ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI


1 CD - GMD 2/3 - (c) 1988

I MAESTRI DELLA MUSICA









Ludwig van BEETHOVEN (1770-1827)
Concerto per Violino e Orchestra in Re maggiore, Op. 77

36' 45"


- Allegro ma non troppo
21' 29"

1

- Larghetto
8' 51"

2

- Rondò. Allegro
6' 25"

3

Sinfonia N. 1 in Do maggiore, Op. 21

20' 49"


- Adagio molto. Allegro con brio 6' 31"

4

- Andante cantabile con moto
6' 07"

5

- Minuetto: Allegro molto e vivace
3' 50"

6

- Finale: Adagio. Allegro molto e vivace
4' 21"

7





 
New York Philharmonic Orchestra / Jascha Heifetz, Violino / Dimitri Mitropoulos, Direttore New York - 12 Febryary 1956
New York Philharmonic Orchestra / Dimitri Mitropoulos, Direttore New York - 25 November 1951
 






Manufactured
Tecval Memories SA (Switzerland)

Prima Edizione LP
Movimento Musica | 01.005 | (p) 1981
Melodram | Mel 233 | (p) 1985 ?


Edizione CD
De Agostini | GMD 2/3 | 1 CD - durata 57' 58" | (c) 1988 | ADD

Note
-












Beethoven (1-3)

 

Beethoven (4-7) ?
CONCERTO IN RE MAGGIORE
PER VIOLINO E ORCHESTRA OP. 61
Questo concerto, nato nel 1806 e dedicato a Stephan Breuning, allievo di Beethoven, era destinato all'esecuzione del noto violinista Franz Clement, che vi si cimentò per la prima volta il 13 dicembre 1806 al teatro An der Wien.
Nel primo movimento, Beethoven raggiunge la completa conciliazione tra i principi del concerto e quelli della forma-sonata. L'inizio fa presagire un seguito ricco di avvenimenti. Cinque note sommessamente ribattute dai timpani: sembrano nulla più che un segnale d'apertura, una formula convenzionale per mettere in moto il discorso; invece la ritroveremo lungo tutto il pezzo come elemento essenziale, come idea ricorrente, che Beethoven rivestirà di varie forme cantabili. Il tema principale (tema a) s'innesta subito sull'ultima nota dei timpani, eseguito dai legni, oboi, clarinetti e fagotti. Tacciono gli archi, che nella musica dell'età classica avevano il ruolo di protagonista, assumendo di norma la realizzazione dei temi principali. Proprio il silenzio degli archi e, in loro vece, la sonorità per così dire sussidiaria dei legni ci dicono che siamo ancora ai preamboli del discorso vero e proprio. Agli archi Beethoven lascia il compito provvisorio di riprendere il motivo dei timpani, e di concludere il tema. Questo modello si ripete fino alla fine della prima esposizione: ai legni il compito di esporre un'idea nuova, agli archi quello di concluderla. Ciò avviene sia nella zona di ponte tra il tema a e il tema b, sia nella presentazione dello stesso tema b. Il ponte interrompe la compostezza del canto con un'agitazione sottolineata dall'intensità ff (fortissimo) e dagli inquieti ribattuti degli archi. Se l'espansivo tema b sembra ripristinare il pur vibrante ordine iniziale, l'equilibrio ormai è stato spezzato, e ce ne accorgiamo alla conclusione di b, di competenza, s'è visto, degli archi. Questi non svolgono (come facevano con a) il tema, semplicemente lo ripetono; ma con una variante decisiva: non più nel solare modo maggiore dell'inizio, bensì nel più introverso modo minore. Il segnale delle cinque note (ora ribattute dagli archi) avvia la coda dell'esposizione, una coda che la fantasia di Beethoven sottrae allo stereotipo con l'imprevista pennellata di un motivo nuovo, completamente giocato, proprio alle ultime battute, tra violoncelli e contrabbassi da una parte, legni e violini dall'altra.
In questi primi minuti di musica è già in nuce la vicenda che occuperà l'intero primo movimento e che può riassumersi nell'alternanza del modo maggiore con il modo minore e nell'associazione del modo con la scelta di certi timbri dell'orchestra: i fiati annunciano il tema in maggiore e gli archi o il solo violino lo ripetono in minore. La struttura tipica del concerto vuole che l'esposizione sia ripetuta dal solista, e così avviene. Il violino si presenta sulla scena con una singolare gestualità da istrione. Balza dal suono più grave al sol acuto, ridiscende con un rotolio di morbide terzine, per guizzare infine nella regione sovracuta. E proprio lì, in una zona sonora così spiazzata rispetto a quella più rassicurante della regione centrale (la regione della voce umana, per intenderci), il violino ripropone il tema a. Il ruolo indiscusso di protagonista è mostrato dalla libertà con cui fiorisce il tema, sopra la ripetizione fedele che invece ne fanno i legni. Il dialogo tra il violino e l'orchestra continua con una stupefacente varietà di soluzioni lungo tutto il primo movimento: nella coda, che Beethoven ampiamente dilata a concludere la riesposizione; nello sviluppo, in cui l'orchestra accetta il ruolo umile di comprimaria alle esuberanti effusioni del solista; nella ripresa, dominata da una vigorosa riorchestrazione dei temi e da un dialogo fitto e ininterrotto tra i due interlocutori.
Il secondo movimento, Andante, è incentrato sul canto melodioso del violino che, dopo le quattro ripetizioni del tema da parte dell'orchestra, si effonde, sempre più esaltato dal progressivo diradarsi delle altre voci. Il Rondò conclusivo interrompe bruscamente l'incanto dell'Andante con l'irruzione di una danza energica e nello stesso tempo dolce e graziosa. Da qui il solista riparte come rinato ad una nuova vita e conclude il concerto in perfetta comunione con l'orchestra.
Maria Luisa Merlo

SINFONIA N. 1 IN DO MAGGIORE
La Sinfonia n. 1, dedicata al barone Gottfried van Swieten, fu presentata al pubblico in un concerto al Teatro Imperiale di Vienna il 2 aprile 1800. La composizione, che concludeva il concerto, non fu accolta con particolare favore dagli ascoltatori, che invece nella stessa serata manifestarono, e con vivacità, la loro predilezione per il Settimino op. 20 (un lavoro del quale Beethoven stesso disse poi al suo favorito allievo Carl Czerny: «Non so spiegarmi perché piaccia tanto»). Dei sette pezzi in programma due erano di Franz Joseph Haydn e uno di Wolfgang Amadeus Mozart. Dunque il nuovo arrivato, introducendosi cautamente nel regno della sinfonia, riservato allora ai due sunnominati monarchi, con sagace preveggenza aveva posto il suo audace tentativo sotto l'augusta protezione di Haydn e di Mozart. Non gli furono però risparmiate le critiche: la “Gazzetta di Lipsia” trovò che «nella Prima Sinfonia di Beethoven vi era Haydn spinto alla bizzarria fino alla caricatura», e il maestro, irritato, definì quei giornalisti «i buoi di Lipsia».
Alexander Oulybycheff affermava: «Sarebbe una meraviglia se Haydn e Mozart non fossero vissuti prima di lui
». Hippolyte Barbedette vedeva il lavoro «sotto l'impero di Mozart». Infine Hector Berlioz menava giù dei gran fendenti scrivendo: «L'idea poetica, così grande e così ricca nella maggior parte delle opere seguenti di Beethoven, qui manca affatto. È musica mirabilmente combinata, chiara, viva, ma poco espressiva, fredda e talvolta meschina, come, ad esempio, nel rondò finale, vera puerilità musicale. In una parola: qui Beethoven non c'è».
A quel tempo per tutti era articolo di fede che il vertice della forma sinfonica era stato raggiunto da Mozart nella Sinfonia n. 41 K. 551 'Jupiter' e da Haydn nella Sinfonia n. 104 'London'. Dopo questi capolavori assoluti non avrebbero potuto esserci, per i fedeli dell'ancien régime, che un silenzio ammirato e una devota contemplazione. A questo punto va rilevato che se la Prima di Beethoven nella disposizione e nel rapporto delle parti presenta certe modalità che furono effettivamente inventate e codificate da Haydn e da Mozart, essa però contiene in più tutto quello che vi ha messo Beethoven: un quid che ha modificato idealmente il valore di quanto era di derivazione haydniana e mozartiana e lo ha trasformato facendolo diventare di pura pertinenza dello spirito beethoveniano. Scrive Guido Pannain:
«È giusto dire che Beethoven è Beethoven anche nella Prima Sinfonia. Un Beethoven che riflette l'uomo nuovo del Romanticismo, il quale impegna nell'arte la sua intiera personalità». Se proprio si vuol conoscere un lavoro beethoveniano di stretta obbedienza haydniana bisogna rifarsi a quella Sinfonia di Jena che deve il suo nome al fatto di essere stata rinvenuta nel 1911 negli archivi del Collegio Musico di Jena. Beethoven l'aveva scritta a Bonn, ancora ventiduenne, ma non 1'aveva poi mai inserita nel catalogo delle sue opere.
Per quanto riguarda la Prima Sinfonia, va detto comunque che il suoaspetto meno originale si individua nel quarto tempo, Allegro molto e vivace, che si mantiene scrupolosamente entro i confini tracciati da Haydn all'espressione e perciò diventa anche banale, come giustamente osservò Berlioz. La parte più nuova e personale è invece costituita dal terzo tempo, un Minuetto che presenta già il carattere di uno di quegli scherzi prodigiosamente animati da giovanile impazienza e da impetuoso entusiasmo che saranno le sigle trionfali delle future sinfonie del maestro. Una corsa vertiginosa verso la conclusione, un vortice di vitalità che ha un'unica breve pausa nel Trio, basato sul contrasto timbrico dei fiati (oboi, clarinetti, fagotti, corni) con gli archi. Esso, secondo Massimo Mila, è «un purissimogioco di volumi orchestrali e di geometrie sonore
».
In definitiva, se il tono generale di questa sinfonia può far pensare - come ha sottolineato Eduardo Rescigno - al Mozart della Sinfonia in sol minore n. 40 K. 550 o a un Haydn 'minore' - e ciò soprattutto nel primo e nel secondo tempo - c'è però in tutta la composizione «qualcosa di assolutamente nuovo ed è la diversa funzione che in questo discorso orchestrale assume il ritmo. Un ritmo sempre definito e scattante che sembra voler costringere la musica entro le sue leggi implacabili
». Una radiosa anticipazione dei futuri capolavori.
Silvestro Severgnini