1 LP - 33QCX 10381 - (p) 1960
1 LP - 33CX 1727 - (p) 12/1960
1 LP - 35732 - (p) 1960

Maurice RAVEL (1875-1937)


Quartetto in fa maggiore
30' 54"
- Allegro moderato 9' 09"

- Assai vivo 6' 50"

- Molto lento
9' 09"





- Vivo e agitato 5' 46"





Wolfgang Amadeus MOZART (1756-1791)


Quartetto in sol maggiore, K. 156
15' 12"
- Presto 3' 20"

- Adagio 7' 18"

- Minuetto e Trio 4' 34"





 
QUARTETTO ITALIANO
- Paolo Borciani, violino I
- Elisa Pegreffi, violino II
- Piero Farulli, viola
- Franco Rossi, violoncello
 






Luogo e data di registrazione
Milano (Italia) - novembre 1959

Registrazione: live / studio
studio

Producer / Engineer
-

Prima Edizione LP
Columbia (Italia) - 33QCX 10381 - (1 LP) - durata 46' 06" - (p) 1960 - Mono
Columbia (United Kingdom) - 33CX 1727 - durata 46' 06" - (p) 1960 - Mono
Angel Records (USA) - 35732 - durata 46' 06" - (p) 1960 - Mono


Note
-












Il Presente Quartetto fa parte di una collana di sei, composti da Mozart durante il suo terzo viaggio in Italia; viaggio che lo condusse a Milano per musicare e mettere in iscena l'opera Lucio Silla, commessagli l'anno prima dai sovraintendenti al Teatro Ducale. Il terzo soggiorno nella terra di Scarlatti, di Vivaldi, di Tartini, di Pugnani, di Locatelli, di Galuppi, di Sammartini, rivelò decisamente al giovane salisburghese lo spirito della musica italiana e coronò in maniera definitiva le esperienze già da lui acquisite a Londra attraverso i contatti con l'italianizzante Christian Bach, con Felice Giardini, con Pier Domenico Paradisi e poi approfondite durante le "calate" a Milano, a Bologna, a Roma, a Napoli, fra il 1769 e 1771. Più che nel campo del melodramma dove tutti, in fondo, scrivevano allora "all'italiana", l'influsso latino diventò palese nel campo della musica istrumentale, nelle Sinfonie, nelle Sonate da chiesa, nelle Sonate per clavicembalo, nei Divertimenti e nei Quartetti. Una nuova luminosità, una nuova grazia, una nuova snellezza ed armonia di forme apparvero a fianco della nativa, inesauribile fantasia e le conferirono uno slancio più ardito e sicuro.
Dal punto di vista strettamente tecnico, il piacere di certe cadenze ornamentali, la tenerezza delle linee melodiche e l'uso di un contrappunto libero, sinuoso ma estremamente leggero, si aggiunsero ai valori già in atto. Del resto fu proprio in Italia, ed esattamente a Lodi, durante una sosta della diligenza, che il prodigioso ragazzo aveva scritto il suo primo Quartetto per archi, nell'anno 1770; ed è in Italia ch'egli aggiunse, a quel primissimo saggio, la serie di cui parlammo in principio.
A voler esser giusti, il genere quartettistico era praticato allora più all'estero che non nella nostra penisola così, la decisione di Mozart ebbe un po' l'aria di voler immettere in una forma non particolarmente italiana gli andamenti e, più ancora, il genio segreto della musica italiana. Ebbe l'aria di voler esporre a nuova luce le conquiste tecniche e estetiche di Tartini, di Locatelli, di Giardini, di Giovan Battista Sammartini. Il primo Quartetto di tutto il gruppo venne creato in circostanze quasi identiche a quello che videro nascere lo storico Quartetto di Lodi; venne fuori, cio è dire, a Bolzano o a Verona, come mezzo ideale per passare il tempo fra una coincidenza e l'altra delle cosidette "sedie postali". Il secondo, quello in sol K.156, vide invece la luce a Milano o nella campagna milanese, mentre le prove del Lucia Silla andavano per le lunghe e il maestrino, durante la giornata, aveva molte ore libere da impiegare in altri lavori. Codesto Quartetto, al pari dei suoi confratelli, è suddiviso in tre soli "movimenti" e, secondo una formula assai praticata dagli italiani, (Sammartini in testa) terminò con un Tempo di menuetto anzichè con un Allegro più o meno condotto secondo lo schema di Rondò. L'Adagio (e anche questo particolare si ricollega con un procedimento caro ai maestri d'Italia) si presenta nel mi minore, ossia nel somigliante minore di sol maggiore. Pieno di vita, spumeggiante di felicità giovanile è il Presto iniziale; dove campeggiano tre idee fondamentali, più un'idea di coda, le quali, più che concatenarsi fra loro attraverso "sviluppi" e genuinazioni di incisi tematici, si susseguono secondo l'impulso della libera fantasia. Solo alla "seconda idea" Mozart imprime qualche evoluzione, mostrando così, di voler attenersi alle consuetudini degli autori italiani, quasi sempre più attratti dal secondo che non dal primo tema. Naturalmente, ciò che più conta sono l'invenzione e l'accento del pezzo, quel suo passo franco e gaudioso, quella sua eloquenza rapida e trillante. L'Adagio, quasi intieramente cantato dal primo violino dall'inizio alla fine, richiama un po' l'arcata sostenuta di certe Arie d'opera seria italiana, ma ha un patetismo suo personalissimo, meraviglioso quando lo si riferisca ad un ragazzo di sedici anni. Il Tempo di Menuetto consta in realtà di due Minuetti, l'uno in maggiore e l'altro in minore, con ripresa finale del primo. Anche in simile struttura e, piu ancora, nella condotta di tutto l'insieme, dove l'abbandono melodico predomina in confronto all'incisività ritmica, noi possiamo riconoscere un segno ulteriore dell'influenza italiana.
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Il Quartetto per archi fu la prima composizione di Ravel che fece convergere l'attenzione del mondo musicale sul giovane maestro di Ciboure. Presentata al pubblico della Société Nationale di Parigi il 5 marzo 1904, l'opera ottenne un grande successo e Debussy scrisse subito all'autore: "Nel nome degli dei della musica ed in nome mio proprio, La supplico di non cambiare una sola nota nel Suo Quartetto". L'autore medesimo, giunto, al colmo del magistero tecnico e arricchito di infinite esperienze, predilesse sempre il Quartetto per la sua freschezza d'invenzione e la sua giovanile tenerezza.
Eppure, un lavoro così palpitante, così felice nel suo sviluppo e nel suo modo di discorrere, venne scritto quando l'autore si trovava ancora al Conservatorio di Parigi, allievo di composizione nella classe di Gabriel Fauré. E' anzi noto che il primo "tempo", l'Allegro moderato, presentato da Ravel in una sessione d'esami, ottenne da un giudice la classificazione "pénible" e dal direttore del Conservatorio, Théodore Dubois, l'appunto "manca di semplicità e di chiarezza". Questo esito scolastico del Quartetto, quest'esito così poco favorevole del giovane musicista, non fu certo estraneo alla successiva esclusione di Ravel dai cosidetti "Premi di Roma".
Magrado le inìziali traversie, il Quartetto restò un modello di spontaneità, un esemplare di buona scrittura in tutta la produzione del grande maestro e mostrò di contenere già in nuce tutte le caratteristiche della sua originale personalità. In primo luogo, quel nuovo "senso modale" che, pur senza sovvertire la tradizione di tonalità maggiore e minore, toglie spesse volte alla tonica e alla cadenza di tonica la loro perentorietà, la loro rigida alternativa e vi sostituisce, se così possiamo dire, un aggiornamento di conclusioni definitive e troppo categoriche. In secondo luogo, un gusto dei timbri più sottile di quanto non si avesse prima; specie in riguardo agli strumenti più gravi (la viola ed il violoncello) che assai frequentemente si spingono nel registro acutissimo, provocando un'impressione di intensità quasi morbosa, l'ìmpressione di trovarci sopra un limite non ancora oltrepassabile. Con tutto questo, nel Quartetto in fa non c'è nulla che non sia immediatamente percepibile, che non risulti terso, che non concreti subito e senz'ombra di dubbi le intenzioni del creatore. Sotto tale puntu di vista, potremmo dire che si tratti di un prodotto mozartiano.
Il primo "tempo", condotto secondo il diagramma del classico Allegro di Sonata, consta, così, di due temi principali; entrambi, però, affini per l'affettuosità, il calore e, insieme, la serenità dell'accento. Come spesso avviene nella musica di Ravel, la grazia un poco languida, un poco capricciosa e infantìle è percossa, qua e là, da folate rabbrividenti: ombre o incertezze che passano sopra un cielo chiaro e pulito. Il secondo "tempo" (Très rhytmé) ci mette avanti un Ravel innamorato della danza come tutti i figli della razza basca cui egli apparteneva. Codesta specie di scherzo, alterna un movimento tambureggiante, ottenuto con il pizzicato di tutti quattro gli istrumenti, a un movimento più espansivo cantabile, preferibilmente scambiato fra il primo violino e la viola. Nel centro del pezzo troviamo un istante di raccoglimento pensoso: una pausa fra tanta vivacità, segnata da armonie cromatiche e da interiezioni melodiche del violoncello e della viola. Nel terzo "movimento" (Très lent) emergono il lirismo e la malinconia dei maestro, uniti al suo nostalgico desiderio di qualcosa remoto ed arcaico, profumi, ormai spenti, di età non mai conosciute, ma vagheggiate nella fantasia come consolazione e liberazione. Il finale (Vil et agité) è tutto tenuto nell'inconsueto ritmo quinario, tranne quando si presenta la seconda idea, annunciata e brevemente sviluppata in "tre quarti". Rapido, anelante, estremamente mobile per l'impiego assiduo del "tremolo", questo "movimento" corre via con l'incanto, la labilità, l'umore un po' instabile dei mattini di primavera
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Giulio Confalonieri