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1 LP -
33QCX 10114 - (p) 1955
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1 LP -
33CX 1230 - (p) 03/1955 |
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1 LP -
35297 - (p) 19xx |
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Franz
Joseph HAYDN (1732-1809) |
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Quartetto in fa
maggiore "Serenata", Op. 3 n. 5
(Hob. III:17) |
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16' 37" |
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Presto |
4' 23" |
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Andante cantabile |
5' 40" |
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Minuetto |
3' 27" |
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Scherzando |
3' 07" |
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Quartetto
in re minore "Quinte", Op. 76 n. 2
(Hob. III:76) |
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28' 22" |
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- Allegro |
7' 03" |
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Andante o piuttosto
allegretto |
5' 45" |
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- Minuetto |
11' 15" |
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- Finale. Vivace assai |
4' 19" |
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QUARTETTO
ITALIANO |
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- Paolo
Borciani, violino I |
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- Elisa Pegreffi,
violino II |
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- Piero Farulli,
viola |
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- Franco Rossi,
violoncello |
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Luogo
e data di registrazione |
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Basilica
Sant'Eufemia, Milano (Italia) -
agosto 1954 |
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Registrazione: live /
studio |
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studio |
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Producer / Engineer |
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Prima Edizione LP |
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Columbia
(Italia) - 33QCX 10114 - (1 LP) -
durata 44' 59" - (p) 1955 - Mono
Columbia (United Kingdom) - 33CX
1230 - durata 44' 59" - (p) 1955 -
Mono
Angel Records (USA) - 35297 -
durata 44' 54" - (p) 19xx - Mono
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Note |
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Per quasi un
secolo, Franz Joseph Haydn venne
chiamato "il padre della
Sinfonia" e nessuno pensò di
contestargli questo previlegio.
Padre della Sinfonia moderna,
beninteso, ossia di quella forma
che continuò a risplendere con
Mozart, Beethoven, Schubert,
Mendelssohn, Schumann, Brahms e
Bruckner. Padre di quella
creatura mirabile, che,
assumendo spiriti dall'antica
Sonata (da chiesa o da camera)
dall'ouverture d'opera, dal
Concerto grosso e dalla Suite di
danze, si presentò alle soglie
del romanticismo come un mezzo
ideale per esprimere, attraverso
la purezza e l'astrazione della
musica, il nuovo senso
drammatico dell'esistenza, la
volontà di ritrarre, con l'arte,
tutti i flussi e reflussi
dell'anima, i suoi contratti, le
sue mutazioni d'umore, i
richiami dal mondo esterno e gli
interrogativi dal mondo
interiore. Padre di
quell'immaginaria "azione", per
solito divisa in quattro atti
(vale a dire in quattro "tempi"
o "movimenti"), dove lo stesso
brano, a differenza di quanto
era accaduto in passato, non si
atteneva più a un unico e
fondamentale clima psicologico,
a un'unica e fondamentale
rappresentazione, ma si
scomponeva in una sorta di
giuoco dialettico, in ma sorta
di contrasto, ottenuti con
l'impiego di due (anzichè una)
idee tematiche. La conclusione
del conflitto appariva come la
catarsi, come la morale, come la
logica predestinazione di una
lunga storia. La paternità
haydniana non sollevò
obbiezioni, come già dicemmo,
fino alle soglie del presente
secolo. Qui, parecchi studiosi,
dimentichi dell'aforisma di
Linneo "natura non facit
saltum", andarono a spulciare le
opere di molti maestri anteriori
o contemporanei ad Haydn, e
trovarono, più o men chiari,
precedenti della Sinfonia
moderna che non potevano
attribuirsi al compositore
austriaco. Si fecero i nomi di
Giovanni Stamitz, di Federico
Rust, di Frainçois Gossec, di
Gianbattista Sammartini etc.
Quei valenti ricercatori
trascurarono, però,
importantissimi elementi: primo,
che la nuova forma sinfonica
"stava nell'aria", in quanto
eepressione musicale di una
nuova concezione dell'estetica e
della vita medesima, sicché "suo
padre" sarebbe apparso quel tale
che, a sparsi e vaghi aneliti,
fosse riuscito a dare un
contenuto rigoroso e di qualità
superiore; secondo, che il
basarsi sul semplice intervento
occasionale di due idee
tematiche in luogo di una per
determinare il "tempo" sinfonico
avrebbe condotto ancor più
addietro nei secoli; terzo, che
l'introduzione delle due idee
era significativa e producente
sol quando avesse avuto, come
conseguenza, la nascita di un
nuovo tipo di tematismo;
insomma, una nuova qualità
musicale. Franz Joseph Haydn
assolse a tutte queste
condizioni e, pertanto, può ben
meritarsi il suo epiteto di
"padre della Sinfonia". Ma il
più bello è che, se un altro
maestro poteva condividere col
maestro di Rorhau quell'onore,
il nome di lui non venne fatto
nel più caldo periodo
dell'esplorazione sinfonica e
balzò fuori assai più tardi.
Vogliamo intendere il nome del
lucchese Luigi Boccherini, le
cui Sinfonie, per oltre un
secolo, rimasero del tutto
ignote.
E qui, veniamo al nodo della
questione. La struttura della
nuova Sinfonia non fu cosa
limitata al solo campo
orchestrale. Essa riguardò,
ugualmente, la musica da camera,
nei suoi generi della Sonata per
pianoforte o per un istrumento e
pianoforte, del Trio, del
Quartetto e del Quintetto. Tutte
queste forme seguirono,
accompagnarono, talvolta
precedettero il destino della
Sinfonia. Così stando le cose,
il problema andava esaminato da
un punto di vista più ampio; si
doveva tener conto che, a
prescindere dal volume e dai
rapporti di suono, dalla
destinazione pubblica dei
diversi lavori etc, una
Sinfonia, come schema di
composizione, valeva una Sonata,
un Trio, un Quartetto o
Quintetto. E Haydn, invero,
applicò a tutte queste classi di
composizioni per la camera il
nuovo concetto, adattandolo alle
particolari esigenze di ognuna,
ma sempre spiegandovi l'idea di
farne un mezzo atto a
rappresentare e ad esprimere una
rinnovata posizione dello
spirito. Fu lui, con Boccherini,
quello che intese fin nel
profondo le possibilità
dialogiche di pochi istrumenti
messi insieme; le possibilità di
personificarli in modo sempre
più netto: di creare un'unità
totale attraverso l'indipendenza
dei singoli e di produrre un
tipo inedito di polifonia,
distante dal contrappunto della
fuga come dal contrappunto della
musica vocale a più parti.
Oltre ottanta furono i Quartetti
scritti da Haydn, a cominciare
dal 1763 per finire nel 1801 o
1802. Si può dunque dire che
Franz Joseph, salvo una pausa
durata dal 1772 al 1782, si sia
dedicato alla composizione di
Quartetti per quasi tutto il
corso della sua vita attiva. I
primi suoi lavori di tal genere,
pubblicati coi numeri d'opera 1,
2 e 3, risentono ancora (in modo
decrescente quanto più sono
avanzati nel tempo) di una certa
perplessità di scelta fra le
vecchie forme del Divertimento,
della Cassazione, del Notturno
(originate dalla Suite di dame)
e la forma che stava nascendo.
Così come risentono di una certa
cautela nel rendere complessa,
articolata, intersecata la
polifonia, e si affidano sovra
tutto al primo violino,
contenendo il secondo, la viola
e il violoncello nell'ufficio di
colorarne le linee mediante
l'armonia e di chiarirne
l'impianto ritmico. Ciò non
ostante il Quartetto n.5
dell'opera 3, scritto nel 1764 e
pubblicato nel 1769, pone già
tutti i caratteri del genio
haydniano: chiarezza estrema di
condotta costruttiva e di
eloquio, personalità del
materiale tematico, naturalezza
e infallibile conseguenza del
discorso; ombre di humour, echi
rustici e popolareschi che si
insinuano nell'eleganza
stilistica; affettuosità
adorabili non mai spinte verso
il sentimentalismo ma piuttosto
tinteggiate da una trasognata ed
infantile innocenza, da un dolce
e stupefatto incanto. Il primo
"movimento" del
Quartetto op.3 in la maggiore
(Presto in 3/8), non presenta
molta differenza di durata fra
la prima parte conchiusa, come
d'uso, alla "dominante" do
maggiore e la seconda (ossia la
parte degli "sviluppi" e della
"ripresa"), che riporta al tono
fondamentale. L'una comprende,
infatti, novanta battute;
l'altra centotrentaquattro. Già
questo è indizio di una
semplicità e di un modesto
impegno
che, in seguito, si
trasformeranno. Il pezzo ha una
intonazione villereccia, uno
slancio pieno di grazia, una
cordialità piena di franchezza.
Segue un Andante cantabile in do
maggiore 4/4, che divenne ben
presto favorito dai dilettanti e
che, per l'andamento melodico
tenuto dal primo violino e
l'accompagnamento
invariabilmente "pizzicato"
degli altri tre istrumenti,
meritò al Quartetto in
la maggiore il sottotitolo di
"Quartetto della Serenata". Il
terzo "tempo" è, come al solito,
un Minuetto con Trio e "da
capo", anche questo conciso ed
estremamente semplice. Il Finale
(in 2/4 Scherzando) richiama
l'immagine di musici di
campagna, intenti a far ballare
un gruppo di contadini. E' una
delle tante nostalgie di Haydn,
pescatore e cacciatore accanito,
fedele alle sue origini sino
alla morte, uomo "d'aria
aperta", che il destino
costrinse a servire nei palazzi
e nei castelli dei grandi
signori.
Il Quartetto op.76 n. 2 in re
minore è invece uno degli ultimi
composti dal maestro. La sua
creazione sembra risalire al
1797; la pubblicazione avvenne
nel 1799. A quell'epoca Mozart
era già morto e il giovane
Beethoven da cinque anni, s'era
stabilito nella capitale
austriaca. La Rivoluzione
francese s'era quasi consumata
del tutto, l'astro napoleonico
andava nascendo e il
romanticismo imponendosi sul
pensiero dell'Europa intiera.
Goethe aveva già pubblicato, da
parecchi anni, "I dolori del
giovane Werther". Un artista
introspettivo come Haydn, un
artista che, da sè solo, aveva
studiato e ricercato giungendo a
strabilianti scoperte, non
poteva non risentire di tanti
sconvolgimenti spirituali. Così,
se i primi Quartetti suoi
segnarono una rivoluzione della
forma e del linguaggio puramente
musicale, quello in re minore
dell'op.76 e altri molti
segnarono una rivoluzione nel
suo modo d'essere e di concepire
la vita. Il primo "movimento"
(Allegro in 4/4) propone subito
forti problemi col suo tema
iniziale basato su una
successione di due intervalli di
"quinta discendente" (sono anzi
questi intervalli che daranno a
tutto il Quartetto l'epiteto di
"Quartetto delle quinte"). Il
tema suddetto, oscuro ed
ansioso, sale verso il registro
acuto, si spezza come in
singulti e conchiude, alla
tonica, con un gesto deciso e
volontario. Da questo punto, sul
disegno delle quinte
serpeggiante fra i vari
istrumenti, si innestano nuovi
incisi ritmici e melodici e
sbocca ma "seconda idea",
profondamente diversa dalla
prima ma non meno carica di
appassionata espressione. Dopo
una posa in la maggiore,
minacciosamente mormorata dal
solo violoncello, le "quinte" si
ripresentano, nell'originario
disegno, or discendente or
rovesciato, vale e dire per moto
ascendente. Il pezzo quindi
termina con un drammatico
crescendo. Il secondo "tempo"
(Andante o più tosto allegretto
in 6/8) è un'affascinante
monologo del primo violino, una
fantasticheria dove accoramento
e sorriso non sanno mai
superarsi; una specie di canzone
che, dopo breve passaggio in
minore, ritorna variata,
adornata, incoronata da
figurazioni leggere e si spegne
come dileguando nel cielo. Nel
Minuetto (Allegro ma non troppo)
abbiamo un esempio mirabile di
"canone all'ottava" fra i due
violini, da una parte, la viola
e il violoncello dall'altra.
Vigore ed energia, non esenti da
una qualche tristezza, sono i
sentimenti dominanti nel brano.
Il Finale (vivace assai in 2/4)
ci riporta nei paesaggi
campagnoli tanto cari al
maestro. Ma, questa volta, Haydn
non soltanto descrive: egli è
presente con la sua saggezza,
con la sua lunga esperienza, con
il suo piacere di inserirsi
nell'oggetto, con la sua gioia
di poterne regolare la sorte.
Noi sentiamo com'egli veda lo
spettacolo attraverso certe
brevi parentesi, certe evasioni
che spezzano il rigido corso
della forma "a rondò" e le
regolari "riprese" del tema. Il
Finale si stabilisce a poco a
poco sulla tonalità di "re
maggiore", e in questa tonalità
trova il suo termine felice e
glorioso.
Giulio
Confalonieri
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