ARCOPHON


1 LP - AM 664 - (p) 1965
1 CD - CRA 8912-2 - (c) 1996

Carlo GESUALDO da Venosa (1566-1613)





MADRIGALI A CINQUE VOCI, LIBRO II (1594)




- Caro amoroso nèo | Ma se tale ha costei
4' 19"
- Hai rotto, e sciolto 3' 37"
- Se per lieve ferita | Che sentir deve
6' 07"
- In più leggiadro velo 3' 15"
- Se così dolce è il duolo | Ma s'avverrà ch'io moia
3' 23"
- Se taccio, il duol s'avanza 2' 45"
- O come è gran martire | O mio soave ardore
3' 21"



- Sento che nel partire 5' 29"
- Non è questa la mano | Nè tien face o saetta
4' 12"
- Candida man 2' 49"
- Da l'odorate spoglie | E quell'arpa felice
3' 22"
- Non mai non cangerò 2' 50"
- All'apparir di quelle 2' 56"
- Non mi toglia il ben mio 2' 10"



 
QUINTETTO VOCALE ITALIANO / Angelo Ephrikian, direttore
- Karla Schlean, soprano
- Clara Foti, mezzosoprano
- Rashida Agosti, contralto
- Rodolfo Farolfi, tenore
- Gastone Sarti, basso
 






Luogo e data di registrazione
Villa Litta, Milano (Italia) - 12-19 febbraio 1965

Registrazione: live / studio
studio

Producer / Engineer
Giambattista Pirelli / Karla Schlean - Angelo Ephrikian

Prima Edizione LP
Arcophon - AM 664 - (1 LP) - durata 52' 18" - (p) 1965 - Analogico

Edizione CD
Rivo Alto & Electa "Musica e Musei" - CRA 8912-2 - (1 CD) - durata 52' 18" - (c) 1996 - ADD

Note
In copertina (CD): Andrea Mantegna, Camera degli Sposi (particolare) - Palazzo Ducale - Mantova











IL SECONDO LIBRO DEI MADRIGALI
Il Secondo Libro dei Madrigali di Carlo Gesualdo, pubblicato come il primo, nel 1594, rappresenta, nell’evoluzione stilistica del cornpositore, la dimostrazione di un assoluto padroneggiamento della tecnica e la perfetta adeguazione al modulo linguistico della civiltà madrigalistica contemporanea, e insieme la prima rivelazione di un nuovo mondo espressivo, di un’inedita misura artistica ed umana.
Gesualdo ci appare il musicista finissimo ed aristocratico che ricrea con rara perizia d'artefice, e quasi prolunga nello atto compositivo, l'atmosfera raffinata della sua accademia musicale, cui partecipavano le più eminenti personalità artistiche della Napoli del suo tempo, Giovanni de Macque, Bartolomeo Roy, Pomponio Nenna.
Se le estreme prove del quinto e del sesto libro presuppongono un dialogo solitario e allucinato del musicista con la sua materia, questi madrigali non si comprendono al di fuori di un deterrninato ambiente, di un ben definito contesto culturale e mondano.
Un musicisia soprattutto, sembra attirare irresistibilmente l’attenzione di Gesualdo: Luca Marenzio. Ma non mancano anche scoperte allusioni ad altri compositori, specie ai grandi fiamminghi: a Cipriano de Rore, per esempio, in Sento che nel partire, o a Giaches de Wert, in Da le odorate spoglie.
Questo Secondo Libro, contiene tuttavia ben altro che una semplice adesione ai modi illustri della contemporanea civiltà madrigalistica. Sorvoleremmo su certe particolarità segnalate dall’Einstein, allusive alla condizione di nobile "dilettante" del rnusicista, "particolarità ruvide e sgraziate, come la densa condotta delle parti, gli urti delle voci che tradiscono un orecchio stranamente insensibile, l'indifferenza alle false relazioni...". Più interessante ci sembra invece l'affermazione dello stesso studioso circa "il più pronunciato stacco tra le sezioni contrappuntisticamente animate e quelle omoritmiche, o sovraccaricate da tentazioni armoniche" rispetto agli analoghi passi nelle composizioni di Luca Marenzio.
In realtà, Gesualdo rivela sin da ora, anche se in maniera discontinua ed episodica, specie laddove il testo lo solleciti a una più intensa partecipazione sentimentale (si vedano al proposito soprattutto i madrigali; Se taccio il duol s’avanza, Sento che nel partire, Non é questa la mano) molti tratti della sua arte maggiore: in particolare la peculiare concentrazione espressiva del linguaggio musicale e la nervosa strutturazione formale, procedente per episodi contrastanti.
Seguire l’inquieto tralucere di una nuova misura d’arte e d’umanità nelle pieghe di un discorso sostenuto da una profonda e aristocratica esperienza culturale, è tra i piaceri più singolari che l’ascolto di questo disco può offrire.

*****

Caro amoroso néo
ch’illustri un sì bel volto
col negro tuo fra 'l suo candor avvolto,
se per te stesso sei
tu pur macchia e difetto,
con qual’arte perfetto
poi rendi 'l colmo de le grazie in lei!
Ma se tale ha costei
in sua beltà le mende,
qual poi saranno i fregi ond’ella splende?
(T. Tasso)
In questo primo madrigale, in due parti, Gesualdo interpreta il testo tassesco, già presago di certa tematica ampiamente sfruttata dalla poesia barocca, in maniera esasperatamente analitica. Lo scherzo di società, elegantemente galante, acquista nella trasposizione musicale un accento più serio e tormentato; sotto le forme leggiadramente modellate della musica, si sente urgere uno spirito ardente e una sensualità inquieta.

Hai rotto e sciolto e spento a poco a poco
lo stral e il laccio e
l foco
cbe punse, che legò, ch'arse ’l mio core.
O me beato, Amore,
che sento, e senza pena,
altro dardo, altra fiamma, altra catena.
E’ tra i madrigali di questo Secondo Libro il più vicino a un tipo di interpretazione non si dice convenzionale, ma certo meno profondamente personale del testo poetico. Pure, anche attraverso l’uso di tratti stilistici largamente diffusi nella prassi compositiva del secondo Cinquecento, è possibile scorgere la più vera fisionomia artistica del Gesualdo: specie nell’estatica e sospesa espressione di certe esclamazioni commosse e nella contrapposizione di episodi profondamente contrastanti nel ritmo, nell’agogica e nella tematica.

Se per lieve ferita
onde te stessa offendi,
così dogliosa, o bella man, ti rendi,
menlre tue bianche nevi
rare inostrano e brevi
di liquidi rubin parpuree stille,
che sentir deve 'l petto mio che langue
versando ognor da mille piaghe e mille
per le vene del cor fiumi di sangue?
Ahi, che a maggior dolore
convien pietà maggiore!
Vi è qui, seppur moderata da un’esrtema eleganza e misura mondana, l’intensità e il pathos del Gesualdo maggiore. La musica, espansa in due ampie e distinte sezioni, si direbbe distilli e assapori lentamente le parole del testo, non privo (nella contemplazione della mano femminile solcata dai sottili rivoli di sangue) di una tonalità "morbida", che Gesualdo non deve avere avvertita estranea.

che non le nubi in cielo
In più leggiadro velo
Madonna il suo bel visa discoperse,
Amor, deh, che in quel punto
non so se il cor fu pria degli occhi punto!
onde un raggio discese
che gli occhi e 'l cor m'accese.
Nella sua levità, è tra i madrigali più felicemente compiuti e compiuti sul piano espressivo. Si noti come la musica riesca a rendere, nella casta essenzialità dei suoi gesti, il senso di sorpresa all’apparire inaspettato del leggiadro volto femminile e la sommessa malinconia del sospeso, amoroso vagheggiamento della bellezza.

Se così dolce è il duolo,
deh, qual dolcezza aspetto
d'imaginato mio novo diletto!
Ma s'avverrà ch’io moia
di piacer e di gioia,
non ritardi la morte
sì lieto fine e sì felice sorte.
(T. Tasso)
Lo squisito testo del Tasso sollecita in Gesualdo un'intensa ricerca espressiva; ma per giudicare la distanza che separa il musicista dalle prove della sua maturità, si confronti con quanta più personale partecipazione egli tratti l’identico inciso "Ma avverrà ch'io moia", accolto nel Libro quarto dei Madrigali, di dieci anni a questo posteriore.

Se taccio il duol s’avanza,
se parlo accresce l'ira
donna bella e crudel che mi martira.
Ma pur prendo speranza
che l'umiltà vi pieghi,
chè nel silenzio ancor son voci e prieghi.
(T. Tasso)
E’ un madrigale degno delle massime prove del musicista. Nel testo tassesco il Gesualdo ha trovato un invito al suo peculiare modus operandi, procedente per contrapposti, attraverso il quale le sue musiche acquistano la loro caratteristica, inconfondibile densità significativa. La chiusa del madrigale: "ché nel silenzio ancor son voci e prighi" potrebbe essere posta ad epigrafe dell’arte del Gesualdo, nella quale il silenzio - un silenzio carico di tensione e di pathos - concorre, come nel contemporaneo luminismo pittorico l’ombra, non meno della musica alla delineazione di un acceso e vibrante mondo sentimentale.

O come è gran martire
a celar suo desire
quando con pura fede
s'ama chi non se 'l crede!
O mio soave ardore,
o dolce mio desire,
s'ognun ama il sua core
e voi sete il cor mio,
allor fia che non v’ami,
cbe viver più non brami.
La situazione evocata dal testo (peraltro tra i loci communes della poetica madrigalistica), suggerisce a Gesualdo un madrigale in due parti, distesamente modellato attraverso una piana declamazione accordiale, che solo alla fine si increspa in brevi disegni imitati, a contatto con le ultime parole, più intensamente drammatiche.

Sento che col partire
il cor giunge al morire
ond’io misero ognora, ogni momento
grido: morire mi sento!
non sperando di fare a voi ritorno.
E così dico mille volle il giorno:
partir io non vorrei
se col partir accresco i dolor miei.
Sarà interessante rilevare che questo madrigale è una sorta di parafrasi negativa di quello, celeberrimo nel Cinquecento di Alfonso d’Avalos marchese del Vasto, musicato, tra gli altri, da Cipriano de Rore:
Ancor che nel partire
Io mi senta morire,
Partir vorrei ogni momento
Tant’è il piacer che sento
De la vita ch’acquisto nel ritorno.
E così mille e mille volte il giorno
Partir da voi vorrei,
Tanto son dolci i ritorni miei.
Gesualdo non esita a misurarsi con il de Rore in una grande composizione in due parti, che dilata al massimo la trama semantica del testo; e si direbbe che il capovolgimento della situazione sentimentale delineata dal madrigale del de Rore non derivi da un puro gioco letterario, ma sia motivata, per Gesualdo, da intrinseche, profonde ragioni espressive.

Non è questa la mano
che tante e sì mortali
avventò nel mio cor fiammelle e strali?
Ecco che par si trova
ne le mie man ristretta,
nè forza od arte per fuggir le giova.
Nè tien face o saetta
che da me la difenda.
Giusto è ben ch'io ne prenda,
Amor, qualche vendetta
e se piaghe mi die’, baci le renda.
(T. Tasso)
Sin dall’esordio appassionato, questo madrigale ci fa comprendere come Gesualdo sia incapace di mantenersi entro un ambito disteso e pacato di affetti, ma tenda, dall’inizio della sua attività compositiva, ad accentuare le tinte, a marcare i contrasti, a disporre insomma la sua fantasia in una prospettiva virtualmente drammatica anche quando, come in questo caso, il testo (finissima prova letteraria del Tasso), si risolva in elegante divertimento.

Candida man qual neve a gli occhi offerse
la mia cara angioletta
per far strana vendetta
de l'acceso mio core
che, ingannata al candore,
sperando di temprar sue fiamme, forse
precipitoso corse.
O me misero, Amore,
chè ne la neve sento ardor maggiore!
E’ un’altra prova di stile; pur nell’analitica e puntuale pittura dei singoli nuclei testuali, il madrigale riesce a raggiungere un perfetto equilibrio di struttura, in virtù dei suoi puri valori musicali.

Da le odorate spoglie
sciogliete ormai la mano
che il mio voler e disvoler mi toglie;
e quell'arpa felice
a cui non si disdice
stringersi col bel petto,
d’Amor fido ricetto,
togliete, e con l’usata leggiadria,
fateci udir, cara la vita mia.
Come nel madrigale Sento che nel partire vi era un esplicito riferimento a Cipriano de Rore, è indubbio che Gesualdo, scegliendo questo testo, abbia voluto rendere ornaggio a un altro grande musicista fiammingo, Giaches de Wert. Suo è infatti il madrigale (più volte utilizzato nel Cinquecento anche come base per composizioni religiose), che si immagina eseguito sul liuto dalla bella cantatrice: Cara la vita mia. La musica leggiadramente dipinge la scena, con partecipazione e distacco insieme, come si conviene a uno squisito divertimento di società.

Non mai non cangerò
stato, voglia e pensiero
che la cruda nemica del mio core
con dolcissimo impero
volge la mia vita i giorni e l'ore
e tempra i miei desiri
or con speme, or con gioia, or con martiri.
E’ un delicatissimo madrigale, soffuso tutto di una dolce malinconia: qui Gesualclo emula Luca Marenzio nella delineazione di un’atmosfera sentimentale singolarmente tenue e sfumata.

A l'apparir di quelle luci ardenti
il duol che sì m'annoia
subito sparve e convertissi in gioia.
Amor, ferisci pur, ardi e saetta
se un così picciol ben tanto diletta!
Gesualdo è un maestro nella pittura di un divenire psicologico magistralmente sviluppato nell’arco fermo e netto del divenire formale; sentimento e struttura musicale concorrono del pari alla creazione di un madrigale tra i più belli della raccolta.

Non mi toglia il ben mio
chi non arde d’amor come faccio io.
Io solo avrò de la mia donna il core:
dunque lasci il ben mio
chi non arde d'amor come faccio io.
L’ultimo madrigale del Secondo Libro si fà notare, più che per intrinseci pregi di scrittura, come un documento della propensione caratteristica del nostro autore, quando si trovi di fronte a un testo piuttosto neutro, come il presente, a risolvere la composizione in puri ed autonomi valori musicali, attraverso la libera iterazione di frammenti e di nuclei tematici
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Francesco Degrada