QUARTETTO ITALIANO


Paragon/Amadeus - 1 CD - AM 151-2 - (p) 2002

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)


Adagio e Fuga in so minore, KV 546
9' 03"




Ludwig van Beethoven (1770-1827)


Quartetto per archi in si bemolle maggiore, Op. 133 "Grande Fuga"
18' 77"




Igor Stravinskkij (1882-1971)


Doppio canone (1959)

1' 35"
Tre pezzi per quartetto d'archi (1914)

6' 13"
- [Danse] 0' 56"

- [Excentrique] 1' 53"

- [Cantique] 3' 21"

Concertino (1920)

7' 24"




Robert Schumann


Quartetto in la maggiore, Op. 41 n. 3
31' 56"
- Andante espressivo - Allegro molto moderato 8' 20"

- Assai agitato
7' 24"

- Adagio molto
8' 51"

- Finale. Allegro molto vivace
7' 21"





 
QUARTETTO ITALIANO
- Paolo Borciani, Elisa Pegreffi, violino
- Piero Farulli, viola
- Franco Rossi, violoncello

 






Luogo e data di registrazione
Festival di Berlino (Germania) - 20 settembre 1977

Registrazione: live / studio
live

Producer / Engineer
Sender Freies Berlin

Prima Edizione LP
-


Prima Edizione CD
Paragon/Amadeus | AM 151-2 | 1 CD - 75' 47" | (p) 2002 | ADD


Note
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WOLFGANG AMADEUS MOZART - Adagio e Fuga in do minore, KV 546
Mozart si applicò a più riprese e con passione allo studio del contrappunto. Fu soprattutto negli anni del soggiorno viennese che ebbe modo di conoscere e approfondire i grandi lavori oontraoppuntistici del passato; fu a Vienna che venne in contatto con la cerchia del barone Gottfried van Swieten, mecenate e colto dilettante di musica che nella sua abitazione organizzava regolari esecuzioni della musica di Bach e Händel. E fu ancora negli anni viennesi che Mozart si entusiasmò per le fughe di Bach, che fece oggetto di uno studio attento e appassionato. Non doveva essere estranea a questo interesse neppure la frequentazione degli ambienti massonici, cui lo stesso van Swieten apparteneva. La fuga e la scrittura contrappuntistica assumevano, in quella cerchia, il valore di una trasparente metafora: nell'edificio contrappuntistico, e nella fuga che ne è la più complessa espressione, gli adepti coglievano di riflesso l'operato del Grande Architetto dell'Universo. Di qui l'attivismo con il quale le logge massoniche si adoperarono, nelle principali città europee, per riportare in vita capolavori del passato come gli oratori di Händel e le fughe di Bach, nei quali la scienza contrappuntistica raggiunge vertici ineguagliati.
Uno dei massimi contributi di Mozart al genere è costituito dalla Fuga in do minore K. 546, composta in origine per due pianoforti (K. 426) e trascritta in seguito per archi, con l'aggiunta di un Adagio introduttivo. Di straordinaria intensità espressiva, l'Adagio è dominato dal contrasto tra figure ritmiche ed energiche e un motivo dolente, che insiste su patetici semitoni. Lo stesso contrasto espressivo tra azione e ripiegamento, tra eroismo e rassegnazione caratterizza l'austero soggetto della Fuga. Improntata a un clima di estrema severità, la composizione dà fondo a tutti gli artifici del contrappunto osservato, valendosi di una tecnica e di un controllo espressivo che rivelano la profonda assimilazione della lezione bachiana.

LUDWIG VAN BEETHOVEN - Quartetto per archi in si bemolle maggiore, Op. 133 (Grande Fuga)
Nata come movimento finale del Quartetto op. 130, la Grande Fuga op. 133 di Beethoven è composizione di grande impegno e di dimensioni imponenti. La complessità della scrittura contrappuntistica e il radicalismo del linguaggio ne fanoo una delle opere più emblematiche, e al tempo stesso enigmatiche, del tardo stile beethoveniano. Fu separata dall'originario Quartetto, scritto per il principe Galitzin nel 1825, per ragioni pratiche: per l'eccessiva lunghezza, ma anche per la reazione fredda del pubblico dell'epoca, sconcertato dalla complessità, dalle durezze, dalla difficoltà dell'opera. Fu solo il Ventesimo secolo a rivalutare quello che per arditezza e libertà di sciittura e di concezione, oltre che per ampiezza di proporzioni, è il lavoro contrappuntistico più impegnativo e ambizioso elaborato da Beethoven.
La Grande Fuga op. 133 è costituita da tre ampie fughe, precedute da un'introduzione (che Beethoven chiama Overtura) e inframmezzate da episodi in stile contrappuntistico. Della fuga il compositore accoglie, oltre ai procedimenti tecnici e formali ereditati dalla tradizione, il principio cardine (anche laddove si allontana dalle regole scolastiche): l'unità della composizione è assicurata da una sola cellula tematica - che nel nostro caso è identificabile in una precisa successione di intervalli - dalla quale vengono ricavati tutti i temi fondamentali. Questa cellula tematica viene sistematicamente sottoposta a processi di elaborazione: la Grande Fuga, dunque, è il punto di convergenza, e la sintesi suprema, delle due principali tradizioni storiche nella viviltà musicale occidentale; da una parte il contrappunto, il principio imitativo che si incarna nella polifonia rinascimentale e nella fuga barocca, dall'altra il sonatismo classico, con il principio dell'elaborazione motivico-tematica e il suo forte potenziale drammatico.
All'inizio della Grande Fuga, nell'Overtura, è ordinatamente presentato il materiale tematico su cui poggerà tutta l'imponente costruzione. Vi vengono esposti quattro temi, ciascuno con la propria configurazione ritmica e la propria fisionomia; ma tutti derivano dalla stessa cellula melodica: un disegno spigoloso, cromatico e dissonante. Nonostante la diversità del carattere, possono essere considerati come quattro diverse formulazioni melodiche dello stesso tema, che chiamiamo "tema fondamentale". Tutto ciò che segue è riconducibile a una di queste quattro forme.
Il "tema fondamentale" si presenta, inizialmente, in tempo Allegro, in valori lunghi, intonato all'ottava da tutti e quattro gli archi. L'atteggiamento è enfatico, declamatorio; l'imponenza dell'effetto è accresciuta dalla sonorità sostenuta e dalla presenza dello sforzato. Subito dopo, il "tema fondamentale" si presenta in una versione ritmica ternaria, più rapida, dalle movenze danzanti. Gli archi continuano a suonare in ottava e forte, prolungando l'impulso energico delle misure precedenti e rendendo il tema, al tempo stesso, ancor più dinamico. Il tempo si fa ora più lento (Meno mosso e moderato, il metro cambia da ternario in binario, la sonorità si riduce al piano. Il tema nella sua terza forma, misterioso, compare dapprima al primo violino, poi al violoncello. Sull'intervento di quest'ultimo gli altri archi eseguono figure ornamentali, frammenti melodici che in seguito si riveleranno strutturali: costituiranno, infatti, l'ossatura dell'episodio centrale della Grande Fuga. Il "tema fondamentale" si presenta infine in una quarta forma: sempre più piano e misterioso, è affidato al primo violino solo, che lo esegue inframmezzandone le note con pause.
Prende ora il via la prima fuga. Il soggetto ha un'indole energica, addirittura rude, e una natura ritmica molto pronunciata. Il "tema fondamentale", assunto nella quarta forma dell'Overtura, gli fa da controsoggetto; il contrasto tra i due, assai marcato, è il motore dell'intera prima parte. A una regolare esposizione, con quattro entrate canoniche determinate dal soggetto e dalla risposta, cui si aggiunge un'entrata ulteriore del soggetto, seguono esposizioni successive ai grandi affini e stretti, intercalati da divertimenti che elaborano brevi spunti del materiale tematico fondamentale. Ovunque domina, implacabile, l'incessante ritmo puntato del soggetto, che con le sue inflessioni determina dissonanze e urti aspri.
Terminata la prima fuga, ha inizio un episodio in tempo Meno mosso e moderato, in stile contrappuntistico meno rigoroso (si tratta d'un fugato). L'episodio è basato sulla terza versione del tema "tema fondamentale" e sulle figure ornamentali che l'accompagnavano nell'Overtura. Contrasta vivamente con la vigorosa fuga precedente: l'atteggiamento è meno severo, il colore strumentale è più chiaro, il tono generale è improntato al lirismo e alla morbidezza. Segue un nuovo episodio imitativo (Allegro molto e con brio), in ritmo ternario, basato sulla seconda versione del "tema fondamentale".
La seconda fuga assume, per soggetto, il "tema fondamentale" nella sua prima versione, della quale conserva i valori lunghi e gli energici sforzato. Gli fanno da contrappunto due distinti controsoggetti: il primo è ricavato dall'incipit del "tema fondamentale" nella sua seconda forma, per moto contrario; il secondo dall'incipit della terza versione del medesimo "tema fondamentale". A partire dal termine dell'esposizione, i processi di elaborazione tematica prendono il sopravvento sui procedimenti contrappuntistici e sugli artifici imitativi tipici della fuga vera e propria.
La terza fuga, che si salda direttamente alla precedente, si basa su una versione del "tema fondamentale" trasformata nella veste ritmica. Esaurite le quattro entrate canoniche del soggetto e della risposta, si alternano "divertimenti" e "stretti", nel corso dei quali riaffiorano allusioni alle varie versioni del "tema fondamentale". Il tempo cambia di nuovo: si fa ritorno al Meno mosso e moderato dell'episodio che seguiva immediatamente la prima fuga. Qui, tuttavia, la scrittura si fa più complessa: Beethoven combina i due disegni con la terza versione del "tema fondamentale" suonata per moto contrario, realizzando così un intricato contrappunto triplo. Dopo la ripresa della sezione imitativa, ampliata nelle dimensioni e condotta sino a un poderoso climax, e dopo brevi e frammentarie reminiscenze tematiche, attacca l'enfatica coda conclusiva, nella quale il "tema fondamentale" compare nella sua prima versione. Tutta la coda è ispirata a un atteggiamento positivo ed energico: è dunque in un clima trionfale di vittoria che si chiude la grande e complessa composizione beethoveniana.

IGOR STRAVINSKIJ
Doppio canone
Doppio canone, una brevissima composizione scritta a Venezia nel 1959, fu dedicata da Stravinskij alla memoria del pittore Raoul Dufy. La composizione, stando a Robert Craft, non nacque tuttavia a quello scopo: alle sue origini sta la richiesta di un privato, che desiderava da Stravinskij un autografo; solo in seguito l'autore la trasformò nel Doppio canone per quartetto d'archi e la dedicò alla memoria di Dufy (che del resto non aveva mai conosciuto personalmente). Si tratta di un brano dalla costruzione molto rigorosa e complessa. Vi si succedono canoni originati da una serie dodecafonica (cioè da un "soggetto" costruito utilizzando le dodici note della scala cromatica) nelle sue varie forme. Dapprima il soggetto origina un canone per moto retto, alla seconda inferiore, tra primo e secondo violino; poi l'ingresso di viola e violoncello determina un doppio canone, per moto retto e per moto retrogado. Le possibilità combinatorie vengono ulteriormente esplorate con un altro doppio canone, per moto retrogrado e per moto retrogrado contrario; infine i due violini presentano, soli, un canone del soggetto per moto retrogrado contrario. Apparentemente, una composizione di questa natura ha più a che fare con l'enigmistica che con la musica. Al di là del puro gioco combinatorio, in realtà, sono leggi di natura prettamente musicale che la governano. La serie prescelta, innanzitutto, ha un carattere particolare: è simmetrica, presenta una quinta centrale e intervalli di terza, cosicché non manca di una certa cantabilità; il contrappunto che origina, inoltre, determina frequenti incontri verticali consonanti. Lo stesso schema architettonico è assolutamente familiare. Il brano inizia con due violini soli, ispessisce la scrittura e la trama contrappuntistica nella parte centrale e torna alla tessitura leggera nella parte finale, quando i due violini restano nuovamente soli: tutto ciò corrisponde a una forma ad arco, cioè a uno schema costruttivo comune, particolarmente prediletto dalla tradizione della musica colta occidentale.
Tre pezzi per quartetto d'archi
I Tre pezzi per quartetto d'archi, che segnano una tappa importante nel percorso creativo di Stravinskij, risalgono agli anni del soggiorno nel cantone svizzero di Vaud, dove nacquero tra l'aprile e il luglio del 1914. Stravinskij li lasciò senza titolo e senza indicazioni di movimento; quando li pubblicò, nel 1922, annotò all'inizio di ciascuno di essi solo il numero di metronomo. Ma già la stessa denominazione (Tre pezzi, anzichè Quartetto) è sintomatica: l'autore voleva evidentemente prendere le distanze da uno dei generi più saldamente ancorati nella tradizione classico-romantica, distaccandosi anche dalle pratiche compositive - l'impianto sonatistico e l'elaborazione motivico-tematica, in primo luogo - che si identificavano più intimamente con quel genere e quel repertorio. su questa linea, i Tre pezzi vanno anche oltre: del quartetto classico rigettano infatti quei presupposti linguistici - la tonalità, il principio dell'identità tematica - che lo stesso Stravinskij, almeno dal tempo di  Petruška, aveva fortemente contribuito a incrinare.
Anche dal punto di vista della semplice scrittura strumentale i Tre pezzi sono tutt'altro che convenzionali. Il Quartetto d'archi, nella tradizione classica, mira alla fusione timbrica e al rapporto paritetico tra gli interlocutori. Nel primo pezzo il primo violino deve suonare con tutta la lunghezza dell'arco, il secondo deve emettere suoni secchi al tallone, la viola produce un'unica nota pizzicata e al ponticello, il violoncello è trattato come uno strumento a percussione: prescrizioni del genere, che implicano diversi modi d'attacco e diversi modi di produrre il suono, fanno sì che ciascuno strumenti conservi una percepibile identità e che non si realizzi alcuna fusione timbrica. Anche rispetto al principio dello scambio paritetico Stravinskij va in direzione opposta. Si ascolti ancora il primo pezzo: il primo violino propone un motivo che utilizza solo quattro note, nello stile di una danza popolare russa, e lo ripete identico quattro volte; gli altri tre strumenti ripetono ciascuno una propria figura, senza che si realizzi alcuno scambio. L'incomunicabilità tra i membri del quartetto e l'assenza completa di sviluppo sono dunque la cifra distintiva del pezzo, che comunica un senso di caratteristica e simmetrica rigidità: l'esatto contrario dello spirito quartettistico, basato sulla circolazione dei motivi tra le singole parti e sulla loro evoluzione nel tempo. Il principale propulsore, qui, è invece il ritmo, mobilissimo per i continui spostamenti di accento: Stravinskij applica, su più piccola scala, i procedimenti sperimentati con successo nel Sacre du printemps.
Il rapporto tra i singoli movimenti è un altro aspetto che tradisce la presa di distanza dalla tradizione. I movimenti di un quartetto classico sono uniti, oltre che da un legame tonale, da una rete sottile di relazioni tematiche e di reminiscenze sotterranee; Stravinskij accosta invece i Tre pezzi come tre quadri contrastanti e senza alcun rapporto reciproco (qualche anno dopo, trascrivendoli per orchestra, darà loro i titoli Danse, Excentrique, Cantique). Il secondo pezzo, cromatico e spiccatamente espressionista nell'atteggiamento, procede per strutture rigidamente separate e contrastanti. Stando ai Memories il brano, con il suo movimento a scatti, sarebbe stato ispirato dall'esibizione di un vlown, Little Tich, che Stravinskij vide a londra nell'estate del 1914. Il terzo pezzo contrasta in modo ancora più netto con i precedenti. Gli archi, che determinano una fascia sonora timbricamente fusa e omogenea, procedono rigidi nei modi di un corale, con un ritornello e risposte salmodianti che ricordano le note iniziali di una celebre sequenza gregoriana, il Dies irae. E' uno stile severo e ieratico, del quale Stravinskij si ricorderà nelle composizioni religiose degli anni a venire.
Concertino
Scritto nell'estate del 1920 su invito di Alfred Pochon, primo violino del Quartetto ginevrino Flonzaley, che voleva inserire un pezzo contemporaneo nel proprio repertorio, il Concertino di Stravinskij reca questo nome per il ruolo nettamente solistico del primo violino, la cui parte è anche arricchita da una cadenza. La composizione ha un carattere incisivo, a tratti graffiante, ben esemplificato dal "motto" politonale d'esordio, che ricorre nei punti salienti: un motivo costituito dalla sovrapposizione delle scale di do e di si maggiore, dall'effetto tagliente.
Il brano è in un solo movimento ed è, stando allo stesso Stravinskij, "realizzato in forma libera di allegro di sonata". Le parole dell'autore sono da intendersi in senso molto lato. Elementi del sonatismo classico sono da rintracciare, forse, nel principio del contrasto dialettico: dunque nell'opposizione tra due zone contrastanti, una sezione fondata su motivi nervosi e ritmicamente incisivi e quella successiva, basata su un motivo più disteso e cantabile. Per il resto, costituiscono momenti rilevanti l'ampia cadenza del primo violino, tutta impostata sulle doppie corde; il climax che coincide con una serie di accordi ribattuti "très mordant" con gli accenti continuamente spostati, dall'effetto quasi brutale; il frammento melodico che emerge a un certo punto e che riecheggia vagamente un'aria popolare russa.
Nel 1952 Stravinskij effettuò una trascrizione del Concertino, adattandolo a un complesso di dodici strumenti, nel quale a dieci fiati si contrappongono un violino e un violoncello con funzione concertante. In seguito la composizione fu ancora utilizzata da Stravinskij, assieme ai Tre pezzi per quartetto d'archi, per un balletto intitolato The Antagonist, allestito all'American Danse Festival di New London (Connecticut) nel 1955 con la coreografia di Ruth Currier.

ROBERT SCHUMANN - Quartetto in la maggiore, Op. 41 n. 3
L'interesse di Schumann per il quartetto d'archi, una delle forme più nobili della tradizione classica, doveva essere ben vivo già nel 1838, quando aveva dato avvio ai Quartettmorgen (mattinate quartettistiche) nella sua casa di Lipsia. Vi si riuniva il quartetto di Ferdinand David, che eseguiva di preferenza il repertorio più recente, al quale Schumann era particolarmente interessato. Furono soprattutto i quartetti dell'op. 44 di Mendelssohn a fargli grande impressione e ad accendere il suo entusiasmo. I punti di riferimento, per i compositori di quella generazione, erano ovviamente i quartetti di Beethoven; ma Schumann, che pensava da tempo di provare a scrivere quartetti, studiava con cura anche le composizioni dei suoi classici predecessori. Così, se nel primo quartetto dell'op. 41 di Schumann l'influenza dell'ultimo Beethoven è evidentissima (oltre a reminiscenze stilistiche, vi si trovano allusioni vere e proprie a temi beethoveniani), altrove non è meno palese la lezione di Haydn e Mozart.
Nei quartetti di Schumann i tratti personali, tuttavia, emergono con assoluta chiarezza. Nella forma, innanzitutto: Schumann, diversamente dall'ultimo Beethoven, procede per sezioni formali chiuse, per episodi contrastanti e ben distinti e assimilabili a "situazioni poetiche", a tappe di una narrazione; i collegamenti avvengono per giustapposizione, senza zone di transizione. Ma tra un episodio e l'altro, Schumann ama tessere una rete di reminiscenze motiviche; nel terzo Quartetto dell'op. 41, ad esempio, il tema principale del primo movimento sembra scaturire dall'introduzione, che ne presenta una versione ancora embrionale. Tratti individuali, e inconfondibili, si riscontrano anche nei temi schumanniani, asimmetrici, dal ritmo complesso, ricchi di sincopi e di spostamenti dell'accento naturale. Si ascoltino i motivi dell'appassionato tema principale e, dal caratteristico slancio romantico, o la cantabilità intimistica del secondo tema. Lo sviluppo non è che una breve sezione, interamente basata sul  primo motivo del tema principale. Schumann, che non è tanto interessato all'elaborazione motivica quanto alla riambentazione armonica del tema. procede per progressioni che ampliano lo spazio tonale. Il ruolo concesso al primo tema nello Sviluppo fa sì che esso scompaia dalla Ripresa, che ha inizio direttamente dal secondo tema: è, questo, un principio di concentrazione formale che Schumann apprende dai classici.
Il secondo movimento del Quartetto (Assai agitato) ha un andamento simile allo Scherzo; ma dello Scherzo non porta il nome, né ne riflette l'impianto formale. Il movimento è invece in forma di tema con variazioni. Una scelta inconsueta, se consideriamo che le variazioni, all'epoca, sono il mezzo preferito dai musicisti che si esibiscono nei salotti mondani e nelle sale da concerto per fare sfoggio di un virtuosismo brillante quanto superficiale (con questo mondo, sappiamo bene quanto Schumann sia poco indulgente). Ma la scelta appare meno sorprendente, se consideriamo che Beethoven . nume tutelare della generazione romantica - aveva ben mostrato come la variazione su un tema potesse servire a sviscerare a fondo la materia musicale, invitando il compositore a spingersi fino nei territori più sconosciuti dell'elaborazione tematica. E appare ancora meno strana, se consideriamo quanto questa forma sia congeniale alla poetica di Schumann, che ama contrapporre episodi contrastanti assimilandoli a stadi di un percorso narrativo: ogni variazione può dunque mettere in luce un aspetto diverso, per carattere, del materiale musicale preso a fondamento della composizione.
Altamente ispirato, l'Adagio molto è in forma-Lied ampliata: a una prima parte, ripetuta in forma variata, se ne contrappone una contrastante; seguono riprese in zone tonali affini e la ripetizione, nella tonalità fondamentale, della prima parte, con coda conclusiva. Particolarmente suggestiva è la parte centrale, nella quale un ritmo ostinato del secondo violino fa da supporto a brevi frammenti melodici, che gli altri archi si rilanciano in un intreccio contrappuntistico continuamente cangiante.
Contorni formali altrettanto netti presenta il Finale (Allegro molto vivace): si tratta di un rondò, in cui un ritornello torna periodicamente a incorniciare episodi contrastanti. L'architettura, cristallina, è ben definita da cesure che segnano bruschi cambi d'atmosfera. Il cambiamento più radicale è portato dal terzo episodio (Quasi Trio, più ampio, caratterizzato da una grazia quasi rococò; ma la coesione generale del movimento è assicurata da un forte e unitario impulso ritmico, dagli accenti sincopati, dalo slancio propulsivo delle figure che non allentano la tensione
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Claudio Toscani