
dissonanze, cambi repentini di
modi e quindi di atmosfere
sonore.
Non possiamo infine
tralasciare di citare l’intima
espressività di “Se piange,
oimè, la donna del mio core”.
Gesualdo non dovrà subire una
condanna in tribunale per quel
gesto estremo che gli segnò la
vita, ma dovrà difendersi da
quanti ritennero l’amore un
valore superiore ad ogni legge
e convenzione sociale: egli si
difese con l’arte della
musica, con una vita dedicata
a rivalutare la propria
immagine consumata ogni giorno
dal rimorso di avere ucciso
l’unico sogno in cui credeva.
Con quel gesto
feroce Gesualdo riceverà dalla
società un ruolo che dovrà
subìre pesantemente fino alla
fine della vita: i suoi
madrigali e la loro estrema
realizzazione sonora
fisseranno quel personaggio
secondo il personale punto di
vista. La sua musica sarà
l’unica colonna sonora
possibile.
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