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1 LP -
DVB - (p) 1983
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BACH &
VENEZIA - 2 |
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Tomaso Albinoni
(1671-1750) |
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"Sonata a tre,
doi violini e violoncello col
basso e l'organo" op. I n.8 in
si minore (Giuseppe Sala, Venezia
1694) |
--' --" |
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- Grave ·
Allegro · Grave · Allegro |
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Johann Sebastian
Bach (1685-1750) |
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Preludio e Fuga
per clavicembalo, BWV 951 in
si minore |
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"Sonata a
violino, violoncello e cembalo"
op. VI n.6 in la minore
(Estienne Roger 1712) |
--' --" |
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-
Adagio ·
Allegro · Adagio · Allegro |
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"Sonata a tre,
doi violini e violoncello col
basso per l'organo" op. I n.3
in la maggiore (Giuseppe Sala,
Venezia 1694) |
--' --"
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-
Grave ·
Allegro · Grave · Allegro |
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Fuga per
clavicembalo, BWV 950 in la
maggiore |
--' --"
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Presto
(Movimento dalla Sonata a tre
Op. I n.12) in si bemolle
maggiore (Giuseppe Sala, Venezia
1694) |
--' --"
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Fuga per
clavicembalo, BWV 946 in do
maggiore |
--' --"
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ACCADEMIA CLAUDIO
MONTEVERDI VENEZIA |
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- Jean Estournet, violino
barocco |
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- Jean Marie
Coatantiec, violino barocco
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- Thérèse Pollet, violoncello
barocco
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- Hans Ludwig
Hirsch, clavicembalo,
organo positivo e direzione |
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Strumentario: |
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Violini: copie
costruite secondo Stradivari
da Franco Giraud, Firenze
1979/80. |
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Violoncello: Andrea
Castagneri, Paris 1750 ca. |
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Clavicembali: |
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1. (a due tastiere
con unione a mano, disposizione 8',
8', 4'): costruito da William Dowd,
Parigi 1978, secondo un originale di
Nicholas e François Blanchet 1730. |
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2. (a due tastiere
con unione a mano, disposizione 8',
8', 4'): costruito da Georg Zahl,
München 1977, secondo un originale
di Pascal Taskin, Paris 1769. |
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Organo positivo
barocco: costruito da Francesco
Zanin, Codroipo-Udine 1979, secondo
un originale anonimo della
tradizione sei-settecentesca
dell'Austria meridionale. |
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Luogo
e data di registrazione |
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Villa
Emo, Salone dello Zelotti, Fanzolo
Veneto (Italia) - 2-4 ottobre 1982 |
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Registrazione:
live / studio |
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studio |
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Producer /
Engineer |
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Salvatore
Caruselli / Gabriele Prediger /
Bernhard Mahne
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Prima Edizione
LP |
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FREQUENZ
- 1 DVB - (1 lp) - durata --'
--" - (p) 1983 - Digitale |
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Prima Edizione
CD |
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Note |
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Copruduzione
ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE
CLAUDIO MONTEVERDI con il concorso
della Regione Veneto.
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Tomaso
Albinoni, dopo Vivaldi il più
importante compositore
veneziano, al quale compete
un ruolo significante nella
produzione bachiana di
“musica su musica”. Le
possibilità
di definire un rapporto tra
queste due impari grandezze
spaziano dal campo della
conoscenza a quello della
supposizione, arrivando fino
all’enigma, proprio come
quello che ci troviamo di
fronte nel caso del
manoscritto autografo di
Bach (BWV Anh. 23,
Bach - Archiv di Lipsia N.
301) di un basso continuo
cifrato per il Concerto in
mi minore op. II n.
4 di Albinoni.
Per contro la situazione a
riguardo della Sonata op. VI n.
6 dai ”Trattenimenti
armonici per camera” per
violino e basso continuo è del
tutto chiara. Ernst Ludwig
Gerber, al quale dobbiamo un
"Nuovo lessico
storico-biografico
dei compositori” (Lipsia
1812-14) ci ha lasciato un
manoscritto di appartenenza
del padre, risalente al
tempo in cui studiava a
Lipsia (1724-27), sul qua e
appare la seguente dicitura:
”realizzato da Heinric Nic.
Gerber e corretto di suo
pugno da Sebastian Bach". Le
dieci correzioni in tutto
degli usitati quattro
movimenti danno gli ultimi
tocchi a questa
realizzazione di Heinrich
Nicolaus Gerber di per se già
valida e molto scorrevole,
aggiungendo alcuni lampi di
genio a un lavoro pieno di
estro. E' evidente che
l'allievo era ben progredito
nel modo di trattare il
basso continuo in accordo
col gusto del maestro. Una
realizzazione
”all'italiana”, per esempio
secondo "L’armonico pratico
al cimbalo” (Venezia 1708)di
Francesco Gasparini, sarebbe
risultata sicuramente
diversa, nell'insieme meno
ligia alle regole, Bach
esige che l'allievo elabori
tutto il lavoro a quattro
voci reali: a lui importa
soprattutto la loro
inappuntabile condotta.
Sarebbe ossibile senza nulla
cambiare, senza dover nulla
modificare, affidarlo a un
quartetto di archi.
L'armonia di base viene
differenziata e accentuata
con innumerevoli passaggi,
ritardi e dissonanze che
acutizzano la tensione
armonica, L'attenzione di
"Bach-Gerber” sembra essere
indirizzata particolarmente
verso la voce
superiore, che acquista una
propria vita
contrappuntistica
nell'ambito della parte di
violino e il basso. In
questa delimitazione viene
tracciata una terza linea,
che a brevi tratti coincide
con la voce del violino (Incipit
2° e 3° movimento) per poi
subito distaccarsene.
Nascono in tal modo dei
raddoppiamenti, che sono
estranei al "gusto
italiano". Ma che cosa
sarebbero le regole senza
eccezioni!
Quasi troppo
”regolare” la Fuga in do
maggiore BWV 946 per
clavicembalo. Il
tema è
dedotto dal movimento finale
(Presto) della Sonata op. I n.
12. Michael Talbot
(“Albinoni”, Zurigo 1980) lo
giudica in modo
imprevedibilmente benevolo.
Egli scrive: "I movimenti
veloci dell'op. I servirono
ad Albinoni come modelli per
composizioni fugate fino
all'op. IX. I soggetti si
configurano secondo un tipo
caratteristico. Essi aprono
sempre sulla tonica o sulla
dominante della
tonalità
fondamentale e finiscono
sulla tonica o sulla
mediante! Soprattutto
nell'op, I sono di carattere
per lo più
lirico e di limitata
estensione, ascendono dolcemente
per poi dolcemente ricadere
(pag. 84). Subito dopo
Talbot cita il tema in
questione e si riferisce al
”sincopare come forza
motrice” della quale
Albinoni si serve
efficacemente. Sorprendente
come Albinoni tratta questo
tema, di per se piuttosto
modesto: esso guadagna di
gran lunga nell'ultima
anzichè nell'iniziale
esposizione. Fra queste si
sviluppa un breve, pregnante
movimento, una specie di
“Rondò
con refrain fugato”, così lo
definisce molto felicemente
Talbot.
Quando poi parla
specificatamente
dell'acquisizione da parte
di Bach dei temi di
Albinoni, egli arriva alla
seguente, persuasiva
conclusione: “Spitta
aveva ben ragione quando
asseriva che Albinoni
"non
si dava alcuna pena in molti
sviluppi".
E' il caso del secondo
movimento dell'op. I n. 3
costruito con uno dei tre
soggetti, tutti dall'op. I di
Albinoni, presi in prestito
da Bach per delle estese
Fughe per clavicembalo da
lui composte all'inizio
del suo soggiorno a Weimar
(1708-1717). Ma il confronto
fatto da Spitta tra i
movimenti di Bach e di
Albinoni - naturalmente a
tutto vantaggio del primo -
parte da premesse ambigue.
In
prirno luogo Albinoni
scrisse dei movimenti che
appartenevano a un ciclo
quadripartito, nel quali la
Fuga era solo uno dei tanti
mezzi stilistici e non fine
a se stessa, invece Bach
scrisse dei movimenti
indipendenti, la cui unica
ragione d'essere era l'impiego
della tecnica della Fuga. Si
può
persino sostenere che le
Fughe di Albinoni erano
all'altezza della loro
rnodesta funzione, così
come le Fughe di Bach della
loro ben piii ambiziosa
pretesa” (pagg. 86/ 87).
Sicurarnente ciò
appare evidente dalla Fuga
in do maggiore. La questione
se ne sia autore Bach stesso
o uno dei suoi allievi, alla
luce di questa
analisi passa in secondo
piano. Talbot richiama
giustamente l'attenzione sul
significato del ciclo a
quattro movimenti, un motivo
in più
per anteporre le complete
Sonate da chiesa di Albinoni
(op. I
n. 3 e op. I n. 8)
alle relative Fughe in la
rnaggiore (BWV 950) e in si
minore (BWV 951). Esse
meritano una posizione di
assoluto privilegio
qualitativo non solo
nell'ambito della prima
raccolta pubblicata nel
1694, ma anche in seno
dell'opera omnia a noi nota.
Bach prese il suo tema
ogni volta
dal secondo movimento,
e lasciò
entrambi
i ”soggetti” nella tonalità
originale. Il tema in
la maggiore
corrisponde essenzialmente
ancora al tipo descritto da
Talbot: una linea ascendente
e discendente, che riceve
una incalzante dinamica
dagli accenti sincopati.
Solo che “salita e discesa”
sono, a paragone del tema in
si bemolle
rnaggiore, non più
graduali e strettamente simmetriche,
ma saltellanti,
asimmetriche, e tuttavia
eleganti e con un’impronta
personale. Bach riprende
l'elemento giocoso,
anch’egli sa che deve
puntare meno
sullo ”sviluppo” quanto
sulle ”ripetizioni". Ottiene
così una
sciolta conversazione, che
conclude con un grosso gesto
retorico, una grandiosa coda
a mo' di Toccata.
Un’osservazione
a proposito del Grave in fa
diesis minore, il terzo movimento
della Sonata in la maggiore
di Albinoni. Diciotto
battute di rara compiutezza,
un canto
veneziano la cui poesia,
forza evocativa, purezza e
melanconia suscitano il
ricordo di Friedrich
Nietzsche, il quale in modo
tanto sensibile quanto
irrazionale eleva 'musica' e
'Venezia' a sinonimi.
Per quanto riguarda la
Sonata in si minore op. I n. 8,
non è
forse un “grosso colpo”, ciò
nonostante è
interamente
soppesata, ben rifinita e di
artigianale maestria.
ll soggetto del secondo movimento,
che Bach scelse da
elaborare, si allontana dal
solito tipo, costituisce
un’eccezione alla regola.
Due salti di quinta e un
salto di quarta misurano lo
spazio tonica-dominante, con
una nota di passaggio si
raggiunge il punto
culminante (decima),
asimmetricamente anticipato
sul debole
levare, poi una lunga,
cromatica discesa nella
risoluzione
dominante-tonica.
Sorprendente l'atmosfera
nella quale Albinoni vede
interpretate le sue Fughe:
allegro, gaio, e quindi
veloce; una prescrizione che
si impone in modo naturale
negli
intermezzi diatonicamente impostati
e che, a tempo stesso,
dimostra come Albinoni
negli sviluppi volesse non
tanto esprimere riflessi
emotivi, quanto
mostrare con soddisfazione
le sciolte soluzioni
del problema
contrappuntistico. Bach
rinuncia a una prescrizione
esecutiva. Fa qualcosa
d’altro: premette alla Fuga
in si minore un Preludio di
struttura tripartita, la cui
espressiva, precisamente
calcolata gestualità
prende in prestito elementi
di Toccata, li riunisce con
virtuosistica
improvvisazione, sempre più li
addensa armonicamente
nell'”arpeggio” e getta così il
ponte alla Fuga. Questa
“premessa’ (BWV 923) conduce
subito ben lontano dalla più o
meno "allegra" atmosfera di
Albinoni, conduce sugli
altipiani di una retorica
sonora, carica di emozione,
satura di espressione.
L'astratta bellezza delle
strutture polifoniche
si trasforma nella Fuga,
specialmente nella sua versione
finale, in un’affermazione
concreta, concettualmente
non determinabile in modo
univoco, certo, ma che
suscita unanime consenso
emozionale in quasi tutti
gli ascoltatori. Nel suo
primo tentativo (BWV 951a)
Bach rompe i limiti di
Albinoni, ma solo nella
seconda, definitiva versione,
li supera del tutto.
Nel ”Doctor Faustus” Thomas
Mann con la sua consueta
precisione ha formulato un
ragionamento suggerito da
Adorno: ”In un’opera c'é
molta apparenza, si potrebbe
dire di più
e afferrnare che essa
è
apparente in sé stessa, in
quanto 'opera'.
Essa ha l’ambizione di far
credere che non è
stata fatta, ma che sia nata
e scaturita così
come Pallade Atena nel pieno
splendore della sua
cesellata armatura alla
testa di Giove. Ma questa è
illusione. Mai un'opera è
sgorgata così.
Essa è
ben lavoro, lavoro
’d'arte’".
Sull'esempio delle Fughe in
si minore di Albinoni/ Bach
possiamo ricostruire questo
lavoro: sia nella versione
ancora attaccata alla Sonata
da chiesa Veneziana, sia nel
primo tentativo dell'allora
"organista
di corte
e musico da camera” di
Weimar, sia nella configurazione
ultima, l’opus perfectum.
Lavoro - Laboratorio
- Capolavoro. Un felice
salto triplo.
Hans
Ludwig Hirsch
(Versione
italiana di Roberta Reganati)
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