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1 CD -
8.570548 - (p) 2010
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Carlo GESUALDO da Venosa
(1566-1613)
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IL
PRIMO LIBRO DE' MADRIAGALI, 1594 |
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Baci
soavi e cari |
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6' 31" |
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Baci soavi e cari (part 1) -
(a,b,d,e,f) |
3' 36" |
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Quanto ha di dolce amore (part 2) -
(a,b,d,e,f) |
3' 15" |
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Madonna,
io ben vorrei - (a,b,c,d,f) |
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3' 35" |
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Come
esser può ch'io viva? -
(a,b,c,e,f) |
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2' 41" |
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Gelo
ha madonna il seno -
(a,b,c,d,f) |
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2' 39" |
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Mentre
madonna |
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5' 35" |
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Mentre madonna (part 1) -
(b,c,d,e,f) |
2' 39" |
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- Ahi, troppo
saggia (part 2) - (b,c,d,e,f) |
2' 56" |
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Se
da si nobil mano - (a,b,c,e,f)
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2' 24" |
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Amor, pace mon
chero - (a,b,d,e,f,g) |
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2' 03" |
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Sì gioioso mi
fanno i dolori miei -
(a,b,d,e,f) |
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3' 32" |
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O dolce mio
martire - (a,b,d,e,f) |
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2' 39" |
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Tirsi morir
volea |
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6' 04" |
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- Tirsi morir
volea (part 1) - (a,b,c,e,f) |
3' 21" |
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- Frenò Tirsi il
desio (part 2) - (a,b,c,e,f) |
2' 46" |
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Mentre, mia
stella, miri - (a,b,c,e,f) |
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2' 56" |
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Non mirar, non
mirare - (a,b,c,e,f) |
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3' 08" |
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Questi leggiadri
odorosetti fiori - (a,c,d,e,f,g) |
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3' 37" |
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Felice
primavera! |
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3' 44" |
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- Felice
primavera! - (part 1) -
(a,b,d,e,f,g) |
2' 11" |
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- Danzan le ninfe
- (part 2) - (a,b,d,e,f,g) |
1' 33" |
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Son sì belle le
rose - (a,b,c,e,f) |
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2' 31" |
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Bella
angioletta - (a,b,c,e,f) |
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2' 13" |
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Urtext Music for
this recorfing by Marco Longhini
and Rosaria Chiodini
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DELITIÆ MUSICÆ /
Marco Longhini, Conductor |
Carmen Leoni, Harpsichord
(clavicembalo) (g) |
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Alessandro
Carmignani, Countertenor
(cantus) (a) |
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Paolo Costa, Countertenor
(quintus) (b) |
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Fabio Fùrnari, Tenor
(quintus-altus) (c) |
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Paolo Fanciullacci,
Tenor (altus) (d) |
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Marco Scavazza, Baritone
(tenor) (e) |
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Walter Testolin, Bass
(bassus) (f) |
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Luogo
e data di registrazione |
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Chiesa
di San Pietro in Vincoli, Azzago,
Verona (Italia) - 23-27 luglio
2007 |
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Registrazione:
live / studio |
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studio |
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Producer /
Engineer |
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Lodovico
and Marco Longhini / Michael
Seberich / Corrado Ruzza / Antonio
Scavuzzo |
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Prima Edizione CD |
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NAXOS
- 8.570548 - (1 CD) - durata 56'
15" - (p) 2010 - DDD |
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Note |
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Cover
image: Venus and Cupid by
Guercino (Giovanni Francesco
Barbieri) (1591-1666) (Galleria e
Museo Estense, Modena, Italy) |
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Gesualdo
e la città di Ferrara
Il Primo Libro de’ Madrigali di
Carlo Gesualdo “Prencipe di
Venosa” venne pubblicato da un
editore ferrarese, Vittorio
Baldini, nel 1594. Nello stesso
anno e dallo stesso tipografo
venne pubblicato anche Il
Secondo Libro de’ Madrigali.
Entrambi i libri sono presentati
dal musicista Scipione Stella
che, nelle dediche introduttive
alla pubblicazione, scrive
d’avere raccolto (e corretto gli
errori di stampa) alcuni brani
del suo protettore e principe,
già precedentemente pubblicati.
All’epoca non era conveniente
che un nobile si occupasse della
pubblicazione di libri o di
musica (ben altre dovevano
essere, o apparire, le
occupazioni di un principe nella
società rinascimentale) e quindi
ricorre a Giuseppe Piloni (non
uno pseudonimo, ma un “caro
amico” del musicista fiammingo
Jean de Maque che frequentava
con lui la casa Gesualdo, dopo
il 1586) per dare a stampa
alcune sue opere (delle quali,
purtroppo, abbiamo perso ogni
traccia). Le dediche di Stella
sono datate 2 giugno 1594 per il
Primo Libro e 10 maggio 1594 per
il Secondo: come noterete sembra
che il Secondo abbia anticipato
il Primo. Seguono a brevissima
distanza il Terzo Libro, 1595, e
il Quarto, 1596, sempre
pubblicati a Ferrara da Baldini.
Come capita molto frequentemente
nel Rinascimento italiano, la
pubblicazione di un libro
musicale non fa altro che
raccogliere i brani pregevoli
che il musicista aveva
precedentemente composto e che
ritenesse fossero adatti ad
essere fruiti e apprezzati da un
più vasto pubblico di
intenditori e musicisti. Tutti
questi Madrigali (in tutto sono
ottanta, venti per ogni libro)
vengono dunque distribuiti su
quattro libri, probabilmente
senza un effettivo ordine
cronologico di composizione, ma
tutti congiunti dalla stampa
avvenuta a Ferrara. Ben quindici
anni trascorreranno prima che
esca un altro suo nuovo libro,
spento l’interesse per Baldini e
stampando le sue ultime due
opere a Venezia, entrambe nel
1611.
Come mai Ferrara fu la culla del
primo impegnativo parto
artistico e perchè Gesualdo
proprio in quel momento decide
che fosse il momento giusto per
esporre il proprio pensiero
musicale? Quali intrecci
potevano esserci fra Ferrara e
un principe che aveva sempre
gravitato tra Napoli, la città
di Venosa e quella di Gesualdo
(cittadine ancor oggi esistenti
nel sud Italia che portano
ancora il nome della nobile
famiglia patrizia)?
Per Carlo Gesualdo stampare le
proprie opere a Ferrara
significava essere presente in
quella corte che più forse più
d’ogni altra, in quell’epoca,
coltivava e apprezzava la musica
e il madrigale quale simbolo di
sintesi tra arti e frutto maturo
e prelibato di una raffinata
cultura aristocratica. Per
Ferrara, invece, il Principe da
Venosa significava la
possibilità di tutelarsi da un
fatale avvenimento politico: il
Duca Alfonso II d’Este (nipote
della diabolica Lucrezia
Borgia), ultimo erede di
quell’aristocratica e mecenate
famiglia che governa la città
dal 1332, non può avere figli e
(a causa di un antico accordo
con il Papa) la terra degli Este
sarebbe ritornata allo Stato
della Chiesa di Roma se non ci
fossero stati eredi maschi. Per
Ferrara, il matrimonio fra
Gesualdo ed Eleonora d’Este
doveva essere un’ottima
occasione politica per tentare
di risolvere una delicata
questione politica, raccogliendo
i favori del cardinale Alfonso
Gesualdo, zio di Carlo e una
delle più potenti e influenti
figure politiche romane. Il 19
febbraio 1594, il Principe
raggiunge Ferrara: “porta seco
due mute di libri a cinque,
tutte opere sue” (come scrisse
il cronista Fontanelli, inviato
da Alfonso II d’Este per avere
maggiori notizie del suo futuro
parente) e un seguito di
trecento persone della sua
corte. Il 21 febbraio è
celebrato il matrimonio con
feste, torneo a cavallo, copioso
pranzo di nozze di ventitrè
portate (di questo banchetto
lussuoso, come di tutte le
feste, ne abbiamo la descrizione
minuziosa) e scambi di doni
preziosi, come la corazza da
parata finemente cesellata,
ancor oggi visibile nel Castello
di Praga, e un’Ode “Lascia, o
figlio di Urania, il bel
Parnaso” scritta appositamente
dal celeberrimo poeta Torquato
Tasso. Come abbiamo visto, tre
mesi dopo il matrimonio, furono
pubblicati il Primo e il Secondo
Libro dei suoi Madrigali tanto
amati e subito parte per
Venezia. Ritorna a giugno
direttamente nel suo castello di
Venosa e poi in Gesualdo “paese
ameno et vago alla vista quanto
si possa desiderare, con un’aria
veramente soave et salubre”, ma
senza la sua sposa novella che
lascia a Ferrara.
Gesualdo, il principe di
Venosa
Carlo Gesualdo non è dunque un
musicista ordinario: prima di
tutto egli è un principe, ricco
e potente. Come esamineremo in
seguito nelle note introduttive
che accompagneranno le nostre
sei pubblicazioni contenenti la
sua opera profana completa, egli
divenne celebre per due impulsi
che segnarono la sua vita: il
sanguinoso assassinio della
moglie e del suo amante (tale
fatto lo rende protagonista di
molte opere teatrali, opere
liriche, romanzi e anche film) e
la passione per la musica
espressiva e ardita, sia sacra
che profana, ammirata sia dai
suoi contemporanei come da
musicisti a noi più vicini,
primo fra tutti Stravinskij.
Quest’ultimo, elabora alcuni
brani del musicista
rinascimentale (le Tres Sacrae
cantiones) e, nel 1960, per
quello che era considerato il
quarto centenario della nascita,
gli dedica un brano: Monumentum
pro Gesualdo da Venosa ad CD
annum. In realtà la data di
nascita non fu il 1560: ricerche
recenti hanno stabilito che egli
nacque l’ 8 marzo 1566, a
Venosa. La sua famiglia affonda
le sue radici in tempi lontani:
dalla Francia secondo alcuni, da
Ruggero il Normanno secondo
altri. Erano parenti di San
Carlo Borromeo (la mamma del
nostro Carlo era sorella del
Borromeo) ed erano in ottimi
rapporti sia con Carlo V che con
Filippo II, re di Spagna, che in
tempi diversi regnarono sui
territori del sud Italia in quel
periodo. I Gesualdo avevano ampi
possedimenti terrieri e
castelli: erano ricchissimi,
dunque. Il padre di Carlo,
Fabrizio II, e la madre,
Geronima de’ Medici, erano anche
persone di cultura e come tali
organizzavano spesso nella loro
residenza napoletanta alcune
serate a tema, invitando
gesuiti, astronomi, astrologi,
alchimisti e anche chiromanti;
non mancavano le serate dedicate
alla poesia e alla letteratura,
come quelle dedicate alla musica
in cui anche il padre Fabrizio
Gesualdo faceva ascoltare sue
proprie composizioni. Carlo
crebbe in un ambiente dove la
musica era un’arte fondamentale
per la persona: venne finemente
istruito da musicisti come
Pomponio Nenna, Gian Leonardo
Privitera e Jean de Maque
(quest’ultimi due compositori
dedicarono pure a Carlo proprie
pubblicazioni musicali) che
abitualmente frequentavano la
casa paterna. Sappiamo che
imparò a suonare il liuto tanto
quanto andare a caccia. La sua
prima composizione fu edita a
diciannove anni, nel 1585: un
mottetto a cinque voci (Delicta
nostra ne reminiscaris
Domine—Dimentica le nostre
colpe, o Signore—edito insieme
ad altre brani sacri di Stefano
Felis) che curiosamente lascia
presagire alcuni dei temi che
vedremo svilupparsi sia
nell’opera sacra come in quella
profana: il senso colpa, la
morte, il peccato, il
pentimento.
L’anno successivo, nel 1586 a
soli vent’anni, sposa Maria
d’Avalos più vecchia di lui e
già vedova per ben due volte e
con due figli a carico: questo
matrimonio con una delle donne
più belle di Napoli ebbe un
tragico esito quattro anni più
tardi, quando Carlo la uccise
insieme al suo amante nel letto
dove egli stesso dormiva. Questo
episodio che contrassegnò
fortemente la sua vita, e la sua
opera, lo tratteremo nel seconda
pubblicazione dedicata al
Secondo Libro de’ Madrigali e
alle sue composizioni
strumentali (Naxos 8. 570549).
Il Primo Libro de’ Madrigali
Apre la prima pubblicazione
ferrarese del 1594, un madrigale
di Giovanni Battista Guarini:
Baci soavi e cari in due parti.
Venne trasposto in musica da
vari autori, fra cui citiamo
Luca Marenzio (1591), Adriano
Banchieri (nella sua Barca di
Venezia per Padova, 1605, “Un
per de Marregali alla
Venosa-Madrigale capriccioso”) e
nel Primo Libro di Claudio
Monteverdi, 1587: il testo è
tratto dalla prima strofa della
Canzon de’ baci che poi prosegue
con Baci amorosi e belli, Baci
affannati e ingordi, Baci
cortesi e grati. Il raffinato
gioco erotico in tutto il
madrigale, ricco di sospiri e
ansimi ci porta ad una vera e
propria simulazione nell’unione
dei due amanti e dell’atto
amoroso, resa esplicita se
comprendiamo quelle convenzioni
di linguaggio della corte
rinascimentale che nella parola
morire celava il significato del
raggiungimento dell’orgasmo
sessuale. Le analogie con la
versione di Monteverdi sono
molte, soprattutto per quanto
riguarda l’interpretazione nella
suddivisione ritmico-prosodica
del testo: confrontando le due
versioni, anche ad un semplice
ascolto, notiamo come il brano
di Monteverdi (nonostante la
sorprendente sapienza
compositiva) sia ancora un brano
giovanile; mentre quello di
Gesualdo sia un brano d’un
autore smaliziato, in cui l’uso
dell’espressività nella parola,
viene esaltata da una sapiente
arte di contrasti melodici e
timbrici. Questo ci fa
sospettare che il brano
d’apertura scelto da Stella per
presentare il suo mecenate, non
fosse assolutamente un “primo
parto” giovanile ma un frutto
ben più maturo che, fin
dall’inizio, mettesse in mostra
l’arte raffinata del Principe.
Con lo stesso gioco erotico
sulle parole morire (ma perchè
non parafrasare nei due diversi
modi antitetici questo brano,
visto che il significato più
tragico può essere comunque
avvalorato?) dobbiamo leggere il
bellissimo madrigale Tirsi morir
volea di Giovanni Battista
Guarini (stampato nel 1581, tra
le Rime di Tasso, con il
sottotitolo “Concorso d’occhi
amorosi” e musicato da L.
Marenzio 1580, J. De Wert 1581,
A. Gabrieli 1587 e poi da L.
Luzzaschi 1604, G.F. Sances
1633). Nella seconda parte Frenò
Tirsi il desio si raggiunge una
delle più alte vette musicali
del nostro compositore,
accendendo il contrasto fra le
belle dissonanze sulle parole
“sentendo morte” e la scala di
note ascendente contigue, sulle
parole “in non poter morire”,
che simulano un’estatica ascesa
alla voluttà o alla redenzione
del regno dei cieli. Vedremo,
però, che nei Libri successivi
la parola morte lascerà questo
suo valore erotico della poesia
della corte per divenire
esternazione di “tragedia”, del
dolore supremo con cui l’uomo
deve confrontarsi.
Un altro argomento
amoroso-erotico lo troviamo
anche in Mentre madonna
(anch’esso suddiviso in due
parti), sonetto di Torquato
Tasso, tratto dalle Rime: con
grande raffinatezza, la scena
descrive l’invidia provata da
chi vede il pungiglione d’un
“ape ingegnosa” che insidia le
labbra femminili “dopo i suoi
lieti e volontari errori”. In
“Sì gioioso mi fanno i dolor
miei” troviamo già quella tipica
ricerca e attenzione del Venosa
verso testi che accostano
concetti o parole apparentemente
contrapposte: un gioco
manieristico d’immagini
inconciliabili ma fatalmente
accostate fra di loro, in cui la
razionalità del lettore si
compiace nello smarrirsi.
Per mezzo di “Questi leggiadri
odorosetti fiori”, utilizzato da
Venosa come cardine per fiaccare
il clima ricco di contrasti
“dolorosi” sia sonori che
letterali (in quanto alterna, al
proprio interno, atmosfere
giocose e dolenti), al termine
di questo libro troviamo quattro
madrigali solari, giocosi, che
hanno il compito di restituire
serenità. In vista delle nozze
con la casa d’Este, Gesualdo
dedica “Felice primavera!”: un
esplicito dono ai luoghi della
sposa Eleonora d’Este in quanto
vengono citati i luoghi fioriti
del fiume Po che scorre poco
distante da Ferrara gettandosi
nel mare Adriatico, e “Bella
angioletta” madrigale
esplicitamente commissionato a
Tasso dal duca Federico d’Este
per corteggiare una donna di
nome Angelica. La musica di
Gesualdo in questo libro è il
risultato di una maturazione
precedentemente avviata, non un
primo affacciarsi al mondo
editoriale di un giovane
musicista: è un libro da amare,
da studiare, da approfondire.
Già nella Musurgia Universalis,
1650, Athanasius Kircher cita
proprio il madrigale Baci soavi
e cari come esempio, dicendo che
la musica di Gesualdo deve
essere oggetto di studio per la
sua finezza e maestria. Molti
teorici e musicisti dell’epoca
considerano Gesualdo quale
elemento fondamentale della
svolta espressiva della musica
tardo rinascimentale; lo stesso
Monteverdi lo includeva fra i
musicisti del mutamento radicale
verso la seconda prattica.
Giulio Cesare Monteverdi,
concludendo la difesa del
fratello dall’attacco di
Giovanni Maria Artusi ai
madrigali contenuti nel Quinto
Libro de’ Madrigali scrive: “il
Sig prencipe di Venosa, Emiglio
del Cavagliere, il conte Alfonso
Fontanelli, e il conte di
Camerata et altri signori di
questa eroica scola”. Pubblicare
a Ferrara, entrare in
quell’ambiente culturale, poter
confrontarsi con i più
innovatori dell’arte, doveva
essere per il Principe, la
consacrazione nell’olimpo dei
musici più rinomati del tempo:
quel 1594, fu il momento di
realizzazione di un grande
sogno, isola felice nella sua
impetuosa e turbinosa vita.
Un sentito ringraziamento al
Prof. Giovanni Iudica per averci
donato la bella biografia
dedicata al Principe dei musici
(fondamentale per una conoscenza
del nostro autore, come gli
studi di G. Watkins) nonchè per
i proficui e piacevoli incontri
milanesi sgorgati dalla medesima
passione.
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