QUARTETTO ITALIANO


Columbia - 1 LP - 33QCX 10114 - (p) 03/1955
Columbia - 1 LP - 33CX 1230 - (p) 03/1955
Tahra - 2 CD - Tah 647-648 - (c) & (p) 2008
Warner Classics
14 CDs - 0190296739200 - (p) & (c) 2021

Franz Joseph Haydn (1732-1809)






Quartetto in fa maggiore "Serenata", Op. 3 n. 5 (Hob. III:17)
16' 53"
- Presto
4' 28"

- Andante cantabile 5' 42"

- Minuetto 3' 29"

- Scherzando 3' 14"





Quartetto in re minore "Quinte", Op. 76 n. 2 (Hob. III:76)
21' 34"
- Allegro 7' 05"

- Andante o piuttosto allegretto 5' 47"

- Minuetto 4' 17"

- Finale. Vivace assai 4' 25"





 
QUARTETTO ITALIANO
- Paolo Borciani, Elisa Pegreffi, violino
- Piero Farulli, viola
- Franco Rossi, violoncello

 






Luogo e data di registrazione
Milano (Italia) - 1/7 luglio 1954


Registrazione: live / studio
studio

Producer / Engineer
-

Prima Edizione LP
Columbia | 33QCX 10114 - (Italy) | 1 LP | (p) 1955 | Mono
Columbia | 33CX 1230 - (England) | 1 LP | (p) 1955 | Mono


Prima Edizione CD
Tahra | Tah 647-648 | 2 CDs - 63' 21" - 58' 42" - (1°, 5-8, 9-12) | (c) & (p) 2008 | ADD
Warner Classics | 0190296739200 | 14 CDs [CD6] - 38' 31" | (p) & (c) 2021 | Mono


Note
-














Per quasi un secolo, Franz Joseph Haydn venne chiamato "il padre della Sinfonia" e nessuno pensò di contestargli questo previlegio. Padre della Sinfonia moderna, beninteso, ossia di quella forma che continuò a risplendere con Mozart, Beethoven, Schubert, Mendelssohn, Schumann, Brahms e Bruckner. Padre di quella creatura mirabile, che, assumendo spiriti dall'antica Sonata (da chiesa o da camera) dall'ouverture d'opera, dal Concerto grosso e dalla Suite di danze, si presentò alle soglie del romanticismo come un mezzo ideale per esprimere, attraverso la purezza e l'astrazione della musica, il nuovo senso drammatico dell'esistenza, la volontà di ritrarre, con l'arte, tutti i flussi e reflussi dell'anima, i suoi contratti, le sue mutazioni d'umore, i richiami dal mondo esterno e gli interrogativi dal mondo interiore. Padre di quell'immaginaria "azione", per solito divisa in quattro atti (vale a dire in quattro "tempi" o "movimenti"), dove lo stesso brano, a differenza di quanto era accaduto in passato, non si atteneva più a un unico e fondamentale clima psicologico, a un'unica e fondamentale rappresentazione, ma si scomponeva in una sorta di giuoco dialettico, in ma sorta di contrasto, ottenuti con l'impiego di due (anzichè una) idee tematiche. La conclusione del conflitto appariva come la catarsi, come la morale, come la logica predestinazione di una lunga storia. La paternità haydniana non sollevò obbiezioni, come già dicemmo, fino alle soglie del presente secolo. Qui, parecchi studiosi, dimentichi dell'aforisma di Linneo "natura non facit saltum", andarono a spulciare le opere di molti maestri anteriori o contemporanei ad Haydn, e trovarono, più o men chiari, precedenti della Sinfonia moderna che non potevano attribuirsi al compositore austriaco. Si fecero i nomi di Giovanni Stamitz, di Federico Rust, di Frainçois Gossec, di Gianbattista Sammartini etc. Quei valenti ricercatori trascurarono, però, importantissimi elementi: primo, che la nuova forma sinfonica "stava nell'aria", in quanto eepressione musicale di una nuova concezione dell'estetica e della vita medesima, sicché "suo padre" sarebbe apparso quel tale che, a sparsi e vaghi aneliti, fosse riuscito a dare un contenuto rigoroso e di qualità superiore; secondo, che il basarsi sul semplice intervento occasionale di due idee tematiche in luogo di una per determinare il "tempo" sinfonico avrebbe condotto ancor più addietro nei secoli; terzo, che l'introduzione delle due idee era significativa e producente sol quando avesse avuto, come conseguenza, la nascita di un nuovo tipo di tematismo; insomma, una nuova qualità musicale. Franz Joseph Haydn assolse a tutte queste condizioni e, pertanto, può ben meritarsi il suo epiteto di "padre della Sinfonia". Ma il più bello è che, se un altro maestro poteva condividere col maestro di Rorhau quell'onore, il nome di lui non venne fatto nel più caldo periodo dell'esplorazione sinfonica e balzò fuori assai più tardi. Vogliamo intendere il nome del lucchese Luigi Boccherini, le cui Sinfonie, per oltre un secolo, rimasero del tutto ignote.
E qui, veniamo al nodo della questione. La struttura della nuova Sinfonia non fu cosa limitata al solo campo orchestrale. Essa riguardò, ugualmente, la musica da camera, nei suoi generi della Sonata per pianoforte o per un istrumento e pianoforte, del Trio, del Quartetto e del Quintetto. Tutte queste forme seguirono, accompagnarono, talvolta precedettero il destino della Sinfonia. Così stando le cose, il problema andava esaminato da un punto di vista più ampio; si doveva tener conto che, a prescindere dal volume e dai rapporti di suono, dalla destinazione pubblica dei diversi lavori etc, una Sinfonia, come schema di composizione, valeva una Sonata, un Trio, un Quartetto o Quintetto. E Haydn, invero, applicò a tutte queste classi di composizioni per la camera il nuovo concetto, adattandolo alle particolari esigenze di ognuna, ma sempre spiegandovi l'idea di farne un mezzo atto a rappresentare e ad esprimere una rinnovata posizione dello spirito. Fu lui, con Boccherini, quello che intese fin nel profondo le possibilità dialogiche di pochi istrumenti messi insieme; le possibilità di personificarli in modo sempre più netto: di creare un'unità totale attraverso l'indipendenza dei singoli e di produrre un tipo inedito di polifonia, distante dal contrappunto della fuga come dal contrappunto della musica vocale a più parti.
Oltre ottanta furono i Quartetti scritti da Haydn, a cominciare dal 1763 per finire nel 1801 o 1802. Si può dunque dire che Franz Joseph, salvo una pausa durata dal 1772 al 1782, si sia dedicato alla composizione di Quartetti per quasi tutto il corso della sua vita attiva. I primi suoi lavori di tal genere, pubblicati coi numeri d'opera 1, 2 e 3, risentono ancora (in modo decrescente quanto più sono avanzati nel tempo) di una certa perplessità di scelta fra le vecchie forme del Divertimento, della Cassazione, del Notturno (originate dalla Suite di dame) e la forma che stava nascendo. Così come risentono di una certa cautela nel rendere complessa, articolata, intersecata la polifonia, e si affidano sovra tutto al primo violino, contenendo il secondo, la viola e il violoncello nell'ufficio di colorarne le linee mediante l'armonia e di chiarirne l'impianto ritmico. Ciò non ostante il Quartetto n.5 dell'opera 3, scritto nel 1764 e pubblicato nel 1769, pone già tutti i caratteri del genio haydniano: chiarezza estrema di condotta costruttiva e di eloquio, personalità del materiale tematico, naturalezza e infallibile conseguenza del discorso; ombre di humour, echi rustici e popolareschi che si insinuano nell'eleganza stilistica; affettuosità adorabili non mai spinte verso il sentimentalismo ma piuttosto tinteggiate da una trasognata ed infantile innocenza, da un dolce e stupefatto incanto. Il primo "movimento" del
Quartetto op.3 in la maggiore (Presto in 3/8), non presenta molta differenza di durata fra la prima parte conchiusa, come d'uso, alla "dominante" do maggiore e la seconda (ossia la parte degli "sviluppi" e della "ripresa"), che riporta al tono fondamentale. L'una comprende, infatti, novanta battute; l'altra centotrentaquattro. Già questo è indizio di una semplicità e di un modesto impegno
che, in seguito, si trasformeranno. Il pezzo ha una intonazione villereccia, uno slancio pieno di grazia, una cordialità piena di franchezza. Segue un Andante cantabile in do maggiore 4/4, che divenne ben presto favorito dai dilettanti e che, per l'andamento melodico tenuto dal primo violino e l'accompagnamento invariabilmente "pizzicato" degli altri tre istrumenti, meritò al Quartetto in
la maggiore il sottotitolo di "Quartetto della Serenata". Il terzo "tempo" è, come al solito, un Minuetto con Trio e "da capo", anche questo conciso ed estremamente semplice. Il Finale (in 2/4 Scherzando) richiama l'immagine di musici di campagna, intenti a far ballare un gruppo di contadini. E' una delle tante nostalgie di Haydn, pescatore e cacciatore accanito, fedele alle sue origini sino alla morte, uomo "d'aria aperta", che il destino costrinse a servire nei palazzi e nei castelli dei grandi signori.
Il Quartetto op.76 n. 2 in re minore è invece uno degli ultimi composti dal maestro. La sua creazione sembra risalire al 1797; la pubblicazione avvenne nel 1799. A quell'epoca Mozart era già morto e il giovane Beethoven da cinque anni, s'era stabilito nella capitale austriaca. La Rivoluzione francese s'era quasi consumata del tutto, l'astro napoleonico andava nascendo e il romanticismo imponendosi sul pensiero dell'Europa intiera. Goethe aveva già pubblicato, da parecchi anni, "I dolori del giovane Werther". Un artista introspettivo come Haydn, un artista che, da sè solo, aveva studiato e ricercato giungendo a strabilianti scoperte, non poteva non risentire di tanti sconvolgimenti spirituali. Così, se i primi Quartetti suoi segnarono una rivoluzione della forma e del linguaggio puramente musicale, quello in re minore dell'op.76 e altri molti segnarono una rivoluzione nel suo modo d'essere e di concepire la vita. Il primo "movimento" (Allegro in 4/4) propone subito forti problemi col suo tema iniziale basato su una successione di due intervalli di "quinta discendente" (sono anzi questi intervalli che daranno a tutto il Quartetto l'epiteto di "Quartetto delle quinte"). Il tema suddetto, oscuro ed ansioso, sale verso il registro acuto, si spezza come in singulti e conchiude, alla tonica, con un gesto deciso e volontario. Da questo punto, sul disegno delle quinte serpeggiante fra i vari istrumenti, si innestano nuovi incisi ritmici e melodici e sbocca ma "seconda idea", profondamente diversa dalla prima ma non meno carica di appassionata espressione. Dopo una posa in la maggiore, minacciosamente mormorata dal solo violoncello, le "quinte" si ripresentano, nell'originario disegno, or discendente or rovesciato, vale e dire per moto ascendente. Il pezzo quindi termina con un drammatico crescendo. Il secondo "tempo" (Andante o più tosto allegretto in 6/8) è un'affascinante monologo del primo violino, una fantasticheria dove accoramento e sorriso non sanno mai superarsi; una specie di canzone che, dopo breve passaggio in minore, ritorna variata, adornata, incoronata da figurazioni leggere e si spegne come dileguando nel cielo. Nel Minuetto (Allegro ma non troppo) abbiamo un esempio mirabile di "canone all'ottava" fra i due violini, da una parte, la viola e il violoncello dall'altra. Vigore ed energia, non esenti da una qualche tristezza, sono i sentimenti dominanti nel brano. Il Finale (vivace assai in 2/4) ci riporta nei paesaggi campagnoli tanto cari al maestro. Ma, questa volta, Haydn non soltanto descrive: egli è presente con la sua saggezza, con la sua lunga esperienza, con il suo piacere di inserirsi nell'oggetto, con la sua gioia di poterne regolare la sorte. Noi sentiamo com'egli veda lo spettacolo attraverso certe brevi parentesi, certe evasioni che spezzano il rigido corso della forma "a rondò" e le regolari "riprese" del tema. Il Finale si stabilisce a poco a poco sulla tonalità di "re maggiore", e in questa tonalità trova il suo termine felice e glorioso.
Giulio Confalonieri
(Columbia 33QCX 10114)