ARCOPHON


1 LP - AC 682 - (p) 1965
1 CD - CRA 8912-5 - (c) 1996
1 CD - CRA 8912-6 - (c) 1996

Carlo GESUALDO da Venosa (1566-1613)





MADRIGALI A CINQUE VOCI, LIBRO V (1611) - seconda parte




- Asciugate i begli occhi 2' 48"
- Tu m'uccidi, o crudele 2' 58"
- Deh, coprite il bel seno 2' 19"
- Poichè l'avida sete | Ma tu, cagion 6' 10"
- O tenebroso giorno 2' 58"
- Se tu fuggi 2' 32"
- "T'amo mia vita!" 3' 00"



MADRIGALI A CINQUE VOCI, LIBRO VI (1611) - prima parte




- Se la mia morte brami 3' 10"
- Beltà, poi che t'assenti 2' 41"
- Tu piangi, o Filli mia 3' 28"
- Resta di darmi noia 2' 17"
- Chiaro risplender suole 4' 03"
- "Io parto" e non più dissi 3' 46"
- Mille volte il dì, moro 4' 17"
- O dolce il mio tesoro 3' 03"



 
QUINTETTO VOCALE ITALIANO / Angelo Ephrikian, direttore
- Karla Schlean, soprano
- Rosanna Giancola, mezzosoprano
- Clara Foti, contralto
- Adele Bonay, contralto
- Rodolfo Farolfi, tenore
- Carlo Gaifa, tenore
- Gastone Sarti, basso
 






Luogo e data di registrazione
Villa Litta, Milano (Italia) - 20-27 maggio 1965 (Libro Quinto)
Villa Litta, Milano (Italia) - 21-30 settembre 1965 (Libro sesto)


Registrazione: live / studio
studio

Producer / Engineer
Giambattista Pirelli / Karla Schlean - Angelo Ephrikian

Prima Edizione LP
Arcophon - AC 682 - (1 LP) - durata 49' 30" - (p) 1965 - Analogico

Edizione CD
Rivo Alto & Electa "Musica e Musei" - CRA 8912-5 - (1 CD) - durata 67' 07" - (c) 1996 - ADD - (Libro Quinto)
Rivo Alto & Electa "Musica e Musei" - CRA 8912-6 - (1 CD) - durata 73' 32" - (c) 1996 - ADD - (Libro Sesto)


Note
In copertina (CD): Andrea Mantegna, Camera degli Sposi (particolare) - Palazzo Ducale - Mantova - (Libro Quinto)
In copertina (CD): Andrea Mantegna, Camera degli Sposi (particolare) - Palazzo Ducale - Mantova - (Libro Sesto)














IL QUINTO E IL SESTO LIBRO DEI MADRIGALI
Il quinto e il sesto libro dei madrigali del Principe di Venosa furono pubblicati quasi contemporaneamente a Gesualdo nel 1611, per i tipi di G.G. Carlino e per cura di tale Giovanni Pietro Cappuccio, certo un cortigiano del principe che - secondo la consuetudine - dedicò la raccolta allo stesso compositore: si trattava ovviamente di uma finzione resa necessaria dal costume del tempo che vietava a un personaggio del rango del Venosa di assumere direttamente la responsabilità della pubblicazione delle proprie opere.
La data di composizione dei madrigali raccolti nel quinto e nel sesto libro si scagliona presumibilmente lungo un arco di tempo assai ampio, come si deduce tra l’altro dalla dedica del sesto libro al Gesualdo, stesa dallo stesso Giovanni Pietro Cappuccio: "Questi madrigali della sesta muta furono composti da V.E. nelli medesirni anni che furono quelli della quinta; e perciò questi ancora sono stati aspettati con grandissimo desiderio dal mondo da sì lungo tempo". Si tratta dunque di una scelta che Gesualdo stesso compì delle proprie opere composte dopo il 1596, con la consueta severità e l’acuto senso critico che gli vietò, per esempio, di divulgare i suoi esperimenti in stile monodico di cui è fatta menzione da parte del Fontanelli (cfr. la mia presentazione del III° Li-
bro dei Madrigali di Gesualdo, Disco Arcophon AM 668) e le canzonette pubblicate postume da Pomponio Nenna nel proprio Ottavo Libro dei Madrigali, Roma, 1618.
Nella sua critica vicenda esistenziale che dovette assumere negli ultimi anni aspetti e momenti veramente allucinanti, la musica non cessò di essere un polo costante di interesse, un campo di studio e di ricerca assidua e febbrile, nella quale Gesualdo impegnò la parte migliore di sè, le sue lucide doti intellettuali non meno dell’appassionata dedizione interiore. Tornato a Napoli nel 1597, raccolse intorno a sè un’accademia musicale comprendente Scipione Stella, Rocco Rodio, Pomponio Nenna, Muzio Efrem, Giovanni Macque, Bartolomeo Roy, Giovambattista di Pavolo, Scipione Cerreto, Giustiniano Forcella, Domenico Montella, "compositori, sonatori e cantori eccellentissimi" che il principe, secondo le parole di un contemporaneo "per suo gusto e intertenimento tiene in sua corte a sue spese". Gesualdo preso tutto dalla sua passione, ignorava le accuse di eccessiva prodigalità e di sperpero che la sua famiglia gli moveva. Egli, pontefice in questo eletto cenacolo d’artisti, mirava certo ad emulare i fasti musicali della corte estense: desiderio conferrnato dalla fondazione, nel castello di Gesualdo, di una stamperia musicale diretta da G.G. Carlino, la stessa che pubblicò i suoi due ultimi libri di madrigali e una sua raccolta di responsori.
Gesualdo volle consolidate la sua fama di compositore, pubblieando tra il quarto (1596) e il quinto (1611) libro di madrigali tre raccolte di musica religiosa: Sacrarum Cantionum Quinque Vocibus Liber Primus (1603); Sacrarum Cantionum Liber Primus Quarum Una Septem Vocibus, Ceterae Sex Vocibus Singulari Artificio Compositae (1603); Responsoria et Alia ad Officium Hebdomadae Sanctae Spectantia, a sei voci (1611). Opere tutte, a parte ogni ricerca di carattere espressivo, veramente "singulari artificio composiate", sulla linea della più rigorosa arte contrappuntistica cinquecentesca. Per quanto più propriamente concerne le ultime due raccolte di madrigali, si nota una sostanziale continuazione degli atteggiamenti espressivi maturati nei libri precedenti, soprattutto nel quarto. Nella scelta dei testi incontriamo ancora la predilezione per poesie brevi e di limitate pretese letterarie (nel Quinto Libro, su ventuno madrigali, uno solo, l’ultimo, è dovuto a un autore illustre, Giovanbattista Guarini). In questo modo Gesualdo si riserva da parte sua la massima possibilità d`intervento, sia dal punto di vista di un’autonoma organizzazione strutturale del madrigale, sia da quello di una totale ricreazione semantica del contenuto espressivo della poesia. Secondo la fine notazione critica di Nino Pirrotta "non “serva” ma “compagna" dell’orazione, la musica ha il compito di dire ciò che è indicibile a parole, di esprimere coi rivolgimenti cromatici il torcersi dell’anima nel dolore, con i salti melodici violenti e inconsueti la sfida del sarcasmo e della ribellione, con i travolgenti contrappunti di diatoniche colorature di quest'ultimo periodo... il fervore disperato della speranza o il dilatarsi panico della personalità nella gioia".
I gesti espressivi si semplificano, sino a ridursi all’alternanza e alla successione di atmosfere espressive nettamente contrastanti: è come se la poetica espressionistica di Gesualdo, portata alle sue ultime conseguenze non riconoscesse altro che la possibilità di un procedere apodittico, articolato attraverso la contrapposizione di concetti e di momenti opposti, che solo la ferrea logica con cui è condotto il discorso riesce a fondere in una struttura organica. Ancora più sviluppato che non nel quarto libro è il parametro armonico, piegato ad audacie che per più di due secoli non furono emulate nella tradizione musicale occidentale. Parallelamente, la tecnica contrappuntistica si decanta sino a raggiungere una sorta di astratta e cristallina purezza, soprattutto laddove essa è impiegata in quei passi che Vincenzo Giustiniani definiva "fughe dolci e correnti"; momenti nei quali Gesualdo raggiunge una gioiosa e prorompente pienezza di vita. Accanto a questo si delinea negli ultimi due libri di madrigali un tipo di contrappunto affatto nuovo, che potrebbe delinirsi, con il Pirrotta, "contrappunto di recitativi, dacché la sua sostanza non è più il gioco delle immagini sonore in movirnento, ma la moltiplicazione contrappuntistica dell’intensità affettiva della declamazione". Un calore umano tutto nuovo hanno i passi trattati omoritmicamente in un declamato accordale aperto a preziose, ricchissime sfumature di senso, e, in generale, a un accento di straordinaria immediatezza e verità umane.
Anche da un punto di vista contenutistico le due ultime raccolte chiudono circolarmente la tematica estetica di Gesualdo: suggellano, portandolo alle ultime conseguenze, in una sorta di apoteosi lucida, ma pure allucinata e barocca, il tema unico della sua arte, l’amore. Con le parole del Pirrotta: "Egli fu, si direbbe, romanticamente innamorato del complesso cerimoniale del corteggiamento amoroso, delle promesse deluse, delle negazioni provocanti, delle speranze risorgenti. La vita non gli diede che delusioni, incomprensioni coniugali o troppo facili avventure degradanti del senso. Pure il sogno persiste fino all’ultimo, si rinnova anzi negli ultimi anni in una fase gioiosa che le fasi precedenti non avevano conosciuto".

LIBRO QUINTO (Seconda Parte)
XIV.
Asciugate i begli occbi,
Deh, cor mio, non piangete
Se lontano da voi gir mi vedete!
Ahi, che pianger debb’io misero e solo
Che partendo da voi m’uccide il duolo.
Tutto giocato su parole privilegiate, è tra i madrigali più belli della raccolta: più che in altri pezzi, assume qui primaria importanza, ai fini espressivi, il pararnetro timbrico, trattato con singolare sensibilità in preziosi effetti cromatici.

XV.
Tu m’uccidi, o crudele,
D'Amor empia omicida,
E vuoi ch'io taccia e 'l mio morir non grida?
Ahi, non si può tacer l’aspro martire
Che va innanzi al morire,
Ond’io ne vo gridando:
"Oimè, ch’io moro amando!"
Il madrigale viene articolandosi attraverso una minuta analisi dei singoli nessi semantici, con un rovello quasi espressionistico: la chiara struttura bipartita del testo poetico viene così infranta in favore di una pittura violentemente chiaroscurata, in libero e continuo divenire.

XVI.
Deh, coprite il bel seno,
Che per troppo mirar l'alma vien meno!
Ahi, nol coprite, no, che l'alma avezza
A viver di dolcezza
Spera, miranda, aíta
Da quel bel sen, che le dà morte e vita.
Sia nel testo, un’estenuata e un po’ perversa fantasia erotica, sia nella musica si è certo di fronte a una composizione manieristica. Assai interessante, tuttavia, per una definizione dell’estremo stile di Gesualdo la violenta contrapposizione di figurazioni musicali, intese a rendere, con icastica evidenza, il contenuto concettuale e sentimentale del testo.

XVII.
Prima Parte:
Poichè l'avida sete
C’hai del mio tristo e lagrimoso umore
Non è ancor spenta, o dispietato core,
Spengala il sangue mio
C'or verserà dal mio trafitto petto
Un doloroso rio.
Seconda Parte:
Ma tu, cagion di quella atroce pena
Che a la morte mi mena,
Mira, mal grado tuo, pietoso effetto
De la tua crudeltà, del mio tormento
Che morendo al mio duol, morte non sento.
In questi due ampi madrigali, riuniti a formare un unico arco espressivo, si ha un esempio di quello stile che si era più sopra definito "contrappunto di recitativi", una delle conquiste de1l’ultimo linguaggio di Gesualdo.

XVIII.
O tenebroso giorno,
Infelice mia stato,
O mio cor tristo, sol a pianger nato!
Quando lieto ritorno
Farai dinanzi a quella
Che è più d’ogni altra bella,
Più leggiadra e più vaga,
Che can suoi sguardi morte e vita appaga?
E' un dolcissirno vagheggiamento dell’amata, bella e lontana; la tristezza del distacco e la serenante immagine della donna sono rese in due sezioni nettamente distinte sul piano stilistico e su quello significativo.

XIX.
Se tu fuggi, io non resto
Che 'l cor ti segue e grida.
Ahi, cor crudele, ove impietà s'annida,
Dove ten vai?
Deh, pria mi rendi il core
E poi ten fuggi e fugga teco amore!
La sezione iniziale e quella finale, giocate su una serie di veloci irnitazioni contrappuntistiche (in concomitanza con 1’idea della "fuga"), inquadrano un episodio centrale svolto prevalentememe attraverso una drammatica declamazione accordale.

XX.
"T’amo, mia vita!" la mia cara vita
Mi dice e in questa sola
Dolcissima parola
Par che trasformi lietamente il core
Per farsene signore.
O voce di dolcezza e di diletto,
Prendila tosto, Amore,
Stampala nel mio core!
Spiri solo per te l'anima mia
"T'amo, mia vita", la mia vita sia.
L’eleganza raffinata della poesia di Giovanbattista Guarini detta a Gesualdo una composizione dolcissima, che chiude questo quinto libro su una nota di sospesa serenità.

LIBRO SESTO (Prima parte)
I.
Se la mia morte brami,
Crudel, lieto ne moro
E dopo morte ancor te solo adoro.
Ma se vuoi ch’io non t'ami,
Ahi, che a pensarlo solo,
Il duol m’ancide e l’alma fugge a volo.
Il piano formale del madrigale presenta due sezioni, la seconda delle quali ritornellata (ABB): trattata in un denso, vischioso si direbbe, cromatismo la prima, nella quale caratteristicamente in ogni verso compare il concetto chiave della morte, in un più terso e leggero linguaggio armonico la seconda, che si risolve nel volo leggero di leggiadri contrappunti correnti dell’aereo finale. Caratteristico del compiaciuto gioco di ambiguità modale che caratterizza questo madrigale, come la maggior parte delle composizioni del sesto libro.

II.
Beltà, poi cbe t’assenti,
Come ne porti il cor, porta i tormenti.
Chè tormentato cor può ben sentire
La doglia del morire,
E un'alma senza core
Non può sentir dolore.
La poesia è costruita sulla esasperazione di una metafora tipica della poesia per musica del primo Seicento. Altissima la resa musicale: si osservi come all’esasperazione del paramento armonico si associ un gusto asciutto e crudo per gli urti, gli scontri e gli attriti delle parti contrappuntistiche, che Gesualdo può aver mediato dall’estrema produzione madrigalistica di Luca Marenzio. Di singolare bellezza ed efficacia espressiva e la lunghissima progressione cromatica che si sviluppa, di voce in voce, dal basso al soprano, per più di un’ottava e mezza.

III.
Tu piangi, o Filli mia,
E pensi estinguer quell’ardente fiamma
Che sì dolce m’infiamma.
Ahi, che sì picciol pianto fa che il core
Tanto più avvampi di vivace ardore.
Si tratta di uno dei madrigali pin interessanti per definire la libertà con la quale Gesualdo si pone di fronte al testo. Alla chiara stesura bipartita della poesia, Gesualdo oppone un’architettura musicale assai più libera e complessa, ma non meno perspicua sotto il profile formale, reiterando in forma di libera variazione i primi tre versi, evidenziando al massimo l’esclamazione del quarto, che diviene il punto focale della composizione e riservando all’ultimo un’intera, ampia sezione ritornellata, nella quale le voci sono trattate in uno scorrevole contrappunto di sapore squisitamente strumentale.

IV.
Resta di darmi noia,
Pensier crudo e fallace,
Ch'esser non può già mai quel che a te piace!
Morta è per me la gioia,
Onde sperar non lice
D'esser mai più felice.
E' questo uno dei più celebri, se non il più celebre madrigale di Gesualdo. Già i contemporanei ne sottolineavano l’eccezionalità, sotto il profilo musicale ed espressivo. Così, G.B. Doni, nel Compendio del Trattato de’ Generi e de' Modi della Musica, 1635 osserva: "...oggi non si trovano composizioni cromatiche vere (non che enarmoniche) eccettuatene alcune poche, che ne hanno qualche mistura; come quell’artificiosissimo madrigale del Principe: Resta di darmi noia...". E Pietro della Valle ricordava commosso l’intensa emozione che, giovinetto, gli aveva dato l’ascolto della composizione di Gesualdo: "...mi piaceva per affetto pietoso e compassionevole Resta di darmi noia del Principe di Venosa, famoso madrigale" (Della musica dell’età nostra che non è punto inferiore, anzi è superiore a quella dell’età passata, 1640).
Opera davvero "artificiosissima", si segnala come una delle Vette stilistiche dell’ultima stagione dell’arte di Gesualdo, che ritrova qui una misura di estrema intensità espressiva, unita a quell’accento di pacata e sommessa interiorità proprio dei suoi momenti più felici.

V.
Chiaro risplender suole
A tutti il mio bel sole,
Ma oscuro e fosco a me misero appare,
Onde in lagrime amare
Consumo la mia vita.
Ah s’io potessi almen chiederle aita!
Lieto all'or ne morrei
E finirìan, oimè, gli affanni miei.
Vien meno in questo madrigale l'espressionistica ricerca armonica delle composizioni precedenti, mentre sulla più tersa e distesa tessitura musicale vien fatto risaltare dal musicista l’elemento timbrico, che gioca sin dalla contrapposizione iniziale, quasi programmatica (Chiaro risplender suole a tutti il mio bel sole / Ma oscuro e fosco a me misero appare) un fondamentale ruolo significativo.

VI.
"Io parto" e non più dissi, che il dolore
Privò di vita il core.
Allor proruppe in pianto e disse Clori
Con interrotti omèi: "Dunque a i dolori
Io resto. Ah, non fia mai
Ch’io non languisca in dolorosi lai."
Morto fui, vivo son, che i spirti spenti
Tornaro in vita a sì pietosi accenti.
La virtuale struttura drammatica del madrigale offre il destro al musicista di proiettare la vicenda espressiva su una prospettiva mossa e franta, ricchissima di delicatissime sfumature di senso.

VII.
Mille volte il dì moro,
E voi, empi sospiri,
Non fate, oimè, che in sospirando io spiri?
E tu, alma crudele, se il mio duolo
T'affigge sì, che non ten' fuggi a volo?
Ahi, che sol Morte al mio duol aspro e rio
Divien pietosa e ancide il viver mio!
Così dunque i sospiri e l'alma mia
Sono ver me spietati e Morte pia.
Da questo testo poetico, che è la quintessenza dei motivi più vieti e triti della poesia madrigalistica Cinque-secentesca, Gesualdo ha tratto una composizione di altissimo livello espressivo. Dal suo tessuto musicale, un seguito di sfolgoranti intuizioni poetiche degne della fantasia di un artista quale Gongora, isoliamo l’ultima sezione, nella quale il manierismo del testo viene trasigurato in accenti di una poesia allucinata e metafisica.

VIII.
O dolce mio tesoro,
Non mirar s’io mi moro,
Che il tuo vitale sguardo
Non fa che mi consumi il foco ond'ardo.
Ah no, mìrami pur, ànima mia,
Che vita allor mi fia la morte mia!
L’anonimo poeta tocca in questo madrigale il culmine del suo freddo e convenzionale concettismo. Gesualdo ne ha fatto un’ampia composizione dall’incalzante ritmo narrativo, che tocca il suo clima nella rilevata esclamazione centrale: "Ah, no, mìrami pur, anima mia", e nel finale, che si apre nell’improvviso raggio di luce dell’ultimo, inaspettato accordo perfetto di mi maggiore
.
Francesco Degrada