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1 LP -
33QCX 10113 - (p) 1955
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1 LP -
33CX 1244 - (p) 1955 |
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1 LP -
35184 - (p) 19xx |
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Johannes
BRAHMS (1833-1897) |
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Quartetto in si
bemolle maggiore, Op. 67 |
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--' --" |
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Vivace |
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Andante |
--' --" |
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- Agitato (Allegretto non
troppo) - Trio - Coda
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--' --" |
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-
Poco allegretto con
variazioni - Doppio movimento |
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QUARTETTO
ITALIANO |
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- Paolo
Borciani, violino I |
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- Elisa Pegreffi,
violino II |
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- Piero Farulli,
viola |
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- Franco Rossi,
violoncello |
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Luogo
e data di registrazione |
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Milano
(Italia) - agosto 1954 |
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Registrazione: live /
studio |
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studio |
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Producer / Engineer |
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Prima Edizione LP |
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Columbia
(Italia) - 33QCX 10113 - (1 LP) -
durata --' --" - (p) 1955 - Mono
Columbia (United Kingdom) - 33CX
1244 - durata --' --" - (p) 1955 -
Mono
Angel Records (USA) - 35184 -
durata --' --" - (p) 19xx - Mono
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Note |
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Le profonde
trasformazioni sociali
sopravvenute in seguito alla
Rivoluzione francese e al
predominio napoleonico, presero
aspetti assai diversi nei diversi
paesi d'Europa. Il fulcro
Direttivo e operativo si spostò,
quasi ovunque, dalla vecchia
aristocrazia alla nuova borghesia;
da una élite che ancora viveva
sugli avanzi di antiche glorie
belliche a una élite che andava
acquistando il suo diritto d'esser
tale per l'energia e
l'intelligenza spiegate nel campo
dell'industria, del commercio, del
libero professionismo e
dell'insegnamento universitario.
Impoveriti e diminuiti nei loro
previlegi, i nobili di una volta
si cofondevano, sempre più
strettamente, con il fior fiore
della gente borghese. Ogni residuo
della Corte feudale, sia pur
minima e ridotta quasi ad un
simbolo, era scomparso. Un conte o
un duca, che tenesse un suo teatro
privato, una sua "cappella
musicale" privata, diventava ormai
inconcepibile. L'opera e il
concerto sinfonico assumevano
ormai il carattere di un pubblico
servizio, a tutti aperto e a tutti
ospitale. Che il melodramma
attraesse una forte maggioranza di
gente è cosa naturale; naturale,
sovratutto, nei paesi latini, più
portati all'espressione reciproca
che non alla meditazione isolata,
alla discussione che non alla
contemplazione. La vastità sempre
più grande dei pubblici influiva
anche sulla struttura dell'opera
lirica; ne dilatava le forme, ne
moltiplicava gli elementi, ne
ingrossava, persino, la sonorità
totale. L'amore per il melodramma,
sul principio, non fu men forte in
Germania che nelle altre nazioni.
Rossini affascinò anche i tedeschi
e, non meno di Rossini,
affascinarono Weber con il suo
intento "nazionale", Wagner, più
tardi, con il suo intento
"universale". Ma, secondo quanto
abbiamo detto all'inizio, la nuova
forza inserita nell'ordine sociale
europeo, come non reagì in egual
modo e dovunque a molti altri
problemi e a molte altre
sollecitazioni, così non reagì in
egual modo davanti al fatto
dell'opera. In Italia e in Francia
le nuove meraviglie del teatro in
musica fecero non soltanto
dimenticare un passato
gloriosissimo, speso in tutt'altre
direzioni, ma si impadronirono
così violentemente delle coscienze
da far ritenere che ogni musica
non destinata alle scene
nascondesse in se stessa una
fondamentale freddezza di cuore,
una nostalgia fuori posto
dell'ancient régime e un che di
accademico, di sorpassato, di
inutile. Al contrario in Germania,
dove fin dall'epoca di Lutero e
del suo "corale" destinato al
popolo, s'era radicato un senso
profondo dell'armonia, della
polifonia, della musica scritta
per esser sentita e non per assere
vista, la borghesia si riscoprì,
ben presto, un affetto secolare,
non mai distrutto ma soltanto
sopito durante i primi tempi
dell'ingordigia operistica. In
Germania, alle "cappelle"
aristocratiche succedettero ben
presto i circoli di dilettanti, i
salotti, non sfarzosi, ma comodi e
ben riscaldati, dove era un
piacere il riunirsi a far musica
insieme. In tal maniera, se
Schubert, Mendelsshon e Schumann
ebbero tutti la loro chimera
teatrale, è ben logico ch'essi si
dedicassero con molto ardore alla
composizione "da camera". Una
"camera" che non era più il
vastissimo salone di un principe
bensì spesse volte, la modesta
stanza di un professionista o di
un industriale. A poco a poco, si
andò così creando un pubblico non
mai prima veduto: un pubblico che,
appreso a domicilio il gusto di un
certo tipo di musica, si sentiva
poi disposto a pagare per
ascoltare quella musica eseguita
da eccellenti interpreti.
Da un'altra parte, però, l'immenso
sviluppo delle tecniche
istrumentali, dell'armonia, della
concezione tematica, degli impasti
timbrici (sviluppo originato dal
sinfoniamo di Beethoven e dallo
sforzo rappresentativo dell'opera)
metteva i compositori innanzi ad
ardui quesiti. Un Trio, un
Quartetto, un Quintetto dovevano
trovare una loro fisionomia
indipendente, ma non potevano più
prescindere dalle complessità di
una Sinfonia beethoveniana o di un
Guglielmo Tell, di un Freischütz,
di un "poema" berlioziano.
Aggiungasi a questo che, tranne
Schubert, Mendelssohn, Schumann e
l'ultimo arrivato Brahms erano
pianisti e non conoscevan certo i
segreti dell'arco come i segreti
della tastiera. Non eran stati
buoni violinisti od educati in
gioventù anche al violino come
Haydn, Mozart, Beethoven. Così
stando le cose, non è da stupire
se l'ultimo nominato, il quale
tuttavia era il più lontano di
tutti dall'idea di scrivere pel
teatro e considerava il passo
verso l'opera altrettanto
periglioso che il passo verso il
matrimonio, concepisse ben presto
il desiderio di creare un
Quartetto per archi, si mettesse
per tempo a schizzarne abbozzi, ma
non si decidesse che molti anni
dopo a pubblicarne un primo
dichiarandosi più o meno
soddisfatto del proprio lavoro.
Infatti, se i più lontani accenni
di Brahms alla composizione in
corso di un Quartetto per archi
risalgono al 1851 (vivente ancor
Schumann), la prima esecuzione dei
due Quartetti suoi opera 51 non
ebbe luogo che il 21 novembre del
1873 in casa del suo grande amico
e celebre chirurgo Teodoro
Billroth. Due anni dopo, ossia nel
1876, Brahms diede fuori un terzo
Quartetto, ch'è appunto quello in
si bemolle maggiore opera 67. Ora,
se noi consideriamo la mentalità
speciale del maestro di Amburgo,
la sua tendenza all'intimismo e
all'epressione dialogica, ottenuta
mediante una forte snodatura delle
parti in giuoco, dobbiamo
concludere che Brahms vedesse
nella composizione dei Quartetti
per archi una méta da raggiungere,
un cómpito da assolvere per
naturale destino. Gli anni dal
1851 al 1873 furono dunque spesi
in accaniti studi, studi personali
e studi condotti sotto
rispirazione di Joseph Joachim,
grande violinista e fondatore di
un celebre complesso a quattro.
Per prudenza o per scrupolo,
Brahms non si decise ad affrontare
questa musica per soli archi, se
non dopo essersi provato sotto la
difesa del pianoforte col Trio in
si maggiore del 1859, quello del
1862, i due Quartetti per violino
viola violoncello e pianoforte del
1863, e dopo aver misurato le sue
forze con gli organici più vasti
(quindi meno scoperti) dei
Sestetti op.18 (1862) e op.36
(1866).
Il Quartetto in si bemolle
maggiore op.67 porta la dedica "al
suo amico Professor Th. W.
Engelmann, Utrecht". Engelmann,
professore di fisiologia nella
antica Università olandese, era un
ottimo dilettante di violoncello e
di viola. Le opinioni dei critici
intorno al Quartetto in si bemolle
maggiore sono alquanto disperate.
Taluno lo giudica inferiore ai due
dell'opera 51 e vi trova
un"intenzione fin troppo spinta di
ricongiungersi con lo spirito di
Haydn. Talaltro lo ritiene invece
indicativo della personalità
brahmsiana, fatta, sì, anche di
nostalgia pel passato, ma estesa
verso un mondo di interiorità
sottili, di incontri fra
entusiasmo e sfiducia, tra pace
agitazione, tra pura poesia e
poesia riflessa dal paesaggio ,
tra individualismo e
interpretazione di sentimenti
collettivi che recano il segno
dell'età moderna e del più
autentico romanticismo "seconda o
terza maniera". Noi siamo
piuttosto dell'ultimo parere. Il
tema in 6/8 che apre il primo
"tempo" (vivace) può benissimo
richiamare una fanfara di caccia
nello stile haydniano; ma, non
appena esso si scioglie
dall'andamento "unissono" e si
accoppia a una figurazione che
sposta il movimento in 3/4, ecco
che noi evadiamo in tutt'altre
zone musicali. Anche la seconda
idea (la maggiore) può ricordare i
soprassalti popolari di Haydn, ma
la sua impostazione in 2/4, che
frattura all'improvviso l'imposto
del pezzo e che ancora la
fratturerà nel corso degli
svolgimenti, è un tratto
assolutamente lontano dalle
concezioni settecentesche. Lo
stesso può dirsi di un terzo tema,
più melodico, disposto a doppie
"terze" distanti dei due violini,
della viola e del cello, che
compare all'inizio della seconda
parte e ritorna più avanti.
L'Andante (la maggiore 4/4) si
apre con un canto che par quasi
dedicato alla memoria di Schumann.
Vi si sente un'eco delle
Kinderszenen, un'eco di quella
affettuosità stupefatta e non
esente da interrogativa tristezza.
Ma, in seguito, sia quando Brahmis
ha una mollata violenta e lancia
una drammatica apostrofe in
minore, sia quando si inoltra in
morbide modulazioni, legate da un
disegno piano e tranquillo del
violino primo, tutto il discorso
prende un colorito e un contenuto
originali. Il terzo "movimento"
non è lo Scherzo classico, il rude
e gagliardo Scherzo di tanti altri
lavori brahmsiani. E' un patetico
brano, dove la viola espone un
motivo di intensa espressione
mentre gli altri tre istrumenti,
in sordina, accompagnano con
incisi quasi singhiozzanti e, ogni
tanto, insinuano pure essi brevi
frasi melodiche. La frase della
viola si ingrandisce nel registro
alto del primo violino, sfuma
attraverso un ricamo di tutti i
quattro personaggi, ritorna e si
placa per dar luogo al Trio. Il
qual Trio, a deroga delle norme
tradizionali, pur iniziando con un
tema nuovo, sembra riattratto dal
clima fondamentale e vien tutto
intersecato da incisi che
richiamano il primo disegno della
viola. Il Finale (poco allegretto
con variazioni) muove da un tema
semplice, pacato e conciso, ma
ricco di possibilità ulteriori. Le
variazioni, pur addensando colori
armonici e contrappuntistici
d'intensità sempre crescente, non
si allontanano molto
dall'atmosfera espressiva del
tema; ma alla fine, quando il
disegno di "caccia" del primo
"tempo" riappare e si unisce al
tema delle Variazioni, ora preso
nella sua forma originaria ed ora
spaziato da intervalli, la
temperatura si riscalda e un che
di gioioso, di soddisfatto, si
accende e illumina la chiusa.
Giuglio
Confalonieri
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