ARCOPHON


1 LP - AC 691 - (p) 1965
1 CD - CRA 8912-6 - (c) 1996

Carlo GESUALDO da Venosa (1566-1613)





MADRIGALI A CINQUE VOCI, LIBRO VI (1611) - seconda parte





- Deh, come invan sospiro 4' 06"
- Io pur respiro 3' 33"
- Alme d'amor rubelle 2' 40"
- Candido e verde fiore 2' 41"
- Ardita zanzaretta 4' 25"
- Ardo per te, mio bene 3' 13"
- Ancide sol la morte 2' 50"
- Quel "no'" crudel 2' 58"



- Moro, lasso, al mio duolo 3' 16"
- Volan quasi farfalle 3' 12"
- Al mio gioir il ciel si fa sereno 3' 02"
- Tu segui, o bella Clori 2' 24"
- Ancor che per amarti 2' 42"
- Già piansi nel dolore 2' 57"
- Quando ridente e bella 1' 56"



 
QUINTETTO VOCALE ITALIANO / Angelo Ephrikian, direttore
 






Luogo e data di registrazione
Villa Litta, Milano (Italia) - 21-30 settembre 1965


Registrazione: live / studio
studio

Producer / Engineer
Giambattista Pirelli / Karla Schlean - Angelo Ephrikian

Prima Edizione LP
Arcophon - AC 691 - (1 LP) - durata 45' 55" - (p) 1965 - Analogico

Edizione CD
Rivo Alto & Electa "Musica e Musei" - CRA 8912-6 - (1 CD) - durata 73' 32" - (c) 1996 - ADD


Note
In copertina (CD): Andrea Mantegna, Camera degli Sposi (particolare) - Palazzo Ducale - Mantova
L'edizione in CD contiene l'intero Sesto Libro mentre l'edizione in Lp contiene gli ultimi 15 numeri.












IL QUINTO E IL SESTO LIBRO DEI MADRIGALI
Il quinto e il sesto libro dei madrigali del Principe di Venosa furono pubblicati quasi contemporaneamente a Gesualdo nel 1611, per i tipi di G.G. Carlino e per cura di tale Giovanni Pietro Cappuccio, certo un cortigiano del principe che - secondo la consuetudine - dedicò la raccolta allo stesso compositore: si trattava ovviamente di uma finzione resa necessaria dal costume del tempo che vietava a un personaggio del rango del Venosa di assumere direttamente la responsabilità della pubblicazione delle proprie opere.
La data di composizione dei madrigali raccolti nel quinto e nel sesto libro si scagliona presumibilmente lungo un arco di tempo assai ampio, come si deduce tra l’altro dalla dedica del sesto libro al Gesualdo, stesa dallo stesso Giovanni Pietro Cappuccio: "Questi madrigali della sesta muta furono composti da V.E. nelli medesirni anni che furono quelli della quinta; e perciò questi ancora sono stati aspettati con grandissimo desiderio dal mondo da sì lungo tempo". Si tratta dunque di una scelta che Gesualdo stesso compì delle proprie opere composte dopo il 1596, con la consueta severità e l’acuto senso critico che gli vietò, per esempio, di divulgare i suoi esperimenti in stile monodico di cui è fatta menzione da parte del Fontanelli (cfr. la mia presentazione del III° Li-
bro dei Madrigali di Gesualdo, Disco Arcophon AM 668) e le canzonette pubblicate postume da Pomponio Nenna nel proprio Ottavo Libro dei Madrigali, Roma, 1618.
Nella sua critica vicenda esistenziale che dovette assumere negli ultimi anni aspetti e momenti veramente allucinanti, la musica non cessò di essere un polo costante di interesse, un campo di studio e di ricerca assidua e febbrile, nella quale Gesualdo impegnò la parte migliore di sè, le sue lucide doti intellettuali non meno dell’appassionata dedizione interiore. Tornato a Napoli nel 1597, raccolse intorno a sè un’accademia musicale comprendente Scipione Stella, Rocco Rodio, Pomponio Nenna, Muzio Efrem, Giovanni Macque, Bartolomeo Roy, Giovambattista di Pavolo, Scipione Cerreto, Giustiniano Forcella, Domenico Montella, "compositori, sonatori e cantori eccellentissimi" che il principe, secondo le parole di un contemporaneo "per suo gusto e intertenimento tiene in sua corte a sue spese". Gesualdo preso tutto dalla sua passione, ignorava le accuse di eccessiva prodigalità e di sperpero che la sua famiglia gli moveva. Egli, pontefice in questo eletto cenacolo d’artisti, mirava certo ad emulare i fasti musicali della corte estense: desiderio conferrnato dalla fondazione, nel castello di Gesualdo, di una stamperia musicale diretta da G.G. Carlino, la stessa che pubblicò i suoi due ultimi libri di madrigali e una sua raccolta di responsori.
Gesualdo volle consolidate la sua fama di compositore, pubblieando tra il quarto (1596) e il quinto (1611) libro di madrigali tre raccolte di musica religiosa: Sacrarum Cantionum Quinque Vocibus Liber Primus (1603); Sacrarum Cantionum Liber Primus Quarum Una Septem Vocibus, Ceterae Sex Vocibus Singulari Artificio Compositae (1603); Responsoria et Alia ad Officium Hebdomadae Sanctae Spectantia, a sei voci (1611). Opere tutte, a parte ogni ricerca di carattere espressivo, veramente "singulari artificio composiate", sulla linea della più rigorosa arte contrappuntistica cinquecentesca. Per quanto più propriamente concerne le ultime due raccolte di madrigali, si nota una sostanziale continuazione degli atteggiamenti espressivi maturati nei libri precedenti, soprattutto nel quarto. Nella scelta dei testi incontriamo ancora la predilezione per poesie brevi e di limitate pretese letterarie (nel Quinto Libro, su ventuno madrigali, uno solo, l’ultimo, è dovuto a un autore illustre, Giovanbattista Guarini). In questo modo Gesualdo si riserva da parte sua la massima possibilità d`intervento, sia dal punto di vista di un’autonoma organizzazione strutturale del madrigale, sia da quello di una totale ricreazione semantica del contenuto espressivo della poesia. Secondo la fine notazione critica di Nino Pirrotta "non “serva” ma “compagna" dell’orazione, la musica ha il compito di dire ciò che è indicibile a parole, di esprimere coi rivolgimenti cromatici il torcersi dell’anima nel dolore, con i salti melodici violenti e inconsueti la sfida del sarcasmo e della ribellione, con i travolgenti contrappunti di diatoniche colorature di quest'ultimo periodo... il fervore disperato della speranza o il dilatarsi panico della personalità nella gioia".
I gesti espressivi si semplificano, sino a ridursi all’alternanza e alla successione di atmosfere espressive nettamente contrastanti: è come se la poetica espressionistica di Gesualdo, portata alle sue ultime conseguenze non riconoscesse altro che la possibilità di un procedere apodittico, articolato attraverso la contrapposizione di concetti e di momenti opposti, che solo la ferrea logica con cui è condotto il discorso riesce a fondere in una struttura organica. Ancora più sviluppato che non nel quarto libro è il parametro armonico, piegato ad audacie che per più di due secoli non furono emulate nella tradizione musicale occidentale. Parallelamente, la tecnica contrappuntistica si decanta sino a raggiungere una sorta di astratta e cristallina purezza, soprattutto laddove essa è impiegata in quei passi che Vincenzo Giustiniani definiva "fughe dolci e correnti"; momenti nei quali Gesualdo raggiunge una gioiosa e prorompente pienezza di vita. Accanto a questo si delinea negli ultimi due libri di madrigali un tipo di contrappunto affatto nuovo, che potrebbe delinirsi, con il Pirrotta, "contrappunto di recitativi, dacché la sua sostanza non è più il gioco delle immagini sonore in movirnento, ma la moltiplicazione contrappuntistica dell’intensità affettiva della declamazione". Un calore umano tutto nuovo hanno i passi trattati omoritmicamente in un declamato accordale aperto a preziose, ricchissime sfumature di senso, e, in generale, a un accento di straordinaria immediatezza e verità umane.
Anche da un punto di vista contenutistico le due ultime raccolte chiudono circolarmente la tematica estetica di Gesualdo: suggellano, portandolo alle ultime conseguenze, in una sorta di apoteosi lucida, ma pure allucinata e barocca, il tema unico della sua arte, l’amore. Con le parole del Pirrotta: "Egli fu, si direbbe, romanticamente innamorato del complesso cerimoniale del corteggiamento amoroso, delle promesse deluse, delle negazioni provocanti, delle speranze risorgenti. La vita non gli diede che delusioni, incomprensioni coniugali o troppo facili avventure degradanti del senso. Pure il sogno persiste fino all’ultimo, si rinnova anzi negli ultimi anni in una fase gioiosa che le fasi precedenti non avevano conosciuto".


LIBRO SESTO (Seconda parte)
IX.
Deh, come invan sospiro,
Deh, come invan vi miro,
Poichè, crudel, voi fate ogni un gioire
Et a me sol morire!
Infelice mia sorte,
Che la vita per me divenga Morte.
E' composizione vibrante e commossa, costruita attraverso una catena di sospese, intense esclamazioni, secondo una misura e un'intonazione tipica dell’arte di Gesualdo. Caratteristica anche l’enfasi posta dal compositore sugli ultimi due versi, che paiono incarnare un aspetto fondamentale della sua poetica.

X.
Io pur respiro in così gran dolore
E tu pur vivi, o dispieiato core?
Ahi, che nan vi è più speme
Di riveder il nostro amato bene!
Deh, morte, danne aita,
Uccidi questa vita!
Pietosa ne ferisci, e un colpo solo
A la vita dia fin ed al gran duolo.
All’espansa complessità del testo poetico, corrisponde una struttura musicale che riunisce in armonico fluire di forme momenti e moduli fortemente contrastanti, secondo una tecnica largamente generalizzata nella scrittura di Gesualdo a partire dal Quinto Libro. Si distaccano per altezza e intensità dell’accento le parti sollecitate dalle parole di più rilevata carica patetica e le commosse esclamazioni: O dispietato core! - Deh, morte, danne aita!, e, ancora una volta, tutta la sezione finale, caratterizzata da preziosi trascoloranti cambi d’armonia su lunghe note tenute dal basso.

XI.
Alme d’Amor rubelle,
Che con leggiadri suoni e dolci accenti
Frenar potete i venti,
E invaghite di voi l'ardenti stelle:
Beato chi voascolta e chi vi mira,
Beato chi per voi langue e sospira!
Elaborato su una minutissima orditura di piccoli incisi contrappuntistici in imitazione che si specchiano l’uno nell’altro in una fitta serie di rifrangenze, il madrigale culmina sull’esclamazione del sesto verso, trattata per contrasto in una piana scrittura accordale, per chiudersi sulla patetica e come sfrangiata chiusa (Beato chi per voi langue e sospira).

XII.
Càndido e verde fiore,
Che di speranza e fede
Tu pur m'imbianchi e mi rinverdi il core.
Lasso, sì come chiaro in te si vede
Il tuo color sincero,
Scorgessi io sì de la mia donna il vero;
O di mia speme allor goder potrei,
O di mia fede ne’ tormenti miei!
Sia nel testo, sia nella musica il madrigale si inserisce più nella classica tradizione tardorinascimentale che nell’esasperata dimensione barocca propria dell’ultimo stile di Gesualdo: qui le caratteristiche più ardite e violente della sua scrittura pur tralucendo a tratti si stemperano in un accento di contenuta e malinconica dolcezza.

XIII.
Ardita Zanzaretta
Morde colei che il mio cor strugge e tiene
In così crude pene;
Fugge poi e rivola
In quel bel seno che il mio cor invola,
Indi la prende e stringe e le dà morte
Per sua felice sorte.
Ti morderò ancor io,
Dolce amato ben mio,
E se mi prendi e stringi, ahi, verrò meno
Provando in quel ben sen dolce veleno.
Il madrigale prende l’avvio da un tenuissimo motivo classico (il pseudovirgiliano culex) sviluppato nella direzione di un leggero e malizioso scherzo erotico: il musicista ne fa il pretesto per un descrittivismo manieristico di estrema virtuosità, che trascolora nel finale, ove si incontrano passi di singolare audacia di scrittura, e di profonda intensità emotiva, in una conclusione che pare allo Einstein "a1trettanto icastica e naturalistica, ma quasi patologica".

XIV.
Ardo per te, mio bene, ma l’ardore
Spira dolce aura al core.
Moro per te, mia vita, ma il morire
Gioia divien, dolcissimo il languire.
Felice sorte ancor ch’io arda e moia:
L’ardor divien dolce àura, el morir gioia.
Il madrigale è costruito attraverso una serie di violenti contrapposti su parole tutte cariche di una intensa virtualità espressiva: (ardo, moro, gioia, dolcissimo languire..). Per tutto l’arco della composizione rimandano l’una all’altra, come attraverso un gioco di specchi. Il musicista le assapora lentamente, come attraverso un sottile godimento sensuale, sino alla geniale conclusione, che volutamente infrange lo schema della struttura letteraria.

XV.
Ancide sol la morte,
E tu, mio core, che la vita sei,
Uccirler non mi puoi
Col dolce colpo de’ begli occhi tuoi.
Io, morendo per te, lieto morrei,
Se ferita mortale
Uscir potesse da beltà vitale.
Il madrigale é tra i più unitari e conseguenti di Gesualdo; si organizza con ferrea logica in una struttura rigidamente unitaria, che si sviluppa senza esitazioni o sbavature in un fermo arco formale. Non si puù tuttavia fare a meno di isolare nella memoria certe icastiche frasi, cariche di un singolare pathos, come quella che apre il madrigale.

XVI.
Quel "no" crudel che la mia speme ancise
Ecco che pur trafitto
Da mille baci di mia bocca ultrice,
Qual fiera serpe in mezzo a i fori essangue,
Tra quelle belle labbra a morte langue.
O vittoria felice!
In quel vago rossor gli amanti scritto
Leggan: "Di quel bel volto ha vinto Amore."
Amor vince ogni core.
Il raffinato e delicato scherzo erotico che costituisce l’elegante e svagata sostanza poetica di questo madrigale viene investito nell’interpretazione di Gesualdo da una violenta carica passionale: si rivelano venature di intensa e desolata mestizia, che confermano ancora una volta il senso drammatico che l’eros assume in Gesualdo.

XVII.
Moro, lasso, al mio duolo
E chi mi può dar vita,
Ahi, che m'ancide e non vuol darmi aita!
O dolorosa sorte,
Chi dar vita mi può, ahi, mi dà morte!
Qui il tono di cupa malinconia del testo induce Gesualdo a dar sfogo al suo più violento e sfrenato rovello espressionistico; ne nasce una delle sue prove più audaci e insieme una delle sue più alte conquiste espressive.

XVIII.
Volan quasi farfalle
A i vostri almi splendori,
O bella donna, i pargoletti Amori;
Indi scherzando intorno al chiaro lume,
Chiaro sì, ma cocente,
Provan l’altra virtù, quella ch’è ardente,
Ne le tènere piume;
E intorno a voi cadendo a mille a rnille.
Tranno da le faville
Di lor penne riarse il foco e poi
Fanno l'incendio onde avampate voi.
Il preziosismo del madrigale sollecita un parallelo raffinatissimo gioco forrnale sul piano musicale. La composizione che ne deriva, dalle ampie e maestose proporzioni, ha una bellezza astratta, quasi strumentale.

XIX.
Al mio gioir il ciel si fa sereno,
Il crin fiorito il Sole a i prati inaura.
Dànzano l’onde in mar al suon de l’aura,
Cantan gli augei ridenti,
Scherzan con l’aria i venti,
Così la gioia mia versando il seno
Io d’ogni intorno inondo
E fo, col mio gioir, gioioso il mondo.
Strette affinità con il precedente ha questo madrigale, che è un esempio significativo delle improvvise aperture alla gioia e alla serenità cui può abbandonarsi, nella sua suprema stagione, l’arte di Gesualdo; qui il sentimento giunge a una sospesa e goduta pace, a una tersa trasparenza memore della misura dei più puri madrigalisti cinquecenteschi.

XX.
Tu segui, o bella Clori,
Un fuggitivo core,
E 'l mio tu fuggi ch’arde sol d’amore.
Ah, non fuggir chi t'ama,
Sprezza chi te non brama!
E s'hai d’amor desio
Ama me sol, perché te sol amo io.
La muta presenza dell’interlocutrice, cui si rivolge, implorando amore e pietà il madrigale, conferisce al discorso musicale una singolare intensità e un profondo calore espressivo; in questo tono dolcissimo, a fior di labbra, in cui pure si avverte una bruciante partecipazione sentimentale, l’arte di Gesualdo rivela la sua misura più personale.

XXI.
Ancor che per amarti io mi consumi,
In ogni parte e non a me rimiri,
Tu, bramata cagion di miei martiri,
Deh, volgi omai ver me gli amati lumi
Poi che vil fango ancor rimirar suole,
Senza oscurar i suoi bei raggi, il Sole.
La forma ellittica con cui si svolge il filo logico del madrigale con una premessa (Ancor che per amarti...) e una spiegazione causale (poi che vil fango...) che inquadrano l’ardente invocazione dell’amata (Deh, volgi omai ver me gli amati lumi...) suggeriscono una costruzione ardita sul piano musicale; le voci trattate all’inizio della composizione singolarmente e a gruppi, con larghe pause tra un’entrata e l’altra delle singole parti, vanno confluendo al centro verso compatti blocchi omoritmici, per sfrangiarsi di nuovo alla conclusione in più morbido e vago fluire.

XXII.
Già piansi nel dolore;
Or gioisce il mio core
Perché dice il ben mio:
"Ardo per te ancor io."
Fuggan dunque le noie, e 'l tristo pianto
Ormai si cangi in dolce e lieto canto.
E' una prova di sublime raffinatezza di stile, che richiama tutti i più sottili procedimenti della tecnica madrigalistica. Si noti, tra gli altri preziosismi, il compiaciuto manierismo di alcuni passi.

XXIII.
Quando ridente e bella
Più vaga d’ogni stella
Mi si mostra Licori
E seco sclaerzan lascivetti Amori,
Tutto gioisco e sì di gioia abbondo
Che de la gioia mia gioisce il mondo.
Su una nota di gioiosa letizia, con una composizione inondata di luce, di prorompente viralità ritmica, si chiude la monumentale opera madrigalistica di Gesualdo: l’ultimo messaggio di questo musicista violento e sfrenato, dettato in un momento tra i più tetri e infelici della sua travagliatissima esistenza è, singolarrnente, un inno all’amore e alla gioia
.
Francesco Degrada