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2 CD -
4509-90857-2 - (p) 1994
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Wolfgang
Amadeus Mozart (1756-1791)
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La clemenza di Tito, KV 621 |
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128' 43" |
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Dramma serio in due atti -
Libretto: Caterino Mazzolà, dopo Pietro
Metastasio
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Ouverture |
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4' 46" |
CD1-1 |
ATTO
PRIMO
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55' 43" |
|
- Recitativo: "Ma chè? sempre
l'istesso" - (Vitellia, Sesto) |
2' 36" |
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CD1-2 |
- No. 1 Duetto: "Come ti piace
imponi" - (Sesto, Vitellia) |
2' 51" |
|
CD1-3 |
- Recitativo: "Amico, il passo
affretta" - (Annio, Vitellia, Sesto) |
1' 12" |
|
CD1-4 |
- No. 2 Aria: "Deh se piacer mi
vuoi" - (Vitellia) |
5' 30" |
|
CD1-5 |
- Recitativo: "Amico, ecco il
momento" - (Annio, Sesto) |
0' 28" |
|
CD1-6 |
- No. 3 Duettino: "Deh prendi un
dolce amplesso" - (Annio, Sesto) |
1' 01" |
|
CD1-7 |
- No. 4 Marcia |
1' 36" |
|
CD1-8 |
- No. 5 Coro: "Serbate, oh Dei
custodi" - (Coro) |
1' 50" |
|
CD1-9 |
- Recitativo: "Basta, basta" -
(Tito, Annio, Sesto) |
2' 51" |
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CD1-10 |
- No. 6 Aria: "Del più sublime
soglio" - (Tito) |
3' 04" |
|
CD1-11 |
- Recitativo: "Non ci pentiam" -
(Annio, Servilia) |
1' 38" |
|
CD1-12 |
- No. 7 Duetto: "Ah perdona al
primo affetto" - (Annio, Servilia) |
3' 08" |
|
CD1-13 |
- Recitativo: "Che mi rechi in
quel foglio?" - (Tito, Publio) |
0' 51" |
|
CD1-14 |
- Recitativo: "Di Tito al piè" -
(Servilia, Tito) |
1' 27" |
|
CD1-15 |
- No. 8 Aria: "Ah, se fosse
intorno al trono" - (Tito) |
2' 16" |
|
CD1-16 |
- Recitativo: "Felice me!" -
(Servilia, Vitellia) |
0' 32" |
|
CD1-17 |
- Recitativo: "Ancora mi
schernisce" - (Vitellia, Sesto) |
1' 59" |
|
CD1-18 |
- No. 9 Aria: "Parto, ma tu ben
mio" - (Sesto) |
6' 56" |
|
CD1-19 |
- Recitativo: "Vedrai, Tito,
vedrai" - (Vitellia, Publio, Annio) |
0' 55" |
|
CD1-20 |
- No. 10 Terzetto: "Vengo ...
aspettate" - (Vitellia, Publio, Annio) |
2' 37" |
|
CD1-21 |
- No. 11 Recitativo
accompagnato: "Oh Dei, che smania" -
(Sesto) |
3' 24" |
|
CD1-22 |
- No. 12 Quintetto con coro:
"Deh, conservate, oh Dei" - (Sesto, Annio,
Servilia, Publio, Vitellia, Coro) |
7' 04" |
|
CD1-23 |
ATTO SECONDO |
|
68' 14" |
|
- Recitativo: "Sesto, come tu
credi" - (Annio, Sesto) |
1' 42" |
|
CD2-1 |
- No. 13 Aria: "Torna di Tito a
lato" - (Annio) |
2' 31" |
|
CD2-2 |
- Recitativo: "Partir deggio, o
restar?" - (Sesto, Vitellia) |
0' 30" |
|
CD2-3 |
- Recitativo: "Sesto! - Che
chiedi?" - (Publio, Sesto, Vitellia) |
0' 32" |
|
CD2-4 |
- No. 14 Terzetto: "Se al volto
mai ti senti" - (Sesto, Vitellia, Publio) |
5' 35" |
|
CD2-5 |
- No. 15 Coro: "Ah grazie si
rendano" - (Coro, Tito) |
3' 28" |
|
CD2-6 |
- Recitativo: "Andremo, Publio"
- (Tito, Publio) |
0' 47" |
|
CD2-7 |
- No. 16 Aria: "Tardi s'avvede"
- (Publio) |
1' 56" |
|
CD2-8 |
- Recitativo: "No, così
scellerato" - (Tito, Annio, Publio) |
1' 25" |
|
CD2-9 |
- No. 17 Aria: "Tu fosti
tradito" - (Annio) |
3' 21" |
|
CD2-10 |
- Recitativo accompagnato: "Che
orror! che tradimento!" - (Tito) |
2' 28" |
|
CD2-11 |
- No. 18 Terzetto: "Quello di
Tito è il volto!" - (Sesto, Tito, Publio) |
4' 02" |
|
CD2-12 |
- Recitativo: "Eppur mi fa
pietà" - (Tito, Sesto) |
2' 58" |
|
CD2-13 |
- No. 19 Rondo: "Deh per questo
istante solo" - (Sesto) |
7' 52" |
|
CD2-14 |
- Recitativo: "Ove s'intese mai
più contumace infedeltà?" - (Tito) |
1' 13" |
|
CD2-15 |
- Recitativo: "Publio. -
Cesare." - (Tito, Publio) |
0' 17" |
|
CD2-16 |
- No. 20 Aria: "Se all'impero,
amici Dei" - (Tito) |
5' 06" |
|
CD2-17 |
- Recitativo: "Non giova
lusingarsi" - (Vitellia, Servilia, Annio) |
1' 13" |
|
CD2-18 |
- No. 21 Aria: "S'altro che
lacrime" - (Servilia) |
1' 52" |
|
CD2-19 |
- No. 22 Recitativo
accompagnato: "Ecco il punto, o Vitellia"
- (Vitellia) |
2' 17" |
|
CD2-20 |
- No. 23 Rondo: "Non più di
fiori" - (Vitellia) |
7' 44" |
|
CD2-21 |
- No. 24 Coro: "Che del ciel,
che degli Dei" - (Coro) |
1' 42" |
|
CD2-22 |
- Recitativo: "Sesto, de' tuoi
delitti" - (Tito, Vitellia) |
1' 41" |
|
CD2-23 |
- No. 25 Recitativo
accompagnato: "Ma che giorno è mai
questo?" - (Tito) |
1' 40" |
|
CD2-24 |
- No. 26 Sestetto con Coro: "Tu,
è ver, m'assolvi" - (Sesto, Tito,
Vitellia, Servilia, Annio, Publio, Coro) |
4' 23" |
|
CD2-25 |
|
|
|
|
Philip
Langridge, Tito
Vespasiano, Imperatore di Roma |
|
Lucia
Popp, Vitellia, figlia
dell'Imperatore Vitellio
|
|
Ruth
Ziesak, Servilia, sorella
di Sesto, amante d'Annio
|
|
Ann
Murray, Sesto, Amico di
Tito, amante di Vitellia |
|
Delores
Ziegler, Annio, amico di
Sesto, amante di Servilia |
|
László
Polgár, Telemaco |
|
|
|
Chor und Orchester der Oper
Zürich (con corni e trombe
naturali)
|
|
Continuo:
Thomas Grabowski, Cembalo / Claudio
Herrmann, Violoncello |
|
Phonetic
coach: Maria Lantieri |
|
|
|
Nikolaus
Harnoncourt, Gesamtleitung |
|
Luogo e data
di registrazione
|
Große Kirche Altstetten,
Zürich (Svizzera) - marzo 1993 |
Registrazione
live / studio
|
studio |
Producer / Engineer
|
Wolfgang Mohr / Renate Kupfer
/ Helmut Mühle / Michael Brammann |
Prima Edizione
CD
|
Teldec - 4509-90857-2 -
(2 cd) - 60' 29" + 68' 14" - (p) 1994 -
DDD
|
Prima
Edizione LP
|
-
|
|
"Tutta l'opera
parla in realtä degli errori d'amore"
|
Con
Nikolaus Harnoncourt parla Margarete
Zander.
Si dice sempre che Mozart
nella sua ultima opera sia tornato
di nuovo alla forma dell'"opera
seria", cosa che gli ha causato
almeno da parte della ricerca
musicale pesanti critiche.
Io non direi che Mozart con La
Clemenza di Tito sia ritornato di
nuovo all'opera seria. Le sue opere
giovanili Lucio Silla e Mitridate
re di Ponto rappresentano lo
stadio di allora dell'opera seria. Ma La
Clemenza di Tito non si
riallaccia affatto a quello, né
musicalmente né a livello di contenuto.
Mozart non aveva nemmeno l'intenzione di
comporre sul libretto di Metastasio così
come era, che allora era già alla
quarantesima trasposizione in musica. Il
libretto se lo è invece fatto riscrivere
da Caterino Mazzolà, ottenendo quello
che lui stesso definisce nell'elenco
delle sue opere un lavoro «ridotta à
vera opera». In ogni caso l'occasione
stessa per cui fu composta l'opera,
l'incoronazione a re di Boemia
dell'Imperatore Leopoldo II, costituiva
un tipico avvenimento barocco, laddove
le altre opere erano state scritte per
il grande pubblico.
Negli
ultimi 60/70 anni vi sono stati
nella musicologia giudizi
decisamente negativi a riguardo
dell'opera seria. Essa viene vista
come una rigida forma barocca, come
una forma schematica di venerazione
dei regnanti.
Secondo
me tali giudizi sulla storia, a
distanza di secoli, sono sempre un po'
arroganti, L'opera seria è stata de
facto per lungo lungo tempo la
forma del teatro musicale. Lo stesso
identico giudizio potrebbe essere
emesso sull'architettura e sull'arte
figurativa del barocco, sulle
costruzioni rappresentative delle
chiese e dei palazzi, sulle opere di
Bernini e Borromini. Se le si
volessero osservare con occhi
incrostati di pregiudizi, si
tirerebbero fuori gli stessi criteri,
ma al contrario in queste ultime vi si
riconoscono grandi qualità artistiche.
Penso piuttosto che si tratti di una
crisi dell'osservatore odierno, non
del genere. Per me la vecchia opera
seria è una forma estremamente
interessante, poichè lì i caratteri
umani vengono ripartiti in diverse
figure. Per esempio in un'aria di
vendetta si parla solo di vendetta.
Ogni opera aveva un'aria irosa,
un'aria di vendetta, un duetto amoroso
e così via; erano cose prestabilite.
Il librettista era nel contesto
certamente importante, ma non doveva
essere originale, dipendeva solamente
da come il compositore si sapesse
esprimere all'interno di questi
parametri prestabiliti. Per questo
l'opera seria poteva sempre rifarsi ai
medesimi libretti, perchè vi si
rappresentavano i grandi sentimenti
umani in tutte le sfumature di
emozioni e di affetti. E questi non
mutano di certo! Quando un libretto
descriveva tutto questo in una buona
maniera - ed evidentemente i libretti
di Metastasio avevano questo requisito
- allora lo si trasponeca in musica.
Mozart non si fa comprimere in una
forma. Oltre a pochissime eccezioni,
che però possiedono un intenso e
profondo significato musicale, egli ha
preso anche con La Clemenza di
Tito vie del tutto nuove. Non
si può dire che in quest'opera si
rifaccia alle sue opere precedenti; al
contrario, quando mi occupo della Clemenza
di Tito ho l'impressione che
Mozart abbia trovato qui un nuovo e
semplice linguaggio musicale, simile a
quello del Flauto magico. E
questo sarebbe stato il suo linguaggio
musicale del futuro. Entrambe le opere
costituiscono per me una visione di
come Mozart avrebbe continuato il
cammino nell'ambito del melodramma del
XIX secolo.
Potrebbe accennare ad alcuni di
questi momenti che sembrano
accennare il futuro?
Si
trova una enorme semplificazione per
quanto riguarda la lunghezza dei
brani, la strumentazione ed il
movimento delle parti. Vi sono pochi
insiemi vocali. La strumentazione e la
complicatezza del procedere
dell'orchestra vengono estremamente
ridotte. Ciò si ritrova anche nel Flauto
magico e nel Concerto per
Clarinetto, ed è sicuramente la via
che Mozart aveva davanti a sé. In
qualche modo è come un addio al XVIII
secolo. D'altro canto si trovano
alcuni effetti drammatici che
ritroveremo solo nel primo Verdi.
Dunque si potrebbero
introdurre un paio di capitoli sulla
teoria degli affetti?
Un capitolo sulla teoria degli affetti
si rivelerebbe necessario. Il
vocabolario della teoria degli
affetti, che Mozart ha arricchito non
poco nelle sue opere su libretti di Da
Ponte, viene in realta posto in
disparte nel Flauto magico e
nella Clemenza di Tito.
Sono rinvenibili un gran
numero di affetti, come per esempio
vendetta e gelosia. Sono
riconoscibili come momenti singoli,
anche dal punto di vista musciale?
Sì, certo. Si trovano moltissimi
affetti di questo tipo: vendetta o
gelosia, ad esempio. Nell'opera
barocca ciò è molto chiaro ed
unidimensionale. Solo tutti gli
affetti delle figure prese insieme
formano per così dire una personalità
completa: ogni figura presa da sola
rappresenta solamente una parte
dell'essere umano. Nella Clemenza
di Tito si ha la sensazione
però che ad esempio la gelosia non
debba essere rappresentata a sé
stante, ma che in realtà la figura
gelosa possieda ancora uno spettro
molto variegato di sentimenti. La
vendetta è una necessità proveniente
dall'amore, dalla disperazione e così
un'aria di vendetta può sfociare
subito per mezzo di una minima
variazione delle premesse in un'aria
amorosa. Questa
enorme labilità dei sentimenti è ciò
che, secondo me, caratterizza questo
pezzo. L'opera tratta della fragilità
delle relazioni tra i personaggi. Ciò
che un'amicizia - ora penso a Tito e
Sesto - deve sopportare e tollerare lo
mostra il grande recitativo tra Tito e
Sesto, sembra quasi uno psicodramma.
Si sente che tra i due vi è un
infinito amore, e che nello stesso
tempo ogni offesa a quest'amore si
trasforma in patimento.
Come si sente Tito alla
fine?
Tito si sente miserabilmente alla
fine. Perchè tutto quanto gli è
riuscito male. Nell'ultimo brano lui
canta solo contro tutti gli altri, non
prende parte al giubilo generale,
allora possiamo sentire la sua grande
rassegnazione. Questo già lo
conosciamo in Mozart; le sue opere
finiscono tutte in tristezza. Sarebbe
da stupirsi se avesse dato a
quest'opera un finale felice. Sebbene
ciò avrebbe corrisposto meglio
all'intenzione di mostrare un regnante
buono e mite, la cui bontà alla fine
viene ricompensata.
Anche con le donne Tito
non ha una relazione univoca.
Si ha l'impressione che non ama
nessuna delle donne in scena, ma che
sa che si deve sposare, per adempiere
alle aspettative del popolo.
E lui si trova quella
sbagliata.
In verità si era trovato quella
giusta. Lui aveva amato Berenice, che
però era una orientale.
Appunto, non riconosciuta.
E quindi per il suo popolo quella
sbagliata, dico bene?
I suoi sentimenti appartenevano a
Berenice, ma lui si lascia sopraffare
e manda via Berenice. Ciò è
contemporaneamente un'ingiustizia
verso il suo amore e verso Berenice, e
questo lo si capiva anche allora.
Dovendo agire secondo un criterio di
legittimità sceglie Servilia, perchè è
la sorella del suo amico. Quando lei
rifiuta prende allora Vitellia.Vitellia lo vede sotto due
aspetti: in primo luogo quello di
colui che è ingiustamente sul trono,
poichè la famiglia di Tito ha
scacciato via la sua ingiustamente. Ma
d'altro canto sarebbe disposta a
rinunciare a tutto pur di averlo, dato
che lo ama. Lei rappresenta un
carattere assai complesso, il suo
amore vero e forte è mischiato con
l'odio tra le due famiglie a causa
degli avvenimenti storici.
Quindi il tipico problema
di relazioni sentimentali del XVIII
secolo?
Così si potrebbe dire. La relazione
tra Vitellia e Sesto però al contrario
sembra più uscir fuori dal XX secolo.
Vitellia gode nell'avere uno schiavo
per il sesso, che può costringere ogni
volta, grazie al suo fascino ed
incanto femminile, a fare tutto ciò
che lei vuole. Questa è la classica
immagine della dipendenza. La
sicurezza con la quale lei usa Sesto è
sollecitata dal suo odio amore per
Tito, ma la sua relazione con Sesto è
una fredda relazione mossa da uno
scopo.Poi vi
è il rapporto puro tra Annio e
Servilia e la profondissima amicizia
tra Annio e Sesto, che è sicuramente
meno problematica ma anche meno
minacciata di quella tra Tito e Sesto.
Tutta l'opera parla in realtà degli
errori d'amore e di sesso, dato che
non si può chiamare amore la relazione
tra Vitellia e Sesto, che è la
relazione alla base di tutta l'opera.In questa ragnatela
emozionale tra i personaggi si pone
come individuo completamente al di
fuori Publio, del quale si ha
l'impressione che provi piacere nel
distruggere, nel rovinare la gioia di
qualcuno. Publio mi fa pensare ai
servizi segreti ed al capo della
polizia segreta di una dittatura.
Quando lascia trapelare la sua
malvagità così lentamente, si ha
proprio l'impressione che sogghigni,
che goda della crudeltà. Fa molto
riflettere il fatto che un regnante
così moderato e benevolo, come Tito,
si tenga vicino un tale esecutore.
Si può trovare qui un
riferimento nascosto alla figura
storica di Tito?
Qualsiasi uomo che allora ascoltava La
clemenza di Tito sapeva che
Tito realmente non fu quel gran
moderato, ma chea veva messo a fuoco
Gerusalemme ed aveva disperso ed
ucciso centinaia di migliaia di ebrei.
Egli fu uno dei più sanguinari
imperatori romani in assoluto. Le
figure degli imperatori romani erano
senza dubbio note all'epoca.
Si depreca talvola
l'interruzione della serie di arie
attraverso i recitativi musicalmente
insignificanti.
I recitativi mozartiani sono geniali
interpretazioni del testo: purtroppo i
recitativi della Clemenza di Tito
sono di Süssmayr (a Mozart mancò
il tempo), e la loro qualità non è
certo alta; per questo noi li abbiamo
notevolmente accorciati.
Vi è poi la leggenda
secondo la quale Mozart abbia
scritto l'opera in soli diciotto
giorni.
Io ritengo che Mozart si sia dedicato
a questo lavoro già in precdenza, ma
credo anche che Mozart fosse capace di
tutto. Del resto è tutt'uno. Un'opera
che esce dall'officina mozartiana
porta i suoi segni magistrali. Non
avrebbe accettato quest'incarico, se
non avesse anche saputo di poterlo
portare a termine.
Nelle Sue interpretazioni
i caratteri fissati nei tratti
fondamentali della musica diventano
personaggi, diventano figure umane.
Mi piacerebbe che rivelasse i
segreti del Suo lavoro per poterLa
comprendere meglio. Vorrei
cominciare col pezzo che Mozart
compose alla fine dell'opera:
l'ouverture.
L'Ouverture è una preparazione
all'opera intera. Nella Clemenza
di Tito non sussistono
collegamenti tematici. Non si tratta
di un'ouverture a programma, come ad
esempio nel Don Giovanni. Si
tratta soprattutto del repertorio
degli affetti, che viene rappresentato
in maniera abbastanza ampia, e si
sente che si ha di fronte un pezzo di
corte, dato che inizia con un marcia.
Il no. 1, il duetto tra Vitellia e
Sesto, è praticamente l'accordo
caratterizzante di tutta l'opera. Con
l'entrata di Vitellia nella battuta 14
di questo duetto si ha subito l'idea
della sua freddezza e durezza,
attraverso il particolare martellare
dell'orchestra.
Come realizza Mozart
questo martellare?
Primo violino, violoncello e
contrabbasso hanno una configurazione
simmetrica e velocissima e il secondo
violino e la viola eseguono il
martellìo. Sesto invece viene qui
dipinto come una figura ancora
malleabile. Questo perchè deve ancora
accadere qualcosa, prima che acquisti
la propria spina dorsale, in modo che
lo si possa capire come una figura
chiave. Già dalla sua prima
apparizione si comprende che è
completamente nelle mani di Vitellia.
Nell'aria no. 2 si vede
una Vitellia totalmente differente.
E vi è anche una sonorità orchestale
del tutto diversa: non vi sono ora gli
oboi, ma al loro posto due flauti,
mediante i quali il suono degli archi
viene reso più tenero, morbido,
carezzevole. Vitellia assume ora il
suo successivo registro, offrendo il
suo amore se lui, Sesto, esegue i suoi
ordini. In quest'aria vi sono
innumerevoli finezze, come quando lei
gli dice di non infastidirla con i
suoi dubbi eterni. A questo punto vi
sono figurazioni così pressanti che si
ha di nuovo l'idea della durezza di
Vitellia. Nel momento successivo,
quando Vitellia pensa che Sesto possa
comprendere le sue intenzioni, diviene
nuovamente molto lusinghiera.
Il carattere di Tito viene
invece stbilito già nella sua prima
aria.
Esattamente. Normalmente un'aria
nell'opera seria, ed anche nelle opere
mozartiane, è preceduta da una
introduzione strumentale. Qui avviene
il contrario, il cantante comincia
prima dell'orchestra. Questa entrata
ritardata dell'orchestra, questa
indecisione, che rappresenta un
notevole ed importante lato del
carattere di Tito, viene molto
evidenziata dal fatto che questo
inizio non avviene contemporaneamente.
Nella battiua 5 si stabilisce una
spece di energia, che è però un
continuo ondeggiare tra insicurezza e
forza. La conclusione è una figura di
consolazione: "Tutto è tormento e
servitù", dove il tutto si sintetizza
in qualche modo in una personalità
completa.
E perchè servitù?
Servitù, incatenamento, che sono
imposti ai regnanti. Con servitù si
intende appunto la catena, il laccio
che lega anche il regnante ai suoi
obblighi.
Ora finalmente segue un
vero duetto d'amore, il duetto tra
Servilia e Annio.
Questo è un grande amore romantico.
L'unica coppia che è unita da un vero
sentimento deve cantare un duetto
d'amore, affinchè anche tale
sentimento possa esprimersi. Qui
Mozart utilizza anche una interessante
strumentazione, fa accompagnare Annio
da un fagotto in modo da incupirgli la
voce, e Servilia da un flauto
attraverso il quale la voce viene resa
più chiara. Ciò era un usuale modo di
Strumentare i duetti d'amore.
La seconda aria di Tito
comincia con una movimentata
figurazione al basso, che ritengo
debba esprimere gioia. Appena poco
prima Servilia lo ha respinto. Tito
dovrebbe essere ora triste od
adirato, invece è felice.
La sua ammirazione per Servilia è più
grande del suo amore per lei. E si
trasforma quasi in gaudio. Qui si
trova la parola "felicità" che dà
quasi l'impressione di volersi
ubriacare di ciò. Come se lui volesse
convincersi con impeto che una tale
sconfitta sarebbe alla fin fine una
gioia.
Nella prima aria di Sesto
"Parto, ma tu ben mio" si nota che
Mozart ha composto una grossa parte
solistica per clarinetto, o più
precisamente per il clarinetto d
bassetto.
Quest'aria è una totale esplicazione
di servitù. Vitellia manda via Sesto,
dicendogli di andare a fare quello che
gli ha detto. Lui le risponde che se
ne va. pregandola di essere buona con
lui. Questo esprime il testo, che
riceve però mediante l'assolo di
clarinetto un significato più
profondo. La voce ed il clarinetto
sono strettamente intrecciati l'una
con l'altro. Il clarinetto suona
qualcosa e la voce lo segue. Secondo
me il clarinetto rappresenta
l'idealizzazione di Vitellia che Sesto
segue continuamente. Lo conduce sù in
alto e poi giù nel profondo. E' quasi
come il programma di un ipnotizzatore,
che ora nella forma del clarinetto
fissa nella mente di Sesto l'idea di
Vitellia. L'ipnosi totale mediante il
clarinetto.
Quindi Vitellia è qui
indirettamente il punto centrale?
Anche il terzetto no. 10 "Vengo...
aspettate ..." in realtà appartiene a
Vitellia, non è un vero terzetto. La
sua reazione di spavento alla notizia
di dover diventare la sposa di Tito -
mentre lei ha già messo in moto il suo
marchingenio di distruzione - non
viene riconosciuta come tale dagli
altri due, che la scambiano per
contentezza; in realtà lei è sull'orlo
del suicidio. Non sa assolutamente
cosa deve fare, perchè la miccia ormai
è innescata e lei non può più farci
nulla. Questo terzetto è uno di quei
pezzi che per la strumentazione e la
ripartizione musicale non appartengono
più alla musica del XVIII secolo -
queste figurazioni spezzettate del
primo violino che svolazzano attorno
al disperato ondeggiare di Vitellia,
mentre il resto dell'orchestra quasi
si irrigidisce.
Il primo atto si chiude
con un "Quintetto con coro", quindi
non con un vero e proprio finale.
Questo quintetto è determinato dal
pentimento di Sesto e sfocia in una
marcia funebre per la presunta morte
di Tito. Questa è una delle più
grandiose musiche funebri che siano
mai state scritte. Il turbamento, il
lutto, il pianto, e poi di nuovo grida
e improvvisi sforzati. E'
come se si volesse dire qualcosa, ma
si fosse sopraffatti dal olore che
spinge a lanciare un grido.
Urlano dal dolore o dalla
disperazione: questo si dovrebbe
aspettare anche da Sesto quando
viene condotto via per mano da
Publio, ma il "terzetto dell'addio"
"Se al volto mai ti senti" comincia
con un suono molto lirico dei fiati.
Le prime battute dei fiati
rappresentano i pensieri della
disperazione più profonda di Sesto,
che giungono alla compagna attraverso
l'aria. E' un'immagine molto antica
secondo la quale gli amanti separati
l'uno dall'altra affidano i loro baci,
le loro parole, le loro lettere
spirituali all'aria, e il compagno
riceve ciò con un bacio del vento. Si
trova questa immagine in Monteverdi
nei suoi episodi dell'addio e nel
"Lamento d'Arianna". Anche nelle arie
da concerto di Mozart questa
situazione si ritrova spesso. Con
l'entrata in scena di Vitellia si
stabilisce una ripartizione del tutto
diversa nell'orchestra, strettamente
omofonica. E lei fa una incredibile
asserzione, diretta più o meno a se
tssa: in brevissimo tempo il mondo
verrà a conoscenza del suo crimine. Il
suo problema principale è il suo
proprio destio, le importa poco che a
causa sua Sesto cadrà nell'infaia.
Quando appare Publio c'è di nuovo u
cambiamento di coloritura
nell'orchestra: figurazioni involute
l'una nell'altra, sfalsate di
un'ottava tra di loro, primo violino,
secondo violino e viola, in modo da
avere l'impressione che venga
strofinato qualcosa tra due superfici.
Qui Publio altro non dice che «Vieni».
Arresta Sesto e lo disarma. Anche
questo in sé nn è un ver e proprio.
Mi ero chiesta perchè
l'aria "Tu fosti tradito" per
contralto e mezzosoprano fosse
scritta fa Mozart in un registro
così alto.
Mozart si districava molto bene con le
voci, e questa scelta corrisponde
esattamente ad un affetto, perchè qui
Annio esce fuori dal suo equilibrio.
Deve esigere da se stesso
l'impossibile, affinchè Tito lasci
libero Sesto. E così Mozart lo invia
in una regione in cui la voce deve
essere forzata. Il cantare continuato
nel registro alto produce una infinita
commozione e durezza.
A proposito della
commozione, non della durezza, si
potrebbe fare qui un parallelo con
l'aria di Sesto "Deh per questo
istante solo"?
Questo è uno dei pezzi più profondi
che Mozart abbia mai scritto.
L'aspetto della loro passata amicizia
e amore è eseguito musicalmente in
modo semplicemente incredibile. Penso
per esempio al punto in cui Sesto
dice: «Se vedessi questo cor». Il
testo intende: qui c'è qualcosa che io
non posso esternare, e quindi vi è
nelle battute 25 e 26 uno sviluppo
cromatico di grandissima intensità che
è estremamente scioccante. Questo è lo
sguardo all'interno dell'animo di
Sesto, finora ignoto a Tito, ma che in
questo momento deve vedere la
disperazione e la compassione
profonda.
Dunque questo sarebbe il
momento del riconoscimento per Tito?
Non ancora. Il vero e proprio
riconoscimento si trova nel finale. La
sua aria successiva è un'aria di
trionfo, anche dal punto di vista
formale. Egli è soddisfatto della sua
decisione di non far uccidere Sesto.
In quest'aria eroica i corni in si
bemolle esprimono la vittoria contro
se stesso. Non si tratta ancora di un
riconoscimento, ma Tito percepisce
felice e trionfante che è rimasto
fedele a se stesso. Ciò viene espresso
per lo più a livello musicale e non
così intensamente nel testo.
Tra tutte queste arie e
scene altamente drammatiche appare
improvvisamente un pezzo molto
grazioso, l'aria di Servilia
"S'altro che lacrime", come si
spiega ciò?
Io ho gia ascoltato molte volte
quest'opera e mi sono sempre
meravigliato di quest'aria. Questo
minuetto ha una melodia meravigliosa,
è la graziosità in persona. Il suo
testo dice però: "Ora fa' qualcosa, il
tuo pianto non serve a nulla". Vi è
una contraddizione tra testo e melodia
e nel tipo di dinamica. Mozart scrive
nel punto in cui nel minuetto classico
una certa figurazione avrebbe dovuto
dissiparsi in lentamente un crescendo
o un subito piano. Questa dinamica è
appunto la chiave del brano.
Estraniando in tal modo il pezzo, in
sé così delicato, si creano nel suo
interno dei riagganci che fanno
sentire che una persona gentile e
amabile viene totalmente scossa nel
suo equilibrio.
Anche nel caso di un altro
brano ho l'impressione che ci si
trovi di fronte ad un corpo estraneo
musicale, il coro n. 24.
Questa è l'unica volta che nella Clemenza
di Tito Mozart utilizza una
vera e propria musica barocca. Il
ritmo puntato del Maestoso,
l'introduzione con trombe, tromboni e
corni, e il coro Maestoso.
Questo è un pomposo inizio del
Settecento, rivisto attraverso gli
occhi di Mozart. Con questo coro da
cerimonia ossequia il passato, i tempi
antichi.
C'è dell'ironia in questo
pezzo o si tratta di vera e propria
ammirazione?
Musicalmente l'ironia è sempre
difficile da riconoscere. Mozart si è
occupato moltissimo di musica barocca,
basta ricordare solamente i numerosi
adattamenti delle opere di Händel che
ha anche fortemente trasposto nella
sua epoca. Qui fa esattamente il
contrario e compone con la sua
brillantezza di idee e di
strumentazione un pezzo di primo
settecento. Per me è il pezzo con cui
Mozart prende conuniato dal barocco e
dal passato.
Dunque una reminiscenza
dei "bei vecchi tempi" come si
direbbe oggi?
No, è troppo grandioso per questo. Io
penso le cose stiano all'incirca così:
durante il barocco, specialmente in
quello austriaco, si è costruito il
palazzo di un principe quasi come una
chiesa, e una chiesa come un palazzo,
per così dire la dimora di Dio. Se si
osservano le imponenti porte, le
stanze e le finestre, si ha
l'impressione che da lì debba passare
un uomo alto tre metri e mezzo. Perchè
si è fatto questo? Iddio viene
trasfigurato in un regnante barocco, e
il regnante innalzato a Dio. Qui si
esprime esattamente questo concetto,
testualmente nel coro e musicalmente
nel brano. Potrei ben pensare che ciò
abbia una intenzione ironica. Se si
osserva la profondità delle intenzioni
che Mozart ha avuto scrivendo questo
pezzo, colpisce davvero questa
grandiosa antichità stilistica
all'interno di un pezzo assai
progressista.
Dopo questa "grandiosa
antchità" del coro omaggio, l'azione
precipita bruscamente verso la fine.
Prima del suo ultimo accompagnato, no.
25, Tito ha scoperto che Vitellia è
colpevole dell'attentato. «Quale il
motivo?» le chiede, e lei risponde:
«La tua bontà. Credei che questa fosse
amor». Ed a questo punto si ode un
vero e proprio grido da parte di Tito.
I primi tre accordi sono come un
tendersi della spina dorsale. Deve
decidere a questo punto tra vendetta e
giustizia, e sceglie la giustizia. Ed
ora (battuta 29) dopo "e vita, e
libertà" appaiono improvvisamente
questi accordi del potere. Nel
linguaggio musicale dell'epoca, e
successivamente fino al secolo XIX,
questa configurazione simboleggiava
appunto il potere. Tito allora prende
nuovamente in mano le redini della
situazione e decide di graziare tutti
gli esecutori dell'attentato.Si potrebbe quasi dire che
lui ritrova in se stesso la causa di
tutte le azioni. Il vero motivo del
comportamento di Vitellia è proprio
lui, come anche di quello della
rivolta. I congiurati hanno tramato
contro di lui perchè non ha esercitato
il suo potere leggittimamente, perchè
i suoi predecessori si sono
impadroniti del trono con la violenza.
E perchè lui è così penetrantemente
buono.
Il riconoscimento gli
viene allora perchè Vitellia glielo
dice?
Questa è
l'ultimo dispositivo di scatto. In un
altro punto dell'opra Tito dice: "Ad
un regnante non si dice mai la
verità". Un subordinato, è ancora oggi
così, non dirà mai la verità al suo
superiore, perchè ciò avrà
ripercussioni sulla sua carriera.
Tutto quello che si è accumulato nel
corso dell'opera esplode ora in questo
ultimo recitativo. Tito si sente
colpevole del comportamento degli
altri. Questa colpa propria è quello
contro cui urta sempre. Non può far
uccidere qualcuno, se in fondo è lui
stesso il colpevole. Questo è il
motivo er cui nel finale echeggia un
suono così triste.
Redazione
dell'intervista: Ingrid-H. Verch
traduzione
di Giuseppe Trezza
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Nikolaus
Harnoncourt (1929-2016)
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