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2 CD -
9031-74884-2 - (p) 1993
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Ludwig van
Beethoven (1770-1827) |
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Missa solemnis, Op. 123 |
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80' 58" |
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- Kyrie |
12' 12" |
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CD1-1 |
- Gloria
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17' 26" |
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CD1-2 |
- Credo
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19' 01" |
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CD1-3 |
- Sanctus |
5' 30" |
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CD2-1 |
- Benedictus |
10' 24" |
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CD2-2 |
- Agnus Dei
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16' 25" |
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CD2-3 |
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Eva Mei,
Soprano |
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Marjana Lipovšek,
Alto |
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Anthony Rolfe
Johnson, Tenor |
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Robert Holl,
Bass |
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Arnold Schoenberg
Chor / Erwin Ortner, Chorus
master
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The Chamber
Orchestra of Europe |
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Marieke Blankestijn,
solo violin |
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Nikolaus
Harnoncourt, Dirigent |
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Luogo
e data di registrazione
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Großes
Festspielhaus, Salzburg (Austria) - 26
& 28 luglio 1992 |
Registrazione
live / studio
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live |
Producer
/ Engineer
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Wolfgang
Mohr / Renate Kupfer / Helmut A. Mühle /
Michael Brammann
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Prima Edizione CD
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Teldec
- 9031-74884-2 - (2 cd) - 48' 39" + 32'
19" - (p) 1993 - DDD |
Prima
Edizione LP
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L'intera Messa è
una preghiera per la pace
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Un'intervista
con Nikolaus Harnoncourt.
Con la Missa solemnis Lei ha
inaugurato il Festival di Solisburgo
del 1992. Ha mai considerato
l'eventualità di eseguire la Messa non
al Festspielhaus, bensì in una chiesa?
No,
sebbene io credo che Beethoven abbia
scritto l'opera per l'uso liturgico.
La funzione della musica sacra vale a
dire l'attiva portecipazione alla
solennità della messa, non è più
conciliabile con un'odierna esecuzione
in un festival. Ciò vorrebbe
significare infatti che ciascun
cantante, ciascun membro
dell'orchestra, si venga o trovare per
così dire a prendere porte
consapevolmente alla liturgia. Ritengo
che al giorno d'oggi sia problematico
eseguire una simile composizione
all'interno della messa. Al tempo di
Beethoven era diverso. Allora per
tutti i musicisti la messa domenicale
in latino rappresentava una componente
normale della loro attività
professionale e della loro religione.
Eppure già lo stesso
Beethoven ha fatto sì che parti
della Messa fossero eseguite nelle
sale da concetto, ad esempio il
giorno della prima esecuzione della
sua Nona Sinfonia.
Per Beethoven ciò che contava era di presentare
a Vienna l'opera, o quanto meno parti
di essa. Ma poiché era severamente
vietato eseguire anche solo delle
parti della messa in un ambiente
laico, Beethoven ha dovuto corredare
queste parti di un testo in tedesco.
Se si rispetta veramente il servizio
divino, non è possibile semplicemente
«presentare» queste forme,
intrinsecamente religiose, dentro
un'istituzione religiosa. Mi
sembrerebbe infatti di fare come un
turista che va nell'Africa centrale e
che osservi i riti sacri delle
popolazioni locali come una
manifestazione folkloristica. Oggi si
ha un rapporto completamente diverso
con tutte le cose della religione.
Questa messa è stato scritta per l'uso
all'interno della chiesa. L'occasione
della composizione è venuta o
Beethoven dalla cerimonia di
insediamento a cardinale e arcivescovo
di Olmütz del suo amico Arciduca
Rodolfo. «Il giorno in cui una mia
messa solenne dovesse venire eseguita
per le festività di Sua Altezza
Imperiale, sarà per me il più bello
dello mia vita - scrive Beethoven
all'inizio del 1819 - e Dio mi
illuminerà, così che le mie deboli
forze siano in grado di contribuire
alla glorificazione di questo giorno
solenne ... »
Finora il contesto liturgico della
Missa solemnis è stato rodicalmente
messo in discussione. Beethoven
infatti tocca così velocemente le
parole «Credo in unam sanctam,
catholicam et apostolicam
ecclesiam», che questo fatto è stato
interpretato come una prova
dell'atteggiamento di critica di
Beethoven nei confronti del
cattolicesimo o addirittura come
un'espressione di dubbio verso la
chiesa in generale.
Beethoven scrive molte parti della
messa dilatando oltre modo la durata
del testo, ma nel caso di passaggi
porticolarmente intensi, dove
evidentemente voleva una trasposizione
altrettanto intensa della comprensione
del testo, fa pronunciare le parole
molto velocemente, perché solo in
questo modo è possibile capire
effettivamente queste frasi.
«Credo in unam sanctam catholicam et
apostolicam ecclesiam». Il tenore
conta il testo in un registro vocale
nel quale può pronunciare le parole in
maniera molto chiara. Le altre voci
commentano nel frattempo: credo,
credo, credo. Beethoven conosceva
assai bene il significato dei testi e
sapeva anche che in questo caso
«catholicam» non significa la chiesa
di Roma, ma la chiesa «universale»,
come del resto è anche il caso della
Messa in si minore di Bach. Beethoven
inoltre ha scritto nella partituro del
Credo: «Dio sopra tutto - Dio non mi
ha mai abbandonato». Nessun ateo
parlerebbe in questa maniera. Questo
voler distinguere a ogni costo se
Beethoven era o non era fedele alla
chiesa, mi sembra veramente privo di
senso. Il problema non è infatti se
l'autorità del papa venga riconosciuto
da Beethoven oppure no, il problema è
piuttosto se un ateo possa scrivere
una messa. Sappiamo troppo poco della
religiosità di Beethoven. Conosciamo
molte sue dichiarazioni in proposito
della sua fede in Dio, che deve essere
stata molto forte. Beethoven ha
espresso una grande fiducia e una
sorta di amore in Dio quasi infantile.
Quanto ciò fosse conforme alla
dottrina della chiesa, non è però dato
di saperlo.
Beethoven ha scritto: «Dal cuore
Posso nuovamente - Tornare al
cuore!». A Salisburgo abbiamo visto
come Lei, con la suo esecuzione, sia
riuscito a parlare direttamente agli
uomini.
E' difficile parlare di ciò. Beethoven
utilizza un linguaggio musicale che ci
tocca da vicino, non gira intorno ai
vocaboli, alle parole. Tuttavia
cercare di esprimere questo fenomeno
usando una terminologia scientifica,
secondo la mia impressione, non
renderebbe ragione della magia della
cosa.
Può farci degli esempi?
Ci sono dei passaggi evidentissimi, in
cui improvvisamente una contante
rallenta o accelera il tempo o
addirittura lo abbandona
completamente, mettendosi a gridare;
in quel punto si percepisce veramente
come gli orrori della guerra siano
presenti. E come un grido di pace in
forma di recitativo, poi il tutto si
ricompone e si ritorno alla preghiera.
Ciò è di una tale forza retorica, che
la stessa parola retorica mi sembra
giò troppo concettuale.
Un punto cruciale della composizione è
rappresentato dal recitativo
nell'Agnus Dei (da battuta 164).
All'inizio la musica tace del tutto,
poi si sentono unicamente dei secchi
colpi di timpano. Nessuno ha più
dubbi: siamo in guerra. Siamo in un
luogo di orrore. Subito dopo le trombe
eseguono un richiamo, sottovoce e
minaccioso, mentre gli archi suonano
una figura sfuggente, che non riesco
di tradurre altrimenti che come pelle
d'oca, pelle d'oca tradotta in musica.
Dopo di ciò il contralto grida
(«timidamente», scrive Beethoven nella
sua partitura): «Agnus Dei - miserere
nobis». Questo grido percorre tutte le
voci soliste e si risolve finalmente
in una calma assoluto, in una musica
ben ordinata: «dona nobis pacem».
Questo passaggio è uno dei più
stroordinari di tutto la Missa. Esso
imprime timore e nell'esecuzione di
Salisburgo è stato sentito esattamente
in questa moniera, quasi tutti hanno
dovuto infatti pensare in quel momento
agli orrori attuali. L'intera Missa è
una preghiera per la pace.
Già all'inizio della messa, nel
«Christe eleison», mi sembra di
cogliere ciò e percepisco esattamente
dove tutto ciò vad a poarare.
«Miserere nobis» ed «eleison»
significano infatti la stessa cosa:
abbi pietà di noi, aiutaci. Già nel
«Christe eleison» quindi posso trarre
degli spunti: chi prega in questa
maniera, può essere sicuro che la
montagna che fino a ieri stava davanti
a lui domani si sarà spostato a
sinistra, un chilometro più in là. La
preghiera, la fede, possono muovere
infatti le montagne.
Successivamente ritorna ancora un
passaggio simile: è il più veloce in
assoluto della messa, dopo il «Dona
nobis pocem» nell'Agnus Dei (b. 266).
Si tratto di uno di quelle sezioni,
per via delle quali la Misso solemnis
è stata erroneamente tacciata di
essere un'opera profana. Alla fine
questo passo (si tratto quasi di una
musica di battaglia) il coro grida
disperato, velocissimo, «Agnus, agnus
Dei». Di solito nella musica sacra
l'Agnus Dei non viene gridato, ma
piuttosto eseguito con un tono
semplice e compunto. Questo grido si
riferisce dunque, come già era
nell'aria, alla guerra e alla musica
di guerra. Agnello di Dio, dona o noi
la pace! Il grido si trasforma
direttamente in preghiera: Dona pacem.
Beethoven ha scritto alla battuta 96
dell'Agnus Dei: «Preghiera per la pace
interiore ed esteriore.» La pace
esteriore significa l'assenza di
guerra. Io credo che in questo primo
passaggio delle trombe e dei timpani
(Agnus Dei, da battuta 164) si tratti
della pace esteriore. All'orizzonte si
vede una città in fiamme, o qualcosa
del genere. La pace interiore
significa invece sicuramente la
libertà dai conflitti interiori e
viene rappresentata dal secondo
passaggio (Agnus Dei, battuta 266 e
segg.) come un dissidio interiore, che
spinge a pregare per la pace
interiore.
Il passo che Lei ha definito il più
veloce dell'intero pezzo,
rappresenta un punto cruciale anche
per lo scelto dei tempi?
In un certo senso sì. Beethoven ho
impiegato in questa composizione molti
tempi differenti, poco meno di quanti
ne usa Mozart in un'opera intera. In
Mozart però, in quasi tutte le grandi
composizioni, c'è una drammaturgia
temporale costruita su un tempo base,
al quale Mozart ritorna continuamente.
Nella Missa solemnis invece quasi ogni
tempo compare solo una volta in un
solo pezzo.
Beethoven si è sforzato al massimo di
descrivere esattamente i tempi. «Mit
Andocht (con raccoglimento), assai
sostenuto; Allegro ma non troppo e ben
marcato; Andante molto contabile e non
troppo mosso». Uno solo parola dunque
non gli basta, bisogno dare
un'indicazione ancora più precisa: non
troppo veloce e non troppo lento,
ciononostante continua ad avere paura
che anche questo non sia abbastanza
esplicito. La chiarezza delle
indicazioni metronomiche, di cui
Beethoven ha fatto uso nelle sinfonie,
sembra non interessarlo invece nella
Missa solemnis; forse perché gli
apparivano troppo rigide, troppo
inespressive?
Nelle mie esecuzioni i tempi possono
essere giudicati solamente nel loro
complesso. Modificare il tempo di una
singola sezione non sarebbe affatto
possibile. Ciò trascinerebbe con sé
immediatamente anche tutto ciò che
viene prima e dopo. E' come in un
soffitto a volto, dove i mattoni
vengono disposti esattamente con uno
leggera forma conica. Se si toglie un
solo mattone, la volta crolla giù.
Spesso si rimprovera a Beethoven di
aver strumentato male e per questo
non di rado lo si è voluto
«correggere».
In Mozart la strumentozione può essere
lasciata così com'è, in Haydn pure, si
dice generalmente. Per quale motivo
allora il povero Beethoven, solo
perché era sordo, viene rimproverato
di aver strumentato in maniera
insoddisfacente, questo proprio non
riesco o capirlo. Beethoven ha avuto
un orecchio dotato di una capacità
immoginativa favolosa. Me ne rendo
conto ad ogni prova d'orchestra.
E' molto difficile eseguire la sua
strumentazione; ma sarebbe assai
meglio evitare di aggirare le
difficoltà che si incontrano
modificando la strumentazione, di
solito non si tratta affatto di
miglioramenti, bensì di peggioramenti.
Personalmente ritengo che quanto sta
scritto in partitura sia anche in
assoluto la cosa migliore; queste
«correzioni», che hanno sempre un che
di scolastico, vengono generalmente
giustificate col fatto che se
Beethoven avesse avuto a disposizione
le possibilità degli strumenti moderni
(come ad esempio 'i corni a pistoni),
avrebbe scritto sicuramente in maniera
differente. Personalmente credo che se
egli avesse avuto a disposizione gli
strumenti moderni, la Missa avrebbe un
aspetto totalmente differente.
Allora anche nelle parti vocali
avrebbe potuto fare qualcosa di
diverso, come ad esempio evitare di
scrivere nel coro note così acute.
Quanto meno avrebbe potuto scrivere
delle parti un poco più in basso,
oppure avrebbe potuto scegliere altre
tonalità, così che tutto sarebbe
risultato eseguibile senza fatica e
scorrevolmente. La fatica che si
percepisce, lo sforzo e persino il
fallimento costituiscono un elemento
essenziale della maniera di comporre
beethoveniano.
Beethoven quindi richiede che ci si
spinga fino all'estremo?
Sì, e richiede persino di superare i
propri limiti, di mostrare che più di
così non si può. Lo sforzo, la
tensione estremo, tutto ciò ha un
effetto incredibile. Non capisco
perché oggi tutto ciò non venga
affatto compreso, nonostante si sappia
perfettamente che tutto, persino la
gestualità, è parte integrante
dell'arte. Il mostrare i miei limiti
non significa affatto che io arrivo
solamente fino a dove posso. Posso
riconoscere il mio limite solamente se
lo oltrepasso.
I musicisti devono comprendere
questo fatto e cercare di tradurlo
in musica.
Devono volerlo, così come devono
volerlo gli ascoltatori. Tutti questi
messaggi, veramente beethoveniani e
che sono ciò che sta alla base
dell'assoluta immediatezza dell'opera,
vanno totalmente perduti se li si
cerca di levigare e se, per fare un
esempio, si cercano per il coro
solamente contanti in grado di
eseguire con facilità le note acute,
Certamente a quel punto l'ascoltatore
non percepisce più lo sforzo, ma anche
il significato della fatica, dello
sforzo, vanno perduti. Si può pulire,
lucidare e levigare quanto si vuole,
ma così si finisce anche per
trasformare la composizione. Proprio
l'elemento conflittuale, il carattere
essenzialmente di opposizione
dell'arte di Beethoven verrebbe ad
essere offuscata in tale maniera.
La Missa solemnis è conosciuta come
un'opera piuttosto fragorosa e
monumentale. Nella sua
interpretazione compaiono anche
molti piano, ad esempio Lei per ampi
tratti fa cantare il Sanctus non dal
coro, ma dai solisti.
Si può costruire il pezzo anche
partendo dal silenzio. A mio avviso lo
Missa solemnis non è affatto un pezzo
che deve fare fracasso, ma al
contrario un'opera con dei gradi
d'intensità assai differenziati. Ai
solisti, al coro e all'orchestra viene
continuamente richiesto di forsi da
parte e di lasciar trasparire la
tessitura musicale. La partitura è
assai complicata; se io faccio cantare
più forte tutti coloro che devono
essere sentiti, alla fine ottengo
unicamente un gran fracasso generale,
nel quale non si riesce a distinguere
più nulla. Devo invece lasciare col
loro grado di intensità quelle voci
che sono in primo piano e mettere
tutto il resto in relazione ad esse.
Il «Pleni sunt coeli» nel Sanctus
viene cantato dai solisti, come
prescrive Beethoven. Il testo dice: «I
cieli sono pieni della Tua gloria» e
per «pieni» si pensa a cento o
duecento persone che cantano,
immaginandosi per così dire un
esercito celeste. L'effetto è invece
particolarmente forte se a cantare
sono solamente i solisti, come se
fossero degli osservatori stupiti,
accompagnati da un'orchestra quasi di
stampo borocco-bachiano.
La Chamber Orchestra of Europe
suono solitamente con strumenti
moderni, ma qui Lei ha sostituito
alcuni strumenti con strumenti
«storici».
Tra gli strumenti che si usano oggi,
le trombe, i timpani e i tromboni sono
particolarmente controindicati per la
musica del periodo classico. I
tromboni moderni esistono da più o
meno 140 anni; Wagner ad esempio li
riteneva inadeguati per le sue prime
opere. Come possono allora essere
buoni per Beethoven? Il loro suono ho
troppo spessore e inoltre suonano
troppo lentamente per poter lasciare
trasparire la tessitura musicale. Per
questo motivo abbiamo preferito usare
dei tromboni di dimensioni più
ridotte,
I timpani che si usano oggi
solitamente nell'orchestra hanno
invece una risonanza interna troppo
grande e per quanto si cerchi di
smorzarli, essi continuano sempre a
risuonare troppo a lungo. La chiarezza
dei colpi, qui assolutamente
necessario, non si riesce ad ottenere
con i timpani moderni. Per questo
motivo siamo ricorsi o dei timpani più
antichi e di dimensioni minori.
Inoltre abbiamo usato al posto delle
trombe a pistoni le trombe naturali.
Le trombe naturali non devono essere
suonate con tanto energia per emettere
un suono squillante. La tromba ha la
sua propria retorica e le figure
simili a fanfare devono pertanto
essere squillanti. Ma le trombe
moderne devono essere suonate molto
forte per ottenere un timbro
squillante. Con le trombe antiche
invece basta già un mezzoforte, non
bisogno mai suonare più forte di
quello che sta scritto nella partitura
e si ha inoltre la precisione negli
attacchi.
Una volta Lei ha definito le
partiture di Beethoven come dei
«selvaggi quaderni di lavoro». Anche
nel caso della Missa solemnis,
Beethoven ha fatto continuamente
delle correzioni. Quale fonte Lei ha
utilizzato allora?
La mia fonte principale è stata una
copia manoscritta della partitura
autograta corretta da Beethoven. Le
persone in grado di leggere le
partiture scritte da Beethoven erano
sempre poche. Beethoven stesso
preferiva portare avanti il lavoro su
delle copie pulite. Questo significa
che alcune correzioni fondamentali
fatte da Beethoven non si trovano
nell'autografo, bensì nelle copie o
nelle prime edizioni.
Oltre a ciò un ruolo fondamentale ha
avuto anche tutto quanto io stesso
sono riuscito a sapere sulla Missa
solemnis. Ad esempio ho trovato nei
quaderni di conversazione, che per me
rappresentano in assoluto la lettura
più appassionante che si possa fare su
Beethoven, una serie di annotazioni
risalenti al periodo delle prove. Da
ciò che vi si legge posso ricostruire
esattamente le sue conversazioni.
Rinasce allora sotto i miei occhi, con
una concretezza incredibile,
l'atmosfera del lavoro e l'atmosfera
delle prove; inoltre ottengo così
delle informazioni sulla musica di
altissimo valore. Tutto ciò è molto
interessante, quasi come se venissi
catapultato nel bel mezzo del lavoro
di prova dell'ambiente che stava
intorno a Beethoven.
intervista
di Margarete
Zander
Translation: Marco Marica
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Nikolaus
Harnoncourt (1929-2016)
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