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Paragon/Amadeus
- 1 CD - AM 151-2 - (p) 2002
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Wolfgang Amadeus
Mozart (1756-1791) |
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Adagio
e Fuga in so minore, KV 546 |
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9' 03" |
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Ludwig van Beethoven
(1770-1827) |
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Quartetto
per archi in si bemolle maggiore,
Op. 133 "Grande Fuga" |
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18' 77" |
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Igor Stravinskkij
(1882-1971) |
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Doppio
canone (1959)
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1' 35" |
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Tre
pezzi per quartetto d'archi (1914)
|
|
6' 13" |
|
-
[Danse] |
0' 56" |
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-
[Excentrique] |
1' 53" |
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-
[Cantique] |
3' 21" |
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Concertino
(1920)
|
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7' 24" |
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Robert Schumann |
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Quartetto
in la maggiore, Op. 41 n. 3 |
|
31' 56" |
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-
Andante espressivo - Allegro molto
moderato |
8' 20" |
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|
-
Assai agitato
|
7' 24" |
|
|
-
Adagio molto
|
8' 51" |
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-
Finale. Allegro molto vivace
|
7' 21" |
|
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QUARTETTO
ITALIANO
- Paolo Borciani, Elisa Pegreffi, violino
- Piero Farulli, viola
- Franco Rossi, violoncello |
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Luogo e data
di registrazione |
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Festival di
Berlino (Germania) - 20
settembre 1977 |
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Registrazione: live
/ studio |
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live |
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Producer / Engineer |
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Sender Freies Berlin |
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Prima Edizione LP |
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-
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Prima Edizione CD |
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Paragon/Amadeus
| AM 151-2
| 1 CD
- 75'
47"
| (p) 2002 | ADD
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Note |
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WOLFGANG
AMADEUS MOZART
- Adagio e
Fuga in do
minore, KV 546
Mozart
si applicò
a più
riprese e con
passione allo studio
del contrappunto.
Fu soprattutto
negli anni del soggiorno
viennese
che
ebbe
modo
di conoscere
e approfondire
i grandi lavori
oontraoppuntistici
del passato; fu a
Vienna che
venne in contatto
con
la cerchia
del barone Gottfried
van Swieten, mecenate
e colto
dilettante
di musica che nella
sua abitazione
organizzava regolari
esecuzioni della
musica di Bach e Händel.
E fu ancora negli anni
viennesi che Mozart si
entusiasmò per le
fughe di Bach, che
fece oggetto di uno
studio attento e
appassionato. Non
doveva essere estranea
a questo interesse
neppure la
frequentazione degli
ambienti massonici,
cui lo stesso van
Swieten apparteneva.
La fuga e la scrittura
contrappuntistica
assumevano, in quella
cerchia, il valore di
una trasparente
metafora:
nell'edificio
contrappuntistico, e
nella fuga che ne è la
più complessa
espressione, gli
adepti coglievano di
riflesso l'operato del
Grande Architetto
dell'Universo. Di qui
l'attivismo con il
quale le logge
massoniche si adoperarono,
nelle principali città
europee, per riportare
in vita capolavori del
passato come gli
oratori di Händel
e le fughe di Bach,
nei quali la scienza
contrappuntistica
raggiunge vertici
ineguagliati.
Uno
dei massimi
contributi di Mozart
al genere è
costituito dalla Fuga
in do minore K.
546, composta
in origine per due
pianoforti (K.
426) e
trascritta in
seguito per archi,
con l'aggiunta di un
Adagio
introduttivo. Di
straordinaria
intensità
espressiva, l'Adagio
è dominato dal
contrasto tra figure
ritmiche ed
energiche e un
motivo dolente, che
insiste su patetici
semitoni. Lo stesso
contrasto espressivo
tra azione e
ripiegamento, tra
eroismo e
rassegnazione
caratterizza
l'austero soggetto
della Fuga.
Improntata a un
clima di estrema
severità, la
composizione dà
fondo a tutti gli
artifici del
contrappunto
osservato, valendosi
di una tecnica e di
un controllo
espressivo che
rivelano la profonda
assimilazione della
lezione bachiana.
LUDWIG
VAN BEETHOVEN -
Quartetto per
archi in si
bemolle
maggiore, Op.
133 (Grande
Fuga)
Nata
come movimento
finale del Quartetto
op. 130,
la Grande
Fuga op. 133
di Beethoven è
composizione di
grande impegno e
di dimensioni
imponenti. La
complessità della
scrittura
contrappuntistica
e il radicalismo
del linguaggio ne
fanoo una delle
opere più
emblematiche, e al
tempo stesso
enigmatiche, del
tardo stile
beethoveniano. Fu
separata
dall'originario Quartetto,
scritto per il
principe Galitzin
nel 1825, per
ragioni pratiche:
per l'eccessiva
lunghezza, ma
anche per la
reazione fredda
del pubblico
dell'epoca,
sconcertato dalla
complessità, dalle
durezze, dalla
difficoltà
dell'opera. Fu
solo il Ventesimo
secolo a
rivalutare quello
che per arditezza
e libertà di sciittura e
di concezione,
oltre che per
ampiezza di
proporzioni, è
il lavoro
contrappuntistico
più impegnativo
e ambizioso
elaborato da
Beethoven.
La
Grande Fuga
op. 133 è
costituita da
tre ampie
fughe,
precedute da
un'introduzione
(che Beethoven
chiama Overtura)
e
inframmezzate
da episodi in
stile
contrappuntistico.
Della fuga il
compositore
accoglie,
oltre ai
procedimenti
tecnici e
formali
ereditati
dalla
tradizione, il
principio
cardine (anche
laddove si
allontana
dalle regole
scolastiche):
l'unità della
composizione è
assicurata da
una sola
cellula
tematica - che
nel nostro
caso è
identificabile
in una precisa
successione di
intervalli -
dalla quale
vengono
ricavati tutti
i temi
fondamentali.
Questa cellula
tematica viene
sistematicamente
sottoposta a
processi di
elaborazione:
la Grande
Fuga,
dunque, è il
punto di
convergenza, e
la sintesi
suprema, delle
due principali
tradizioni
storiche nella
viviltà
musicale
occidentale; da
una parte il
contrappunto, il
principio
imitativo che si
incarna nella
polifonia
rinascimentale e
nella fuga
barocca,
dall'altra il
sonatismo
classico, con il
principio
dell'elaborazione
motivico-tematica
e il suo forte
potenziale
drammatico.
All'inizio
della Grande
Fuga,
nell'Overtura,
è
ordinatamente
presentato il
materiale
tematico su
cui poggerà
tutta
l'imponente
costruzione.
Vi vengono
esposti
quattro temi,
ciascuno con
la propria
configurazione
ritmica e la
propria fisionomia;
ma tutti
derivano dalla
stessa cellula
melodica: un
disegno
spigoloso,
cromatico e
dissonante.
Nonostante la
diversità del
carattere,
possono essere
considerati
come quattro
diverse
formulazioni
melodiche
dello stesso
tema, che
chiamiamo
"tema
fondamentale".
Tutto ciò che
segue è
riconducibile
a una di
queste quattro
forme.
Il
"tema
fondamentale"
si presenta,
inizialmente,
in tempo Allegro,
in valori
lunghi,
intonato
all'ottava da
tutti e
quattro gli
archi.
L'atteggiamento
è enfatico,
declamatorio;
l'imponenza
dell'effetto è
accresciuta
dalla sonorità
sostenuta e
dalla presenza
dello sforzato.
Subito dopo,
il "tema
fondamentale"
si presenta in
una versione
ritmica
ternaria, più
rapida, dalle
movenze
danzanti. Gli
archi
continuano a
suonare in
ottava e forte,
prolungando
l'impulso
energico delle
misure
precedenti e
rendendo il
tema, al tempo
stesso, ancor
più dinamico.
Il tempo si fa
ora più lento
(Meno mosso
e moderato,
il metro
cambia da
ternario in
binario, la
sonorità si
riduce al piano.
Il
tema nella sua
terza forma,
misterioso,
compare
dapprima al
primo violino,
poi al
violoncello.
Sull'intervento
di
quest'ultimo
gli altri
archi eseguono
figure
ornamentali,
frammenti
melodici che
in seguito si
riveleranno
strutturali:
costituiranno,
infatti,
l'ossatura
dell'episodio
centrale della
Grande Fuga.
Il "tema
fondamentale"
si presenta
infine in una
quarta forma:
sempre più piano
e misterioso,
è affidato al
primo violino
solo, che lo
esegue
inframmezzandone
le note con
pause.
Prende
ora il via la
prima fuga. Il
soggetto ha
un'indole
energica,
addirittura
rude, e una
natura ritmica
molto
pronunciata.
Il "tema
fondamentale",
assunto nella
quarta forma
dell'Overtura,
gli fa da
controsoggetto;
il contrasto
tra i due,
assai marcato,
è il motore
dell'intera
prima parte. A
una regolare
esposizione,
con quattro
entrate
canoniche
determinate
dal soggetto e
dalla
risposta, cui
si aggiunge
un'entrata
ulteriore del
soggetto,
seguono
esposizioni
successive ai
grandi affini
e stretti,
intercalati da
divertimenti
che elaborano
brevi spunti
del materiale
tematico
fondamentale.
Ovunque
domina,
implacabile,
l'incessante
ritmo puntato
del soggetto,
che con le sue
inflessioni
determina
dissonanze e
urti aspri.
Terminata
la prima fuga,
ha inizio un
episodio in
tempo Meno
mosso e
moderato,
in stile
contrappuntistico
meno rigoroso
(si tratta
d'un fugato).
L'episodio è
basato sulla
terza versione
del tema "tema
fondamentale"
e sulle figure
ornamentali
che
l'accompagnavano
nell'Overtura.
Contrasta
vivamente con
la vigorosa
fuga
precedente:
l'atteggiamento
è meno severo,
il colore
strumentale è
più chiaro, il
tono generale
è improntato
al lirismo e
alla
morbidezza.
Segue un nuovo
episodio
imitativo (Allegro
molto e con
brio), in
ritmo
ternario,
basato sulla
seconda
versione del
"tema
fondamentale".
La
seconda fuga
assume, per
soggetto, il
"tema
fondamentale"
nella sua
prima
versione,
della quale
conserva i
valori lunghi
e gli energici
sforzato.
Gli fanno da
contrappunto
due distinti
controsoggetti:
il primo è
ricavato dall'incipit
del "tema
fondamentale"
nella sua
seconda forma,
per moto
contrario; il
secondo dall'incipit
della terza
versione del
medesimo "tema
fondamentale".
A partire dal
termine
dell'esposizione,
i processi di
elaborazione
tematica
prendono il
sopravvento
sui
procedimenti
contrappuntistici
e sugli
artifici
imitativi
tipici della
fuga vera e
propria.
La
terza fuga,
che si salda
direttamente
alla
precedente, si
basa su una
versione del
"tema
fondamentale"
trasformata
nella veste
ritmica.
Esaurite le
quattro
entrate
canoniche del
soggetto e
della
risposta, si
alternano
"divertimenti"
e "stretti",
nel
corso dei
quali
riaffiorano
allusioni alle
varie versioni
del "tema
fondamentale".
Il tempo
cambia di
nuovo: si fa
ritorno al Meno
mosso e
moderato
dell'episodio
che seguiva
immediatamente
la prima fuga.
Qui, tuttavia,
la scrittura
si fa più
complessa:
Beethoven
combina i due
disegni con la
terza versione
del "tema
fondamentale"
suonata per
moto
contrario,
realizzando
così un
intricato
contrappunto
triplo. Dopo
la ripresa
della sezione
imitativa,
ampliata nelle
dimensioni e
condotta sino
a un poderoso
climax,
e dopo
brevi e
frammentarie
reminiscenze
tematiche,
attacca
l'enfatica
coda
conclusiva,
nella quale il
"tema
fondamentale"
compare nella
sua prima
versione.
Tutta la coda
è ispirata a
un
atteggiamento
positivo ed
energico: è
dunque in un
clima
trionfale di
vittoria che
si chiude la
grande e
complessa
composizione
beethoveniana.
IGOR
STRAVINSKIJ
Doppio
canone
Doppio
canone, una
brevissima
composizione
scritta a
Venezia nel
1959, fu
dedicata da
Stravinskij
alla memoria
del pittore
Raoul Dufy. La
composizione,
stando a
Robert Craft,
non nacque
tuttavia a
quello scopo:
alle sue
origini sta la
richiesta di
un privato,
che desiderava
da Stravinskij
un autografo;
solo in
seguito
l'autore la
trasformò nel
Doppio
canone per
quartetto
d'archi e la
dedicò alla
memoria di
Dufy (che del
resto non
aveva mai
conosciuto
personalmente).
Si tratta di
un brano dalla
costruzione
molto rigorosa
e complessa.
Vi si
succedono
canoni
originati da
una serie
dodecafonica
(cioè da un
"soggetto"
costruito
utilizzando le
dodici note
della scala
cromatica)
nelle sue
varie forme.
Dapprima il
soggetto
origina un
canone per
moto retto,
alla seconda
inferiore, tra
primo e
secondo
violino; poi
l'ingresso di
viola e
violoncello
determina un
doppio canone,
per moto retto
e per moto
retrogado. Le
possibilità
combinatorie
vengono
ulteriormente
esplorate con
un altro
doppio canone,
per moto
retrogrado e
per moto
retrogrado
contrario;
infine i due
violini
presentano,
soli, un
canone del
soggetto per
moto
retrogrado
contrario.
Apparentemente,
una
composizione
di questa
natura ha più
a che fare con
l'enigmistica
che con la
musica. Al di
là del puro
gioco
combinatorio,
in realtà,
sono leggi di
natura
prettamente
musicale che
la governano.
La serie
prescelta,
innanzitutto,
ha un
carattere
particolare: è
simmetrica,
presenta una
quinta
centrale e
intervalli di
terza, cosicché
non manca di
una certa
cantabilità;
il
contrappunto
che origina,
inoltre,
determina
frequenti
incontri
verticali
consonanti. Lo
stesso schema
architettonico
è
assolutamente
familiare. Il
brano inizia
con due
violini soli,
ispessisce la
scrittura e la
trama
contrappuntistica
nella parte
centrale e
torna alla
tessitura
leggera nella
parte finale,
quando i due
violini
restano
nuovamente
soli: tutto
ciò
corrisponde a
una forma ad
arco, cioè a
uno schema
costruttivo
comune,
particolarmente
prediletto
dalla
tradizione
della musica
colta
occidentale.
Tre
pezzi per
quartetto
d'archi
I
Tre pezzi
per quartetto
d'archi, che
segnano una
tappa
importante nel
percorso
creativo di
Stravinskij,
risalgono agli
anni del
soggiorno nel
cantone
svizzero di
Vaud, dove
nacquero tra
l'aprile e il
luglio del
1914.
Stravinskij li
lasciò senza
titolo e senza
indicazioni di
movimento;
quando li
pubblicò, nel
1922, annotò
all'inizio di
ciascuno di
essi solo il
numero di
metronomo. Ma
già la stessa
denominazione
(Tre pezzi,
anzichè Quartetto)
è sintomatica:
l'autore
voleva
evidentemente
prendere le
distanze da
uno dei generi
più saldamente
ancorati nella
tradizione
classico-romantica,
distaccandosi
anche dalle
pratiche
compositive -
l'impianto
sonatistico e
l'elaborazione
motivico-tematica,
in primo luogo
- che si
identificavano
più
intimamente
con quel
genere e quel
repertorio. su
questa linea,
i Tre
pezzi
vanno anche
oltre: del
quartetto
classico
rigettano
infatti quei
presupposti
linguistici -
la tonalità,
il principio
dell'identità
tematica - che
lo stesso
Stravinskij,
almeno dal
tempo di
Petruška,
aveva
fortemente
contribuito a
incrinare.
Anche
dal punto di
vista della
semplice
scrittura
strumentale i
Tre pezzi
sono
tutt'altro che
convenzionali.
Il Quartetto
d'archi, nella
tradizione
classica, mira
alla fusione
timbrica e al
rapporto
paritetico tra
gli
interlocutori.
Nel primo
pezzo il primo
violino deve
suonare con
tutta la
lunghezza
dell'arco, il
secondo deve
emettere suoni
secchi al
tallone, la
viola produce
un'unica nota
pizzicata e al
ponticello, il
violoncello è
trattato come
uno strumento
a percussione:
prescrizioni
del genere,
che implicano
diversi modi
d'attacco e
diversi modi
di produrre il
suono, fanno
sì che
ciascuno
strumenti
conservi una
percepibile
identità e che
non si
realizzi
alcuna fusione
timbrica.
Anche rispetto
al principio
dello scambio
paritetico
Stravinskij va
in direzione
opposta. Si
ascolti ancora
il primo
pezzo: il
primo violino
propone un
motivo che
utilizza solo
quattro note,
nello stile di
una danza
popolare
russa, e lo
ripete
identico
quattro volte;
gli altri tre
strumenti
ripetono
ciascuno una
propria
figura, senza
che si
realizzi
alcuno
scambio.
L'incomunicabilità
tra i membri
del quartetto
e l'assenza
completa di
sviluppo sono
dunque la
cifra
distintiva del
pezzo, che
comunica un
senso di
caratteristica
e simmetrica
rigidità:
l'esatto
contrario
dello spirito
quartettistico,
basato sulla
circolazione
dei motivi tra
le singole
parti e sulla
loro
evoluzione nel
tempo. Il
principale
propulsore,
qui, è invece
il ritmo,
mobilissimo
per i continui
spostamenti di
accento:
Stravinskij
applica, su
più piccola
scala, i
procedimenti
sperimentati
con successo
nel Sacre
du printemps.
Il
rapporto tra i
singoli
movimenti è un
altro aspetto
che tradisce
la presa di
distanza dalla
tradizione. I
movimenti di
un quartetto
classico sono
uniti, oltre
che da un
legame tonale,
da una rete
sottile di
relazioni
tematiche e di
reminiscenze
sotterranee;
Stravinskij
accosta invece
i Tre
pezzi come
tre quadri
contrastanti e
senza alcun
rapporto
reciproco
(qualche anno
dopo,
trascrivendoli
per orchestra,
darà loro i
titoli Danse,
Excentrique,
Cantique).
Il secondo
pezzo,
cromatico e
spiccatamente
espressionista
nell'atteggiamento,
procede per
strutture
rigidamente
separate e
contrastanti.
Stando ai
Memories
il brano, con
il suo
movimento a
scatti,
sarebbe stato
ispirato
dall'esibizione
di un vlown,
Little Tich,
che
Stravinskij
vide a londra
nell'estate
del 1914. Il
terzo pezzo
contrasta in
modo ancora
più netto con
i precedenti.
Gli archi, che
determinano
una fascia
sonora
timbricamente
fusa e
omogenea,
procedono
rigidi nei
modi di un
corale, con un
ritornello e
risposte
salmodianti
che ricordano
le note
iniziali di
una celebre
sequenza
gregoriana, il
Dies irae.
E' uno stile
severo e
ieratico, del
quale
Stravinskij si
ricorderà
nelle
composizioni
religiose
degli anni a
venire.
Concertino
Scritto
nell'estate
del 1920 su
invito di
Alfred Pochon,
primo violino
del Quartetto
ginevrino
Flonzaley, che
voleva
inserire un
pezzo
contemporaneo
nel proprio
repertorio, il
Concertino
di Stravinskij
reca questo
nome per il
ruolo
nettamente
solistico del
primo violino,
la cui parte è
anche
arricchita da
una cadenza.
La
composizione
ha un
carattere incisivo,
a tratti
graffiante,
ben
esemplificato
dal "motto"
politonale
d'esordio, che
ricorre nei
punti
salienti: un
motivo
costituito
dalla
sovrapposizione
delle scale di
do e di si
maggiore,
dall'effetto
tagliente.
Il
brano è in un
solo movimento
ed è, stando
allo stesso
Stravinskij, "realizzato
in forma
libera di
allegro di
sonata".
Le parole
dell'autore
sono da
intendersi in
senso molto
lato. Elementi
del sonatismo
classico sono
da
rintracciare,
forse, nel
principio del
contrasto
dialettico:
dunque
nell'opposizione
tra due zone
contrastanti,
una sezione
fondata su
motivi nervosi
e ritmicamente
incisivi e
quella
successiva,
basata su un
motivo più
disteso e
cantabile. Per
il resto,
costituiscono
momenti
rilevanti
l'ampia
cadenza del
primo violino,
tutta
impostata
sulle doppie
corde; il climax
che coincide
con una serie
di accordi
ribattuti "très
mordant"
con gli
accenti
continuamente
spostati,
dall'effetto
quasi brutale;
il frammento
melodico che
emerge a un
certo punto e
che riecheggia
vagamente
un'aria
popolare
russa.
Nel
1952
Stravinskij
effettuò una
trascrizione
del Concertino,
adattandolo a
un complesso
di dodici
strumenti, nel
quale a dieci
fiati si
contrappongono
un violino e
un violoncello
con funzione
concertante.
In seguito la
composizione
fu ancora
utilizzata da
Stravinskij,
assieme ai Tre
pezzi per
quartetto
d'archi, per
un balletto
intitolato The
Antagonist,
allestito
all'American
Danse Festival
di New London
(Connecticut)
nel 1955 con
la coreografia
di Ruth
Currier.
ROBERT
SCHUMANN -
Quartetto in
la maggiore,
Op. 41 n. 3
L'interesse
di Schumann
per il
quartetto
d'archi, una
delle forme
più nobili
della
tradizione
classica,
doveva essere
ben vivo già
nel 1838,
quando aveva
dato avvio ai
Quartettmorgen
(mattinate
quartettistiche)
nella sua casa
di Lipsia. Vi
si riuniva il
quartetto di
Ferdinand
David, che
eseguiva di
preferenza il
repertorio più
recente, al
quale Schumann
era
particolarmente
interessato.
Furono
soprattutto i
quartetti
dell'op. 44
di Mendelssohn
a fargli
grande
impressione e
ad accendere
il suo
entusiasmo. I
punti di
riferimento,
per i
compositori di
quella
generazione,
erano
ovviamente i
quartetti di
Beethoven; ma
Schumann, che
pensava da
tempo di
provare a
scrivere
quartetti,
studiava con
cura anche le
composizioni
dei suoi
classici
predecessori.
Così, se nel
primo
quartetto
dell'op. 41
di Schumann
l'influenza
dell'ultimo
Beethoven è
evidentissima
(oltre a
reminiscenze
stilistiche,
vi si trovano
allusioni vere
e proprie a
temi
beethoveniani),
altrove non è
meno palese la
lezione di
Haydn e
Mozart.
Nei
quartetti di
Schumann i
tratti
personali,
tuttavia,
emergono con
assoluta
chiarezza.
Nella forma,
innanzitutto:
Schumann,
diversamente
dall'ultimo
Beethoven,
procede per
sezioni
formali
chiuse, per
episodi
contrastanti e
ben distinti e
assimilabili a
"situazioni
poetiche", a
tappe di una
narrazione; i
collegamenti
avvengono per
giustapposizione,
senza zone di
transizione.
Ma tra un
episodio e
l'altro,
Schumann ama
tessere una
rete di
reminiscenze
motiviche; nel
terzo Quartetto
dell'op. 41,
ad esempio, il
tema
principale del
primo
movimento
sembra
scaturire
dall'introduzione,
che ne
presenta una
versione
ancora
embrionale.
Tratti
individuali, e
inconfondibili,
si riscontrano
anche nei temi
schumanniani,
asimmetrici,
dal ritmo
complesso,
ricchi di
sincopi e di
spostamenti
dell'accento
naturale. Si
ascoltino i
motivi
dell'appassionato
tema
principale e,
dal
caratteristico
slancio
romantico, o
la cantabilità
intimistica
del secondo
tema. Lo
sviluppo non è
che una breve
sezione,
interamente
basata
sul
primo motivo
del tema
principale.
Schumann, che
non è tanto
interessato
all'elaborazione
motivica
quanto alla
riambentazione
armonica del
tema. procede
per
progressioni
che ampliano
lo spazio
tonale. Il
ruolo concesso
al primo tema
nello Sviluppo
fa sì che esso
scompaia dalla
Ripresa, che
ha inizio
direttamente
dal secondo
tema: è,
questo, un
principio di
concentrazione
formale che
Schumann
apprende dai
classici.
Il
secondo
movimento del
Quartetto (Assai
agitato)
ha un
andamento
simile allo
Scherzo; ma
dello Scherzo
non porta il
nome, né
ne riflette
l'impianto formale.
Il movimento è
invece in
forma di tema
con
variazioni.
Una scelta
inconsueta, se
consideriamo
che le
variazioni,
all'epoca,
sono il mezzo
preferito dai
musicisti che
si esibiscono
nei salotti
mondani e
nelle sale da
concerto per
fare sfoggio
di un
virtuosismo
brillante
quanto
superficiale
(con questo
mondo,
sappiamo bene
quanto
Schumann sia
poco
indulgente).
Ma la scelta
appare meno
sorprendente,
se
consideriamo
che Beethoven
. nume
tutelare della
generazione
romantica -
aveva ben
mostrato come
la variazione
su un tema
potesse
servire a
sviscerare a
fondo la
materia
musicale,
invitando il
compositore a
spingersi fino
nei territori
più
sconosciuti
dell'elaborazione
tematica. E
appare ancora
meno strana,
se
consideriamo
quanto questa
forma sia
congeniale
alla poetica
di Schumann,
che ama
contrapporre
episodi
contrastanti
assimilandoli
a stadi di un
percorso
narrativo:
ogni
variazione può
dunque mettere
in luce un
aspetto
diverso, per
carattere, del
materiale
musicale preso
a fondamento
della
composizione.
Altamente
ispirato, l'Adagio
molto è in
forma-Lied
ampliata: a
una prima
parte,
ripetuta in
forma variata,
se ne
contrappone
una
contrastante;
seguono
riprese in
zone tonali
affini e la
ripetizione,
nella tonalità
fondamentale,
della prima
parte, con
coda
conclusiva.
Particolarmente
suggestiva è
la parte
centrale,
nella quale un
ritmo ostinato
del secondo
violino fa da
supporto a
brevi
frammenti
melodici, che
gli altri
archi si
rilanciano in
un intreccio
contrappuntistico
continuamente
cangiante.
Contorni
formali
altrettanto
netti presenta
il Finale (Allegro
molto vivace):
si tratta di
un rondò, in
cui un
ritornello
torna
periodicamente
a incorniciare
episodi
contrastanti.
L'architettura,
cristallina, è
ben definita
da cesure che
segnano
bruschi cambi
d'atmosfera.
Il cambiamento
più radicale è
portato dal
terzo episodio
(Quasi Trio,
più ampio,
caratterizzato
da una grazia
quasi rococò;
ma la coesione
generale del
movimento è
assicurata da
un forte e
unitario
impulso
ritmico, dagli
accenti
sincopati,
dalo slancio
propulsivo
delle figure
che non
allentano la
tensione.
Claudio
Toscani
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