1 LP - 33QCX 10164 - (p) 1956
1 LP - 33CX 1383 - (p) 10/1956
1 LP - 35185 - (p) 19xx

Franz Joseph HAYDN (1732-1809)


Quartetto in do maggiore, Op. 33 n. 3 (Hob. III:39)
20' 12"
- Allegro moderato
7' 02"

- Scherzo
3' 03"

- Adagio 7' 05"

- Finale (Rondò) 3' 02"





Quartetto in si bemolle maggiore, Op. 76 n. 4 (Hob. III:78)
24' 44"
- Allegro con spirito
8' 17"

- Adagio 6' 50"

- Minuetto 5' 07"

- Finale (Allegro) 4' 30"





 
QUARTETTO ITALIANO
- Paolo Borciani, violino I
- Elisa Pegreffi, violino II
- Piero Farulli, viola
- Franco Rossi, violoncello
 






Luogo e data di registrazione
Basilica Sant'Eufemia, Milano (Italia) - giugno 1954

Registrazione: live / studio
studio

Producer / Engineer
-

Prima Edizione LP
Columbia (Italia) - 33QCX 10164 - (1 LP) - durata 44' 56" - (p) 1956 - Mono
Columbia (United Kingdom) - 33CX 1383 - durata 44' 56" - (p) 1956 - Mono
Angel Records (USA) - 35185 - durata 44' 56" - (p) 19xx - Mono


Note
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Nel secolo scorso, quando si amavano tanto le definizioni rette, categoriche, e il forte spirito scientifico cercava consolarsi delle sue concretezze ammettendo il miracolo e la creazione dal nulla nel campo delle attività spirituali, Franz Joseph Haydn passava per  "padre" assoluto, unico, indecomponibile della Sinfonia e del Quartetto moderni. Oggidì, più estese ricerche e maggior freddezza nella considerazione dei fatti storici hanno dimostrato che Haydn, come tutti, ebbe i suoi precursori, e che le due forme dianzi nominate, queste due forme così producenti lungo il corso della musica europea fra illuminismo settecentesco, romanticismo ottocentesco e vitalismo contemporaneo, nacquero da una gestazione lenta, frammentaria e condivisa da autori di parecchie nazioni. Ciò malgrado, resta un fatto ben più importante che non quello della "paternità" esclusivamente carnale: resta che Franz Joseph Haydn, musicista di genio, trovò nella Sinfonia e nel Quartetto il modo di espressione meglio aderente alla sua personalità originalissima; lo specchio magico entro cui riflettere con esattezza e far vivere, intiere, le immagini del suo mondo interiore. Mozart, che fra i maestri del suo tempo fu probabilmente il più ricco di conoscenza in ogni genere di musica e che durante i suoi viaggi, entrò in contatto con le opere di innumerevoli compositori, tenne sempre Haydn in conto di definitore, se non inventore, delle nuove concezioni quartettistiche e non esitò a dire ed a scrivere che "soltanto da Haydn aveva imparato a fare un Quartetto". E' innegabile che simultaneamente al lavoro del maestro austriaco, il nostro Luigi Boccherini, confinato a Madrid, procedesse per suo conto alla formazione del Quartetto moderno e vi portasse un contributo di straordinario valore. Ma è difficile stabilire se quei due grandi esercitassero uno sull'altro, influenze formali marcate. Un fratello di Boccherini era librettista melodrammatico presso i teatri viennesi all'epoca di Haydn ed è possibile che possedesse e facesse circolare copie dei Quartetti di Luigi fra gli amatori della capitale. Così com'è possibile che il principe Esterhazi, imparentato con la nobiltà spagnola, propagandasse oltre i Pirenei le composizioni da camera del suo diletto e stipendiato Franz Joseph. Comunque sia, l'affermazione mozartiana ci sembra fare il punto della situazione. Fra tanti Quartetti che si scrivevano allora in Germania, in Austria, in Francia, in Italia (sì, anche in Italia, da parte dei nostri grandi operisti che ne avevano ritratto il gusto durante i viaggi all'estero) fra tanti Quartetti, quelli di Haydn rappresentavano un'intuizione profonda, elevavano il genere su un piano singolare, si da renderlo un qualcosa non altrimenti esprimibile. La psicologia haydniana, fatta di cordiale attenzione verso le cose esterne, verso i movimenti e i gesti della vita umana; la psicologia haydniana commista d'ironia, di tenerezza e di salubri energie, animata sempre dal piacere del dibattito fra sè e se stesso, dal senso di disparità vocali e dal desiderio di comporle, di armonizzarle, differenza del più giovane Mozart, visse fino alla vecchiezza una vita sedentaria, tutta spesa fra le campagne feudali del suo aristocratico padrone. A differenza di Mozart, Haydn non subì sollecitazioni così numerose, attraverso incontri ed esperienze in ambienti differentissimi di mezza Europa. Si costruì da solo, nel silenzio dell'anima e in mezzo agli spettacoli di un mondo rurale, la sua meravigliosa parabola. Incominciò a dettare Quartetti ch'era ancor giovanissimo, senza un piano preciso, ma piuttosto rimpicciolendo in un complesso esiguo le dimensioni ed i caratteri del Divertimento, della Serenata, della Suite per orchestra, fin quasi, possiam dire, al limite dell'esistenza. A poco a poco, fondò un dominio indipendente fra quei due violini, quella viola, quel violoncello; ne scrutò ogni possibile rapporto, ogni capacità di recezione e di reazione; confidò loro tutte le chimere, tutti i capricci, tutte le certezze e i sottintesi della sua fantasia. Il primo grande blocco di Quartetti haydniani si estende sino al 1772. Per dieci anni il maestro, affascinato dalle sirene dell'opera, cessò dal comporne. Ma nel 1781 venne fuori con i sei capolavori dell'op.33 dedicati al Granduca Paolo di Russia e quindi conosciuti sotto il nome di "Quartetti russi". Consapevole di quanto aveva composto, dichiarò francamente che trattavasi di "una maniera speciale e del tutto nuova". I quattro dialoganti ormai, si muovono sovra una linea di parità assoluta; se qualcuno di essi tace per breve tratto, ciò viene predisposto perchè il suo "rientrare" risulti più efficace ed espressivo; lo spazio sfruttato si estende verso l'acuto e verso il grave; la materia tematica filtra, serpeggia, si cristallizza e si rifluisce fra tutte le quattro voci. E' come un grosso diamante che scintilli di ugual luce in ognuna delle sue facce. Il terzo Quartetto di quest'opera 33 (do maggiore) inizia con un Allegro moderato, dove il primo violino, dopo brevi accordi ribattutti del "secondo" e della viola annuncia il tema principale. Si tratta di una frase personalissima, che precipita ritmicamente dopo aver preso lo slancio sopra un sol, attaccato "piano" e rinforzato via via da "acciaccature". Codesto tema viene ripetuto un tono più alto, in minore, e quindi, dopo essersi affermato nella sua intierezza, si sgretola, si suddivide e si espande alla viola e al violoncello. La seconda "idea", (piano, semplice) viene esposta sommessamente dai due violini soli e, anch'essa è ricamata da "acciaccature". Si direbbe che questa figura ornamentale e mordente sia come la cifra di tutto il primo "tempo". E' da essa, comunque, che al terzo Quartetto dell'op.33 venne il titolo di "Quartetto degli uccelli". Gli svolgimenti della "seconda parte" sono costruiti tanto sul primo quanto sul secondo tema, e presentano quella proprietà, quella nettezza, quell'essenzialità così caratteristiche dello stile di Haydn. In deroga agli schemi ordinari, il secondo "movimento" non un Adagio, bensì uno Scherzo, palpitante e un poco enigmatico come uno Scherzo beethoveniano. Estremamente conciso, questo pezzo magnifico ha un trio ancor più breve, affidato ai due soli violini e immaginoso, luminoso come un'ispirazione di musici popolareschi. Anteponendo lo Scherzo all'Adagio, Haydn ha forse voluto preparare, con maggior effetto, l'entrata cantabile del terzo "movimento". E invero, l'ingresso di quella melodia affettuosa, dolce e nello stesso tempo sostenuta come un'Aria del grande melodramma italiano, risulta per causa del momento in cui cade, ancor più suggestivo e impressionante. L'Adagio in parola non offre molte digressioni da uno stato d'animo fondamentale. Soltanto vaghi arabeschi del primo violino lo interpuntano di respiri, lo allietano di rapide brezze. Bellissima è la "coda", che porta al termine in una specie di accorata dissolvenza. Il Rondò finale irrompe con passo sicuro, con franchezza paesana, con ritmo insistente e poi dilaga ilare, felice, attraverso un giuoco mirabile di modulazioni sottili. L'idea principale ha molte affinità con una frase della scena del ballo ducale in Rigoletto di Verdi. La chiusa sfuma in lontananza il travolgente disegno del pezzo.
Dopo i Quartetti delle opere 50, 54, 55, 64, 72, e 74, Haydn, nel 1797, compose i sei che formano l'op.76. Secondo molti esegeti, con questa sestina, Franz Joseph toccò il culmine dell'arte sua. In realtà, il raggio d'azione viene ancora ampliato, sia per quanto riguarda la qualità della materia melodica, ritmica, armonica, e sia per quanto riguarda la sfera degli interessi umani. Spunti drammatici, si insinuano nella luce delle più beate visioni; ore contemplative succedono al caldo lirismo degli Adagio precedenti. L'Allegro con spirito, ch'apre il Quartetto n.4 in si bemolle maggiore, dopo l'esposizione del tema basilare, volubile e alitante, ribolle e si condensa, si indugia in passaggi a toni minori, senza che una vera e propria "seconda idea" venga a distrarre dal clima fondamentale del brano. L'Adagio esprime una profonda serietà dello spirito, un che di meditativo e concentrato, quasi di orante, che fruscii di sestine, serpeggianti nel primo violino e raccolti qualche volta dal violoncello, screziano di malinconici sorrisi. Haydn chiama ancora Minuetto il "tempo" successivo. Ma noi, in questa pagina, avvertiamo un sentore d'aria aperta, un profumo di campagne e di boschi che sconvolgono dalle radici la vecchia danza salottiera, galante, ed aprono l'accesso al popolare ländler germanico. Di mirabile effetto, per il contenuto ideale e per la sonorità preziosa, è il Trio. L'ultimo "tempo" ("Allegro ma non troppo") è un nuovo prodigio di invenzione musicale. di immagini rinascenti l'una dall'altra, d'intrecci contrappuntistici resi con abilità soltanto pari alla loro chiarezza e, staremmo per dire, al loro candore. Il ritmo di codesto Finale si accelera progressivamente e raggiunge, nella conclusione, l'andamento della vertigine.
Giulio Confalonieri