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1 CD -
8.570548 - (p) 2010
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Carlo GESUALDO da Venosa
(1566-1613)
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IL
SECONDO LIBRO DE' MADRIAGALI, 1594 |
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Caro
amoroso neo |
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7' 26" |
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Caro amoroso neo (part 1) -
(a,b,c,e,f) |
2' 11" |
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-
Ma se tale ha costei (part 2) -
(a,b,c,e,f) |
1' 57" |
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Hai
rotto e sciolto - (a,b,c,d,f) |
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3' 18" |
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Se
per lieve ferita |
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4' 53" |
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Se per lieve ferita (part 1) -
(a,b,c,d,f) |
2' 10" |
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- Che sentir deve
il petto (part 2) - (a,b,c,d,f) |
2' 43" |
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In
più leggiadro velo -
(a,b,c,d,f)
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2' 06" |
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Se così dolce è
il duolo |
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4' 05" |
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- Se così dolce è
il duolo (part 1) - (a,b,c,e,f) |
1' 27" |
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- Ma se avverrà
ch'io moia (part 2) - (a,b,c,e,f) |
2' 38" |
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Se taccio, il
duol s'avanza - (a,b,c,e,f) |
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2' 28" |
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O come è gran
martire |
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3' 26" |
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- O come è gran
martire (part 1) - (a,b,c,e,f,g) |
2' 05" |
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- O mio soave
ardore (part 2) - (a,b,c,e,f,g) |
1' 21" |
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Sento che nel
partire - (a,b,c,d,f) |
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4' 12" |
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Non è questa la
mano |
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4' 14" |
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- Non è questa la
mano (part 1) - (a,b,c,e,f,g) |
1' 31" |
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- Nè tien face o
saetta (part 2) - (a,b,c,e,f,g) |
2' 43" |
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Candida man
qual neve - (a,b,d,e,f) |
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3' 36" |
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Dalle odorate
spoglie |
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3' 01" |
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- Dalle odorate
spoglie (part 1) - (a,b,c,e,f) |
1' 21" |
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- E quell'arpa
felice (part 2) - (a,b,c,e,f) |
1' 40" |
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Non mi cangerò
stato - (a,b,c,e,f) |
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2' 54" |
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All'apparir di
quelle luci - (a,b,c,e,f) |
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2' 40" |
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Non mi toglia il
ben mio - (a,b,c,e,f,g) |
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2' 06" |
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BONUS TRACKS
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Canzon francese
del Principe - (h) |
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6' 25" |
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Gagliarda del
Principe di Venosa -
(i,j,k,l) |
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3' 39" |
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Urtext Music for
this recorfing by Marco Longhini
and Rosaria Chiodini
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DELITIÆ MUSICÆ /
Marco Longhini, Conductor |
Carmen Leoni, Harpsichord
(clavicembalo) (g) and Clavichord
(clavicordo) (h) |
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Alessandro
Carmignani, Countertenor
(cantus) (a) |
Claudia Pasetto, Treble
Viol (soprano viola da gamba) (i) |
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Paolo Costa, Countertenor
(quintus) (b) |
Leonardo Bortolotto,
Tenor Viol (tenor viola da gamba)
(j) |
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Fabio Fùrnari, Tenor
(quintus-altus) (c) |
Teodoro Bau, Bass
Viol (bass viola da gamba) (k) |
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Raffaele Giordani, Tenor
(altus) (d) |
Luciana Elizondo, Bass
Viol (bass viola da gamba) (l) |
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Marco Scavazza, Baritone
(tenor) (e) |
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Walter Testolin, Bass
(bassus) (f) |
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Luogo
e data di registrazione |
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Chiesa
di San Pietro in Vincoli, Azzago,
Verona (Italia) - 27-28 luglio
& 21-25 ottobre 2007 |
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Registrazione:
live / studio |
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studio |
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Producer /
Engineer |
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Lodovico
and Marco Longhini / Michael
Seberich / Corrado Ruzza / Antonio
Scavuzzo |
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Prima Edizione CD |
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NAXOS
- 8.570549 - (1 CD) - durata 57'
12" - (p) 2010 - DDD |
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Note |
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Cover
image: Venus and Cupid by
Alessandro Allori (Galleria degli
Uffizi, Firenze) |
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Il
Secondo Libro de’ Madrigali di
Carlo Gesualdo “Prencipe di
Venosa” venne pubblicato
dall’editore ferrarese Vittorio
Baldini, nel 1594, nello stesso
anno e nella stessa tipografia
de Il Primo Libro de’
Madrigali. Entrambe le
pubblicazioni sono curate dal
musicista Scipione Stella che,
nella dedica introduttiva di
questo secondo lavoro, si scusa
con il Principe per aver avuto “l’ardire
di raccogliere, e dare alla
stampa questi Madrigali
(precioso saggio, e parto
dell’Eccell. Sua) senza
domandargliene licentia”.
Sappiamo quanto non fosse
conveniente che un nobile si
occupasse della pubblicazione di
libri o di musica (ben altri
impegni dovevano riempire la
vita di un principe in quella
che era l’alta società
rinascimentale); quindi,
Gesualdo si rivolge a Stella
perchè le proprie opere
potessero essere pubblicate
senza essere biasimato.
Curiosamente, questo raffinato
stratagemma barocco s’inceppa
nelle date: la dedica di questo
Secondo Libro (10 maggio
1594) precede di poco meno di un
mese la data di pubblicazione
del Primo Libro (2
giugno 1594) confermando
l’ipotesi che questi Madrigali
del 1594 vengono
dunque distribuiti all’interno
dei due libri senza un effettivo
ordine cronologico di
composizione. In queste due
stampe, le composizioni musicali
sono scelte e saldate insieme in
occasione del viaggio a Ferrara:
qui Gesualdo pochi mesi prima,
il 21 febbraio 1594, aveva
sposato Eleonora d’Este figlia
di Alfonso d’Este (marchese di
Montecchio e figlio illegittimo
del Duca Alfonso I, duca di
Ferrara). Abbiamo già esaminato
nella precedente nostra
pubblicazione (Naxos 8.570548)
questo suntuoso avvenimento
mondano, il mondo Estense e la
prima pubblicazione dei
Madrigali: ricordiamo solo la
testimonianza del cronista
Fontanelli (inviato da Alfonso
II d’Este per avere maggiori
notizie del suo futuro parente)
che ci informa che il Principe
raggiunge Ferrara portando “seco
due mute di libri a
cinque, tutte opere sue”,
probabilmente proprio questi due
Libri del 1594.
Ascoltando
questi venti Madrigali del
Secondo Libro, notiamo
la prosecuzione di un lavoro
già maturamente avviato,
l’approfondimento di temi
cari al nostro musicista, la
fluida capacità di trattare
la parola poetica quale
fonte di gemmazione musicale
e la geniale inquietudine
musicale: quasi fosse una
seconda parte di una stessa
opera, questo Secondo
Libro prosegue
anzichè rivoluzionare,
conferma più che deviare.
Bisognerà attendere il Terzo
Libro, 1595, e il Quarto,
1596 (Naxos 8.572137)
(sempre pubblicati a Ferrara
da Baldini) perchè l’autore
si rimetta in discussione e
frantumi il prezioso mondo
musicale che ascoltiamo in
questo Libro e nel
precedente. La
stupenda concezione
manieristica di poetica
inquieta, questo “instabile
equilibrio” (usando un
ossimoro che sarebbe
piaciuto al nostro
musicista) ancora poco
intaccato dalle successive
ricerche estreme e ancora
congiunto alle strutture
razionali della tradizione
polifonica, verrà in ultimo
sovvertito nei Madrigali
contenuti nel Quinto
e Sesto Libro (1611)
per costruire qualcosa di
nuovo, qualcosa di
assolutamente inedito. Per
ora, con grande orgoglio, il
“Prencipe” si
accontenta di mostrarsi
quale abile compositore,
desiderando presentarsi con
una certa originalità
linguistica, certo che il
mondo culturale raffinato di
Ferrara, la sua sposa e il
Duca Alfonso II d’Este, lo
possano capire e apprezzare.
Il Secondo Libro è
dunque un chiaro ossequio
alla cultura ferrarese,
quella più avanzata e
innovativa (legata a
compositori come Cipriano de
Rore, Jacques de Wert o a
Luzzasco Luzzaschi), adatto
ad essere fruito e
apprezzato dal più raffinato
pubblico d’intenditori, in
quella corte aristocratica
che più d’ogni altra
coltivava e apprezzava la
musica e il madrigale quale
simbolo di sintesi e
risultato maturo d’incontro
tra le diverse arti
rinascimentali. Basta
ascoltare due madrigali
esemplari di questo Libro
per rendersi conto della
grande maestria: Hai
rotto e sciolto e All’apparir
di quelle luci.
I
testi contenuti in questa
pubblicazione non sono
facilmente attribuibili.
Pochi madrigali del Secondo
Libro sono stati
ufficialmente assegnati ai
rispettivi autori e,
sostanzialmente, i poeti a
noi noti sono solo tre:
Torquato Tasso, Giovanni
Battista Guarini e Alfonso
d’Avalos. Su quest’ultimo
autore e il suo componimento
Sento che nel partire,
che troviamo in posizione
centrale nel Libro,
convergiamo per un istante
la nostra attenzione: è un
madrigale molto famoso nel
Rinascimento (come fu un
altro madrigale dello stesso
autore: Il bianco e
dolce cigno).
Venne scritto nel 1547
(quindi quasi cinquant’anni
prima del Libro di Gesualdo)
e musicato da Cipriano de
Rore nel suo Primo Libro
a quattro voci edito a
Ferrara nel 1550; vista la
popolarità raggiunta in
tutta Europa fu citato come
brano “da variare” in molte
messe-parodia di autori come
Jacquet de Mantua, Philippe
de Monte e Orlando di Lasso.
Il testo originariamente
scritto da Alfonso è
diverso:
Anchor
che col partire
io mi senta morire,
partir vorrei ogn’or ogni
momento
tant’è ‘l piacer ch’io
sento
de la vita ch’acquisto
nel ritorno.
Et così mill’e mille
volt’il giorno
partir da voi vorrei
tanto son dolci gli
ritorni miei.
Molte
le versioni scherzose a
cominciare da una Giustiniana
di Andrea Gabrieli del
1570, fino alla più famosa e
divertente parodia contenuta
nel Libro L’Amphiparnaso,
Comedia Harmonica di
Orazio Vecchi, edita nel
1597, e nella variazione di
Adriano Banchieri, Il
Studio Dilettevole,
1600 (da noi recentemente
registrato e pubblicato),
nel quale si inscena una
serenata della maschera
carnascialesca bolognese del
Dottore Graziano che volendo
apparire edotto (visto che
abita nella città con la più
antica università del
mondo), sbaglia tutte le
citazioni storpiando le
parole:
Il
vecchio e Pedrolin stanno
a sentire
Grazian che vuol cantar
alla sua diva
quel madrigal “Ancor che
col partire”.
Ancor ch’a parturire
l’huom si senta murire.
Padir vorrei ogn’or un
molumento
tant’e’l piacer ch’ a
stento
l’acqua vita m’ha pist’e
pur ai torno;
e così mille volpe al far
del zorno,
padir ancor vorrei,
tanto son dolci i storni
ai denti miei.
Nel
caso del nostro Secondo
Libro, probabilmente è
lo stesso Gesualdo a
rinnovare un testo ormai
considerato “vecchio” o a
commissionare (a qualche
letterato della sua cerchia
culturale) un suo
adeguamento in cui potessero
emergere, in seguito, le
personali ricerche musicali.
Se questa scelta testuale
potrebbe essere intesa quale
tributo alla cultura
ferrarese, esistono molti
elementi per credere che,
viceversa, Gesualdo pensasse
a rendere omaggio ad un
grande amore. Se noi,
infatti, supponiamo che tale
madrigale fosse stato
precedentemente composto
(insieme a tutti i brani
contenuti nelle “due mute
di libri a cinque”),
dobbiamo evidenziare che
Alfonso d’Avalos era il
padre di Carlo d’Avalos, a
sua volta padre della prima
sposa di Carlo Gesualdo
(nonchè cugina): la famosa
Maria d’Avalos.
Gesualdo e
Maria d’Avalos, le prime
nozze, l’assassinio
Era
considerata la più bella
donna di Napoli: bionda,
occhi azzurri, corpo
formoso. Gesualdo, anche se
più giovane di lei di sei
anni, n’era attratto fin da
bambino: ma a diciotto anni
lei sposa Federico Carafa,
giovane diplomatico di una
celeberrima famiglia
partenopea, da cui ebbe in
seguito due figli.
Purtroppo, dopo solo tre
anni di matrimonio, il
marito muore e poco dopo
muore anche il figlio
maschio. Due anni più tardi
si sposa nuovamente con un
ricco ventenne Alfonso
Gioieni con il quale vive in
Sicilia per sei anni ma, nel
1586, disgraziatamente anche
il secondo marito muore.
Provata dalla vita, ritorna
a Napoli (nel castello
Aragonese di famiglia,
sull’isola d’Ischia). La
giovane età (aveva ventisei
anni), la straordinaria
bellezza (famosa in tutte le
corti europee) e le nobili
origini, rendevano Maria
d’Avalos una donna
affascinante e ancora
desiderata. Se non fosse per
questi motivi, il suo
sfortunato destino le
avrebbe riservato una fine
ancora più infelice: il
convento. Carlo Gesualdo,
ventenne, vede in lei la
sposa sognata fin da bambino
ma, essendo cugini primi (la
mamma di Maria, Sveva
Gesualdo, era la zia di
Carlo), occorreva ottenere
la dispensa papale; il papa
Sisto V dapprima la nega,
poi la concede grazie alla
mediazione dei cardinali
d’Aragona e Alfonso
Gesualdo, vicini al papa. Le
nozze furono celebrate a
Napoli con estremo lusso.
L’unione fra le due famiglie
più ricche e importanti di
Napoli era avvenuta: questo
sanciva un’affermazione di
potenza per entrambe i
casati. Maria diventava
immune ad un destino
crudele; Carlo appagato per
aver acquisito l’amore tanto
desiderato. I due sposi
conducevano una vita ricca
d’avvenimenti mondani (come
feste, caccia, ricevimenti)
e culturali (come concerti e
serate di poesia): il loro
palazzo di Napoli era una
fucina di cultura, dove
poeti e musicisti erano di
casa. La “melanconia”
di Carlo (quel tipico stato
d’animo dell’epoca che oggi
possiamo definire come un
misto fra introversione e
irrequietezza) era colmata
dall’appassionato amore
(finalmente si era avverato,
dopo tante sofferenze, un
sogno a lungo rimasto
frustrato) e dalla musica,
quella che gli Avalos
conoscevano bene (come
abbiamo visto dagli
interessi e dalle creazioni
del nonno di Maria). Se per
i nobili dell’epoca scrivere
madrigali (sia letterari che
musicali) era un piacevole
diletto per occupare il
tempo, mostrando la propria
cultura e sensibilità
artistica, “Maria capiva
che la musica per
Carlo era invece qualcosa
di molto diverso:
era disciplina, studio,
mestiere, passione, rifugio,
ragione di vita, qualcosa
di totalizzante che impregnava
l’intero essere, l’intera
essenza di Carlo, rendendolo
appunto diverso, bizzarro,
affascinante”
(Giovanni Iudica: Il
principe dei musici,
1993). Purtroppo, questo
momento di felicità fu
straziato da un altro
infausto evento: la figlia
di Maria, Beatrice, data in
sposa ad uno dei Carafa
(come Maria in prime nozze e
come la nonna), muore la
prima notte in quanto“si
ruppe una vena nel
petto nel primo
congiungimento carnale che
fece col marito”.
Aveva appena dodici anni.
All’infelice evento ne segue
finalmente uno lieto: nasce
Emanuele, un erede maschio
sano e forte che assicurava
il perdurare della dinastia
dei Gesualdo.
A
questo punto, entra in scena
Fabrizio Carafa (parente del
primo marito di Maria),
definito da molti come il
più bell’uomo di Napoli: era
sposato e con quattro figli
avuti dalla religiosissima
moglie. Il suo temperamento
spavaldo e sempre sicuro di
sé colpisce Maria d’Avalos
ad una festa da ballo: fra i
due nasce una fortissima
attrazione che in breve
diventa una passione
travolgente, estrema,
spavalda. I due si
incontrano e si frequentano
con assiduità, nei luoghi
più diversi, in campagna, da
amici fidati e poi persino
nello stesso palazzo
Gesualdo con la complicità
delle dame di compagnia.
Questa relazione (che ci
ricorda la leggenda
medioevale di Tristano e
Isotta) rapidamente
divenne troppo evidente
perchè fosse al riparo dal
pettegolezzo di corte e di
Napoli: il vicerè stesso e
molti nobili intervengono
tentando di far ragionare il
Carafa, mentre su Maria
premono la madre e persino
lo zio cardinale con una
lettera inviata da Roma (lo
scandalo aveva dunque
varcato i confini della
città di Napoli). Gli amanti
erano consapevoli di aver
superato il limite a loro
consentito. Fabrizio tenta
di far ragionare la sua
amata ma Maria (che dichiara
d’aver ancora verso Carlo
Gesualdo un infinito affetto
e grande stima) ama Carafa,
lo desidera ardentemente,
manifesta di non poter
vivere senza di lui e
d’essere attratta da lui
fisicamente “come fosse
posseduta dal
demonio”. Maria
desidera andare fino in
fondo al suo amore e se egli
non l’avesse bramato come
lei, “che andasse
a farsi bizzo, avendo
errato la natura a
produrre cavaliero,
(poi)ché teneva cuore di
donna!”.
Carlo
sicuramente sapeva: si
ritira nella sua melanconia,
sentendosi tradito, sperando
che il suo amore possa
vincere ogni avversità (come
narrano i suoi madrigali).
Purtroppo le voci di questa
relazione appassionata e
sempre più palese non
possono essere più
sottovalutate o insabbiate.
Gesualdo tenta di
minimizzare, evitare o
almeno di procrastinare il
gesto estremo a cui la
società l’avrebbe costretto:
egli ama ancora e più che
mai la sua sposa e non può
pensare di distruggere
l’amore della sua vita,
anche se tradito e umiliato.
Ma con il passare dei giorni
la situazione degrada e
anche lo zio Giulio Gesualdo
fa notare a Carlo che
l’onore della sua casata è
ridicolizzata da questa
situazione; inoltre, non
esistono più soluzioni
diplomatiche poiché fallite
nonostante l’aiuto di amici
e parenti. Carlo per
proteggere la dignità del
proprio casato non ha via di
scampo: tutta la società
napoletana aspetta un atto
da lui.
Il
26 ottobre 1590, Carlo finge
di organizzare con gli amici
più fedeli una battuta di
caccia della durata di
qualche giorno lontano dal
palazzo di Napoli; ma
anziché partire si ferma per
strada e ritorna a palazzo a
notte e, senza essere visto,
arriva fino alla stanza
sottostante la sua camera da
letto nuziale. Carafa arriva
sotto il balcone e ad un
segnale d’assenso convenuto
con Maria, apre la porta con
una copia della chiave (come
fosse casa propria) salendo
fino alla camera da letto.
L’evidenza è troppa anche
per il cuore infranto del
principe: dopo mezz’ora, due
amici fedeli di Gesualdo
entrano nella stanza e
sparano agli amanti sorpresi
nel letto, poi entra Carlo
seguìto da altri due amici.
La scena che affronta è
cruda: i due amanti sono
entrambi in un lago di
sangue, lei ancora distesa
nel letto; lui, barcollando,
tenta di sguainare la spada
prima di crollare a terra,
gridando: “A casa Gesualdo,
corna!”. Carlo si
avvicina a Maria che implora
la confessione e il perdono,
coprendosi il volto con il
lenzuolo per la vergogna.
Soltanto in quel momento
Carlo pugnala ripetutamente
tutto il corpo avvolto nel
lenzuolo, uscendo poi dalla
stanza grondante di sangue;
poi fuori di se, dicendo “Non
credo esser morta”,
ritorna nella stanza e
squarcia ulteriormente Maria
dall’inguine alla gola.
Tutte
queste notizie,
tremendamente dettagliate,
ci sono riferite da numerose
testimonianze nel processo a
Carlo del quale abbiamo
tutti gli atti: Gesualdo fu
assolto per “delitto per
causa d’onore”. Ma
questa assoluzione che la
società gli offriva, non era
la fine d’una situazione
drammaticamente
insostenibile: era l’inizio
di nuovi tormenti per il
nostro Gesualdo . Carlo in
quel momento compiva
ventiquattro anni.
Marco
Longhini
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