ARCOPHON


1 LP - AM 656 - (p) 1965
1 CD - CRA 8912-1 - (c) 1996

Carlo GESUALDO da Venosa (1566-1613)





MADRIGALI A CINQUE VOCI, LIBRO I (1594)





- Baci soavi e cari | Quanto ha di dolce Amore
6' 02"
- Madonna, io ben vorrei
3' 28"
- Com'esser può 2' 43"
- Gelo ha madonna il seno 2' 44"
- Mentre madonna | Ahi! troppo saggia
4' 58"
- Se da sì nobil mano 2' 20"
- Amor, pace non chero 1' 21"
- Sì gioioso mi fanno 2' 22"



- O dolce mio martire 3' 00"
- Tirsi morir volea | Frenò Tirsi il desio
5' 45"
- Mentre, mia stella, miri 2' 13"
- Non mirar, non mirare 2' 56"
- Questi leggiadri 3' 43"
- Felice primavera! | Danzan le Ninfe
3' 58"
- Son sì belle le rose 1' 59"
- Bell'angioletta 2' 02"



 
QUINTETTO VOCALE ITALIANO / Angelo Ephrikian, direttore

- Karla Schlean, soprano
- Clara Foti, mezzosoprano
- Elena Mazzoni, contralto
- Rodolfo Farolfi, tenore
- Gastone Sarti, baritone
- Dmitri Nabokov, basso
 






Luogo e data di registrazione
Villa Litta, Milano (Italia) - 10-15 gennaio 1965

Registrazione: live / studio
studio

Producer / Engineer
Giambattista Pirelli / Karla Schlean - Angelo Ephrikian

Prima Edizione LP
Arcophon - AM 656 - (1 LP) - durata 53' 53" - (p) 1965 - Analogico

Edizione CD
Rivo Alto & Electa "Musica e Musei" - CRA 8912-1 - (1 CD) - durata 53' 53" - (c) 1996 - ADD

Note
In copertina (CD): Andrea Mantegna, Ritratto d'uomo - Galleria degli Uffizi - Firenze











1. BACI SOAVI E CARI
È caratteristico di Gesualdo costruire il suo madrigale attorno ad un sentimento centrale, a un pensiero sotteso che a poco a poco emerge e finalmente s’impone come essenziale nucleo poetico della composizione. Questo sentimento egli sceglie liberamente tra quelli che un testo spesso anodino gli suggerisce: e se il testo gli suggerisce l’idea della morte, è questa l’idea che fatalmente lo attrae. È ciò che avviene in questo primo “doppio” madrigale: nella prima parte le parole: “... non sente il duol di morte - e pur si muore”; e nella seconda “... la mia vita finire - oh, che dolce morire” danno origine ai momenti musicalmente più commossi. Non si può ascoltare senza emozione il drammatico ascendente di ottava del tenore (ripreso alla fine dal contralto) sulle parole “si muore”: né la sconsolata melodia (II parte) sulle parole “la mia vita finire”, da cui si sviluppa, con impressionante vigore patetico, il finale “oh, che dolce morire”.
2. MADONNA, IO BEN VORREI
Se si esclude un breve episodio sulle parole “... che l’uno al cor darìa”, in cui la rigidezza del procedimento imitativo è riscattata dalla vivacità del ritmo e da una timbrica vocale particolarmente attraente, il madrigale è tutto un abbandonarsi delle singole voci a espressioni musicali “recitanti” (tutto l’episodio sulle parole “... o tanta crudeltate”; e l’altro sulle parole “... o l'altra finiria la vita mia”). Il giudizio di Pietro della Valle, che colloca Gesualdo come maestro del nuovo mondo musicale monodico, trova qui certamente una delle sue più valide giustificazioni.
3. COM’ESSER PUÒ
Di un testo intessuto su consuetudinarie e artificiose secentesche antinomie, Gesualdo coglie e riesprime musicalmente il senso d’una angosciosa interrogazione senza risposta e ne fa la costante poetica di tutta la breve composizione.
4. GELO HA MADONNA IL SENO
Il testo è del Tasso; ma non si discosta qui dal consueto formulario di artificiose contrapposizioni verbali (“gelo-fiamma”, “ghiaccio-fuoco”, e via dicendo). Gesualdo lo riveste di una music di carattere essenzialmente lirico: la melodia vi predomina con accenti di profonda cornmozione (vedi la bellissima frase “Io son ghiaccio di fuore”, e l‘altra, verso la fine, “sì ch’io l’abbia negli occhi”): onde si ha l’impressione (suggerita anche dall’assenza di agglomerati armonici di particolare rilievo) che l’intero madrigale si sviluppi in un’atmosfera “monodica” che, nell’esecuzione, va messa in giusta evidenza.
5. MENTRE MADONNA
È un madrigale “doppio”, articolato cioè, come il 1°, in due parti. Il testo è del Tasso ed è pervaso da una sottile vena or d’ironia, or di nostalgia. La musica di Gesualdo ne coglie infallibile le più tenui sfumature e le illumina con tocco delicato e sicuro; ne esce un madrigale particolarmente ricco d’invenzione, dove, a episodi di arguzia ritmica (“sussurrando predava...”) altri ne succedono di tenera melodia (“ai dolcissimi colori”) o di intensa vita armonica (“purpurea rosa”, nel finale della prima parte, in cui la luminosa risoluzione esplode da un agglornerato armonico fortemente dissonante). La seconda parte è caratterizzata da un impiego delle voci in funzione
coloristica”, da un certo loro modo di disporsi in particolari “timbri” (vedi ad esempio la frase “vil ape amor”) che sortono ad effetti stranamente strumentali. Il finale, in simmetria con quello della prima parte, si affida alla suggestione di un progressivo aprirsi” di armonie nascenti dalla espansione melodica orizzontale delle singole voci.
6. SE DA SI NOBIL MANO
Di chiara struttura e tenue ispirazione, questo madrigale, nel suo equilibrato alternarsi di episodi omofoni e polifonici, nella chiarità delle sue risultanti armoniche, nella linearità delle sue strutture melodiche sembra non voler accogliere alcuna suggestione del testo poetico tassesco, che gli rimane del tutto estraneo, semplice pretesto al disteso lirismo del discorso musicale.
7. AMOR, PACE NON CHERO
L'emozione poetica di questo breve madrigale sembra concentrarsi tutta - ed esaurirsi - nelle prime dieci battute, culminando nei due arditi salti d'ottava del tenore e del basso sulla parola “amor”. Da questo punto, la composizione è portata avanti con gran mestiere, ma con sensibile disinteresse. Il testo non meritava di più.
8. SI GIOIOSO MI FANNO
Anche questa composizione è caratterizzata dalla presenza - seppur dissimulata nei numerosi episodi polifonici - di uno spirito essenzialmente monodico, polarizzato nella voce superiore: cosicchè è facile immaginare questo madrigale eseguito “a voce sola” (soprano) con l'accompagnamento di strumenti in luogo delle altre quattro voci.
9. O DOLCE MIO MARTIRE
Questo madrigale, uno dei più belli di questo primo libro, si snoda in un’atmosfera di tenera dolcezza, or raccolta in ombra, or illuminata da brevi luci di gioia, in una continua oscillazione di modi maggiori e minori che, nel gioco delle imitazioni, riverberano tenuti colori vocali. La composizione trova il momento di più alta commozione lirica là dove, conclusasi in aperto “maggiore” la frase “... io più beato e più felice vivo”, la voce del tenore - sulle parole “quest’è poter d’amore” - viene quasi avvolta dalle altre voci in un’onda melodica di struggente dolcezza.
10. TIRSI MORIR VOLEA
È questo, forse, il capolavoro del primo libro. Già l’Ambros l’aveva, un secolo fa, segnalato nella sua prima analisi critica dell’opera gesualdiana. Il testo letterario, pur nel suo convenzionale barocchismo, ha un suo strano fascino: Gesualdo lo trasfigura in altissima poesia. Nella seconda parte, in particolare, l'idea di una morte desiderata tanto da morire (“sentendo morte in non poter morire”) diviene disperata angoscia nell’ossessiva ripresa, attraverso tutte le voci e su tutti i gradi, delle quattro note ascendenti sulle parole “di non poter”. E l’ultima ascesa del soprano, alla quintultima battuta, tocca veramente un vertice tragico.
11. MENTRE MIA STELLA MIRI
Di colore chiaro, armonisticamente disteso, deciso nel bel ritmo dattilo-spondaico, sospeso talora (“le tue dolci faville”) in trasparenti sonorità omofone, è questo il madrigale d’un Gesualdo rasserenato e composto in classica euritmia.
12. NON MIRAR, NON MIRARE
È un madrigale che vorremmo definire “sinfonico”: il gioco delle sonorità vocali (vedi l’inizio; o la frase “e loquace silenzio” che rimane come sospesa nell’immobilità creata da una  nota tenuta del mezzosoprano), il ricco movimento melodico delle parti, il riverberarsi di voci in echi (“va, va”), ne fanno un “divertimento” di raffinatissima sensibilità musicale.
13. QUESTI LEGGIADRI
Anche qui Gesualdo sa cogliere infallibile il sentimento centrale del testo e su questo mette il suo accento di poeta: “Pietà vi move della doglia mia”. L’arditezza armonica del finale, articolata sui salti d’ottava ascendente del baritono e del basso, esprime con commozione di rara potenza l’accoratezza dell’invocazione.

14. FELICE PRIMAVERA
Nell’alternanza consueta di episodi polifonici ed omofoni, ma nell’inconsueta disposizione vocale di questi ultimi e nella levità melodica dei primi, Gesualdo realizza musicalmente il pastorale, dolcissimo testo del Tasso con una preziosa trasparenza di colori e di timbri.
15. SON SÌ BELLE LE ROSE
A una introduzione che, con il progressivo entrar delle voci, sembra passare da una zona d’ombra ad una di luce, segue un discorso musicale in cui omofonia e polivocalità si snodano e si alternano con elegante moto. Un brano, comunque, in cui l’arte non sorte a poetica commozione e il cui fine sembra essere una pura e preziosa dilettazione sonora.
16. BELL’ANGIOLETTA
Quest’ultimo rnadrigale è animato, dall’inizio alla fine, da uno slancio lirico che non ha pausa o respiro, tutto teso verso il vertice espressivo delle parole “io amo
, che concludono la breve, stupenda composizione.
Francesco Degrada