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1 LP -
33QCX 10380 - (p) 1960
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1 LP -
33CX 1722 - (p) 10/1960 |
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1 LP -
35733 - (p) 1960 |
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Robert
SCHUMANN (1810-1856) |
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Quartetto in la
maggiore, Op. 41 n. 3 |
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--' --" |
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Andante espressivo -
Allegro molto moderato |
--' --" |
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Assai agitato
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--' --" |
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-
Adagio molto
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--' --" |
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Finale. Allegro molto
vivace |
--' --" |
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Igor STRAVINSKY
(1882-1971) |
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Tre pezzi per quartetto
d'archi (1914) |
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6' 36" |
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- [Danse] |
1' 08" |
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- [Excentrique] |
2' 00" |
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- [Cantique] |
3' 28" |
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QUARTETTO
ITALIANO |
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- Paolo
Borciani, violino I |
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- Elisa Pegreffi,
violino II |
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- Piero Farulli,
viola |
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- Franco Rossi,
violoncello |
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Luogo
e data di registrazione |
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Milano
(Italia) - novembre 1959 |
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Registrazione: live /
studio |
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studio |
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Producer / Engineer |
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Prima Edizione LP |
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Columbia
(Italia) - 33QCX 10380 - (1 LP) -
durata --' --" - (p) 1960 - Mono
Columbia (United Kingdom) - 33CX
1722 - durata --' --" - (p) 1960 -
Mono
Angel Records (USA) - 35733 -
durata --' --" - (p) 1960 - Mono
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Note |
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Nella vita
artistica di Schumann noi
riconosciamo due ben distinti
periodi. Il primo, situabile
grosso modo, fra il 1830 ed il
1839 è un periodo di giovanile
abbandono, un periodo di sublime
dilettantismo, durante cui
Schumann s'imbeve di letture
disparate, si accende di
entusiasmi brucianti e di odi
inflessibili; si convince di
avere una missione da compiere e
combatte con ardente foga
polemica per attuarla. Da questo
periodo, che pone il giovane
maestro quasi un po' ai margini
della musica ufficiale, escono
le famose pagine pianistiche dei
Popillons, dei Carnaval, della
Fantasia, dei Pezzi fantastici,
delle Scene infantili, delle
Danze dei Figli di David e delle
Novellette.
L'amore per Clara è, allora, non
soltanto un rapimento dell'anima
ma altresì una lotta quotidiana
contro l'ostinato padre della
fanciulla. Arriva il 1840; gli
ostacoli sono finalmente
superati e Robert può sposare
l'oggetto del suo grande amore.
Da questo punto la sua
prospettiva creatrice sembra
mutarsi, e, al posto delle
spontanee confessioni di prima,
tutte affidate alla voce di un
amico perfetto com'è il
pianoforte, al posto di un
superbo oblio, se non disdegno,
per le pratiche più regolari
della musica, noi troviamo
l'impegno di allinearsi con i
maestri eccelsi che l'hanno
preceduto e che hanno fondato
l'impero della nuova musica
tedesca: Haydn, Mozart,
Beethoven e Schubert. Un ordine
inatteso va subentrando nel
lavoro di Schumann; cosicchè, se
il 1840 si trova dedicato quasi
esclusivamente alla composizione
di lieder per canto e
pianoforte; se il 1841 è l'anno
delle due Sinfonie in si bemolle
e in re minore; il 1842 è l'anno
della musica da camera: tre
Quartetti per archi, un
Quintetto e un Quartetto per
archi e pianoforte. Già in
antecedenza, il maestro aveva
scritto a Clara Wieck che il
pianoforte non poteva più
bastare al suo sterminato
desiderio di esprimersi con la
musica: l'8 aprile del 1842
aveva chiesto ell'ediore
Breitkopf di mandargli tutto le
partiture dei Quartetti di
Mozart e di Beethoven; infine,
nel suo "libro di casa" aveva
annotato: "28 aprile: studiati i
Quartetti di Beethoven; 6
maggio: studiati i Quartetti di
Haydn; 2 giugno: schizzi per un
Quartetto mio; 4 giugno:
incominciato un Quartetto in la
minore". Il 22 luglio non
soltanto il primo Quartetto in
la minore, ma anche il secondo
in fa maggiore e il terzo in la
maggiore (tutti e tre destinati
a formare l'opera 41) eran
compiuti. Con questi tre lavori,
Schumann andava ben oltre i
tentativi e gli abbozzi del 1838
e del 1839, ponendo, anche nel
difficile campo delle musica per
quattro archi solisti, l'istanza
di una personalità singolare.
Dei tre Quartetti op.41, il
secondo ed il tezo son
certamente i più felici, per
saldezza di scrittura, per
importanza e varietà di idee,
per sostenutezza del dialogo e
per originalità di impianto.
Il primo "tempo" del Quartetto
in la maggiore (allegro molto
moderato, preceduto da una breve
introduzione di sette battute)
si sviluppa intorno a un
intervallo di "quinta
discendente" inteso come parte
costitutiva dell'accordo di
"settima di secondo grado".
Codesta specie di sigla
melodico-armonica (identica e
quella che troviamo nel primo
"movimento" della Sonata per
pianoforte di Beethoven, op.31
n.3) conferisce all'apertura del
Quartetto (sia nell'introduzione
Andante espressivo sia
nell'Allegro molto moderato) un
accento interrogativo, una
specie di esitazione, tanto più
evidenti quanto più il discorso
corre via, in seguito, eloquente
e fecondo di immagini. La
seconda idea, particolarmente
espansiva, viene esposta dal
violoncello nel registro acuto,
ripresa dal primo violino e
quindi amplificata dell'unione
di quei due strumenti. Gli
"sviluppi" che precedono la
"ripresa" son piuttosto concisi
e vengon ricordati dalla
figurazione di "quinta
discendente". Il secondo
"tempo", Assai agitato, è un
vero e proprio Scherzo, condotto
in forma di variazioni sopra un
tema di sedici battute, anelante
e rotto da sincopi. La prima
variazione fluisce con vena
gagliarda; la seconda, a
"entrate imitative", sembra
ironizzare un pochino la pratica
del contrappunto accademico; la
terza é una specie di
"siciliana", raccolta e piena di
scambi cantabili tra i quattro
strumenti; la quarta, che ha
tutta la foga e l'irruenza dello
Schumann primitivo, si placa in
una coda quasi patetica, resa
assai suggestiva da una brusca
modulazione enarmonica da fa
diesis maggiore a mi bemolle
maggiore. L'Adagio molto parte
da una larga frase melodica, di
piglio beethoveniano; quindi si
articola ritmicamente attorno ad
un disegno del secondo violino e
si evolve in dialoghi serrati
fino alla "ripresa" del motivo
iniziale. Nel "tempo" di
chiusura (Allegro molto vivace)
il tema principale contiene un
accenno all'accordo di "settima
di secondo grado" che
caratterizzava la "prima idea"
del primo "movimento"; così
come, più avanti, è adombrato un
ritorno dell'intervallo melodico
di "quinta discendente". Pel
resto, l'Allegro molto vivace si
svolge con andamento serrato,
con moto pulsante, quasi una
specie di balletto senza
ballerini, interrotto a metà da
un episodio in fa maggiore,
indicato da Schurnann "Quasi
trio" e pieno di grazia
umoristica.
··········
Quando
si parla di Quartetto, noi
abbiamo sempre in mente, come
inscindibile da quel termine,
l'idea delle Forma-Sonata,
dramma, giuoco, contrasto
dialettico fra due, o più
"temi", colloquio fra quattro
strumenti, scorrere di motivi e
di ritmi per differenti piani
sonori , scambio e ripresa di
immagini. Orbene, Igor
Stravinsky, nella sua fervida
ansietà di ricerca, giunse a
immaginare che quella del
Quartetto per archi poteva anche
essere una semplice "situazione
musicale", un semplice dato di
fatto timbrico,
indipendentemente, dal contenuto
e, tanto più, da un particolare
atteggiarsi del contenuto
medesimo. Ecco dunque che nel
1914, sospinto in Svizzera dalle
vicende della prima guerra
Mondiale, il maestro russo
immaginò di comporre Tre pezzi
per il classico complesso
formato da due violini, una
viola e un violoncello, tre
Pezzi intieramente svuotati da
intenzioni architettoniche, come
le avevano i "movimenti" dei
tradizionali Quartetti, e
perfino da intenzioni di
equilibrio trofico come la
presentavano i "numeri" di danze
della vecchia Suite seicentesca.
Per palesare, senza tema di
venir frainteso, il proprio
concetto, Stravinsky, si astenne
addirittura dall'indicare i suoi
tre Pezzi con gli usuali
appellativi di Allegro, Adagio,
Presto, Moderato. Larghetto,
Andante o simili, e si limitò a
segnare, in fronte a ciascuno,
la misura di metronomo da lui
voluta. L'immobilismo, se così
possiamo dire, impresso da
Stravinsky a questa sua nuova
invenzione, ebbe, come
conseguenze primissime,
l'estrema brevità dei tre pezzi
nonché un contrasto netto,
profondo, fra la sonorità
dell'uno e dell'altro. Per
raggiungere quest'ultimo scopo,
l'autore sfruttò al massimo ogni
possibilità offerta dalla
tecnica degli istrumenti ad
arco, indicando con minuzia
quando gli esecutori debbano
suonare sul "ponticello", in
posizione normale e sulla
"tastiera" quando debban
scegliere una corda piuttosto
che un'altra nella declamazione
di una determinata frase; quando
debbano utilizzare la "punta",
la zona media o il "tallone"
dell'arco; quando violini e
viola debbano "pizzicare" le
corde tenendo l'istrumento alla
gola o rovesciandolo a guisa di
violoncello etc., etc.. Coneguì,
in tal maniera, un'opera di
grande interesse, enigmatica, ma
indubbbiamente suggestiva.
Il primo "pezzo" ha un vago
sentore di musica da suonatori
ambulanti. Per tutta la sua
durata il primo violino si muove
nell'ambito di sole quattro
note, ritmicamente articolate;
il secondo violino non fa altro
che introdurre, a larghi
intervalli di tempo, un disegno
discendente di altre quattro
note, che l'autore vuole siano
staccate "in modo eccessivamente
secco", la viola non si muove da
un suo lungo re centrale e il
violonoello ripete,
inesorabilmente, un conciso
pedale "figurato". Il secondo
"pezzo" invece, alterna tratti
di insistente iterazioni
ritmiche a melopee in istile
quasi recitante ed a improvvise
mosse capricciose. Nell'ultimo
pezzo, dove troviamo un accenno
al Dies irae del'innario
gregoriano, domina invece una
grave unità di linea, resa
soltanto più varia da una specie
di procedimento responsoriale.
Composti dopo Le sacre du
printemps e dopo Le rossignol, i
Tre pezzi per quartetto d'archi
vennero più tardi orchestrati
dallo steso Stravinsky e, con
l'aggiunta di un quarto brano,
intitolato Madrid, vennero a
formare i Quatre études pour
orchestre.
Giulio
Confalonieri
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