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4 CD -
4509-91184-2 - (p) 1993
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Franz
Schubert (1797-1828) |
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The Symphonies |
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Symphony No. 1 in D major, D
82 |
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27' 48" |
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- Adagio - Allegro vivace
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11' 52" |
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CD1-2
|
- Andante |
5' 55" |
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CD1-2
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- Menuetto: Allegretto |
3' 49" |
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CD1-3
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- Allegro vivace |
6' 12" |
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CD1-4
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Symphony
No. 4 in C minor, D 417 "Tragic"
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31' 08" |
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- Adagio molto - Allegro
vivace
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9' 45" |
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CD1-5
|
- Andante
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7' 49" |
|
CD1-5
|
- Menuetto: Allegro vivace
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3' 15" |
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CD1-7
|
- Allegro |
10' 19" |
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CD1-8
|
Symphony No. 2 in B flat
major, D 125 |
|
33' 49" |
|
- Largo - Allegro vivace |
14' 09" |
|
CD2-1
|
- Andante |
8' 46" |
|
CD2-2
|
- Menuetto: Allegro vivace
|
2' 55" |
|
CD2-3
|
- Presto vivace |
7' 59" |
|
CD2-4
|
Symphony No. 6 in C major, D
589 "Little" |
|
34' 57" |
|
- Adagio - Allegro |
9' 53" |
|
CD2-5
|
- Andante |
6' 42" |
|
CD2-6
|
- Scherzo: Presto - Più
lento
|
6' 30" |
|
CD2-7
|
- Allegro moderato
|
11' 52" |
|
CD2-8
|
Symphony
No. 3 in D major, D 200 |
|
24' 20" |
|
- Adagio maestoso - Allegro
con brio |
9' 46" |
|
CD3-1
|
- Allegretto |
4' 25" |
|
CD3-2
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- Menuetto: Vivace - Trio |
3' 48" |
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CD3-3
|
- Presto vivace |
6' 21" |
|
CD3-4
|
Symphony No. 5 in B flat
major, D 485 |
|
26' 37" |
|
- Allegro
|
7' 20" |
|
CD3-5
|
- Andante con moto
|
8' 46" |
|
CD3-6
|
- Menuetto: Allegro molto
|
4' 44" |
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CD3-7
|
- Allegro vivace
|
5' 47" |
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CD3-8
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Symphony No. 7 in B minor, D
759 "Unfinished" |
|
26' 24" |
|
- Allegro moderato |
14' 56" |
|
CD3-9
|
- Andante con moto
|
11' 28" |
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CD3-10
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Symphony No. 8 in C major, D
944 "Great" |
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58' 22" |
|
- Andante - Allegro ma non
troppo
|
15' 50" |
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CD4-1
|
- Andante con moto
|
13' 55" |
|
CD4-2
|
- Scherzo: Allegro vivace
|
14' 06" |
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CD4-3
|
- Allegro vivace |
14' 31" |
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CD4-4
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Royal
Concertgebouw Orchestra |
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Nikolaus
Harnoncourt, Dirigent
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Luogo
e data di registrazione
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Het
Concertgebouw, Amsterdam (Olanda)
- maggio 1992 (Symphonies Nos. 2 &
6)
- novembre 1992
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Registrazione
live / studio
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live
(Symphony No. 8) / studio
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Producer
/ Engineer
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Wolfgang
Mohr / Helmut Mühle / Michael Brammann
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Prima Edizione CD
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Teldec
- 4509-91184-2 - (4 cd) - 59' 05" + 68'
57" + 77' 39" + 58' 30" - (p) 1993 - DDD
|
Prima
Edizione LP
|
-
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Nota
|
La
nostra numerazione delle sinfonie segue
la Neue-Schubert-Gesamtausgabe
(nuova edizione integrale delle opere di
Schubert) e il catalogo delle opere
compilato da Otto Erich Deutsch. Nella
vecchia edizione integrale la Sinfonia
"Incompiuta" era stata catalogata dopo
le prime sette sinfonie compiute come n.
8. In seguito si è dato alla Sinfonia in
do maggiore il n. 9, con l'intenzione di
ordinare cronologicamente
l'"Incompiuta", ai frammenti della
Sinfonia in mi (D 729) è stato pertanto
attribiuto il n. 7.
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|
Il romanzo sinfonico di
Franz Schubert
|
I
Sono già
trascorsi un
paio d’anni, ma rammento
la scena: uno di quei
momenti della mia vita
che posso sempre
rievocare. L'estate
era infuocata,
il sole di mezzogiorno
aveva inghiottito le
ombre sulle strade.
Non so più esattamente
per quale motivo
mi accingessi proprio in quell'ora del
giorno ad andare a
piedi dal mio albergo
dietro il duomo
di Santo Stefano
alla casa natale di
Schubert, nella Nußdorfer
Straße, più o
meno lo stesso cammino che
il futuro allievo del convitto
cittadino percorreva con
la madre per recarsi
all'esame. Per strada feci
una pausa in un
locale, bevvi un vino
bianco allungato e una
lieve fiacchezza calò
su di me come una patina protettiva
contro la calura. La
vecchia casa, modesta
tra le costruzioni
più alte e
moderne, mi accolse con
un piacevole fresco: il cortile
interno
aperto sul
giardino, il corliletto,
lasciavano respirare la casa.
Visitai
il maseo, mi fermai
per un poco sal
ballatoio in legno
del primo piano aperto
sul cortile, dove
scesi poco dopo. Ero
l'unico visitatore. Mi
appoggiai alla parete
della casa, chiusi gli occhi e rimasi
in ascolto. Dalla strada giungevano
rumori attutiti, la casa era
silenziosa. Poi un bambino
corse a passi brevi e
pesanti sul pavimento
di legno: dapprima
udii solo incidentalmente
i suoi passettini, i quali
però riecheggiandomi
nella mente divennero un
segnale per la mia fantasia,
che già
divenuta inquieta,
aveva preso a popolare la casa e il
cortile.
Così - mi dissi
- Schubert bambino
potrebbe aver scoperto
la musica;
non tramite il padre che suonava
il violino, nè tramite
il fralello che suonava
il pianoforte, ma grazie a questa realtà
a più voci, a quest'unico
potente strumento musicale,
la casa abitata.
La casa risuona. Al pianterreno,
di fianoo al grande portone
d'entrata, si trova la scuola del
padre; oltre ad essa vi
sono ancora diciassette
appartamenti,
intorno al cortile
e al primo piano, abitati
da tre o
dieci persone. Cerco di ascoltare
attentamente
insieme al fanciullo: la
casa suona ininterrottamente.
La sua musica
si dispone secondo il corso
della giornata: ce
n'è una che
caratterizza
il mattino, una che si ode solamente
a mezzogiorno, una
per la sera e una notturna. Il fanciullo
può ascoltare
come la casa si animi assai presto,
con sospiri e bruschi richiami,
con grida di bambini
e passi frettolosi
sul ballatoio e sulle
scale. I rumori
che vengono
dalla scuola scandiscono
il giorno: prima il baccano
dei bambini, quanda giungono
la mattina in gruppi piccoli e grandi
attraversano il portone; poi tutto
tace, mentre domina la voce del padre
e a volte i bambini recitano insieme
qualcosa o cantano. Nel frattempo
tutta la casa è colma
dell'irrequietezza quotidiana. Ora le
voci azzardano qualsiasi cosa:
grida, comandi, bisbigli, lamenti, pretese, canti, sovente
tutto insieme. Sebbene il
fanciullo conosca la maggior parte
delle voci, sia in grado di
distinguerle le une dalle altre,
ora le ode come un intreccio di
cuoni. Fino a tarda sera, quando
si fanno più scure e fioche e
vengono smorzate dall'imbrunire e
dalla stanchezza.
Così potrebbe
essere stato, così Franz
Schubert potrebbe aver
conosciuto, ascoltandolo, il suo
mondo, prima di suonare uno
strumento e di imparare a
leggere le note. Sicuro non è,
Schubert non lo ha raccontato in
nessuna lettera, soltanto nella
sua musica. La casa risonante è
rimessa alla mia fantasia.
Questa "musica
della casa", mi dico, è il
fondamento
incomparabile dell'arte schubertiana:
l'intercambiabilità di voci e
strumenti, il prodigio del canto
strumentato, degli strumenti che
cantano. Nei lieder - soprattutto
nell'accompagnamento (pianistico) -
Schubert si spinge all'estremo. Ma nei
quartetti, nelle ultime sonate per
pianoforte, nel Quintetto in do
maggiore e non da ultimo
nelle sinfonie, Schubert dispiega
l'intera trama, in queste
composizioni voci e strumenti si
uniscono e si intrecciano... egli
ascolta, ascolta assorto. Da molto
tempo ormai l'ex-fanciullo
cantore, l'allievo del convitto
cittadino, ha lasciato la casa paterna; la cui musica
però lo accompagna: riempie la sua
memoria e ad ogni battuta che
compone - già a tredici anni - gli
diviene chiaro che con essa può
far rivivere questa casa perduta.
E' divenuto un viandante di città,
uno straniero fra gli amici; ciò
che ha imparato stando in ascolto
nell'Himmelpfortgrund diviene la
base naturalmente musicale della
sua opera. Le voci come strumenti
e gli strumenti come voci.
II
Ma il
viandante si lascia reclutare? Non
pochi studiosi di Schubert lo hanno
fatto senza porsi scrupoli,
annoverandolo fra i romantici, o
definendolo postclassico. Costoro,
temo, non hanno letto ed ascoltato
attentamente. è vero
che Schubert visse e compose
nell'epoca chiamata romantica, negli
anni tra il 1798 e il 1835, ed è vero
che nelle sue composizioni sembrava
seguire l'ideale romantico della
poesia universale, di un'"arte totale sostenuta da
una libera soggettività", ma già
la figura del viandante, che
divenne per lui essenziale e che
ben presto fece sua (con le poesie
di Goethe e di Schmidt von Lübeck), ha
ben poco a che fare con i giovani
girovaghi, con i viandanti del poeta
Eichendorff, erranti nella natura come
in un parco sterminato, e non hanno
neppurenulla a che fare con lo spirito
entusiasta di un Ofterdingen, che
Novalis fa peregrinare per il mondo.
Il viandante Schubert non tendeva a
trasfigurare le cose, godeva della
natura e viveva in città.
L'irrequietezza della sua esistenza
determinava il suo lavoro, la sua
musica; le misere condizioni di vita
esprimevano una libertà scelta
autonomamente. Schubert fu
il primo compositore borghese
indipendente, o più precisamente: fu il primo compositore ad affidarsi
interamente alle conoscenze
musicali e al favore della
borghesia (di Vienna). Lasciava
che i borghesi "determinassero"
il suo stato d'animo,
sfruttassero i suoi sentimenti,
e al tempo stesso precorreva i tempi con le sue
emozioni, le sue intuizioni e
le sue aspettative. Si sentiva
legato a questa società urbana
fatta a nicchie, che si
piegava sotto il controllo e
la censura di Metternich, e
addirittura uno dei censori,
Mayrhofer, era suo amico; allo
stesso tempo, però, soffriva
per il filisteismo piatto e
rapidamente soddisfatto,
avvertiva la freddezza,
l'irrealtà dell'incipiente età
moderna. Si preparava per la
Winterreise.
No, non era un
romantico. Era uno di quei
rari spiriti inquieti che si
logoravano in partenze e viaggi,
che avevano abbandonato il
terreno sicuro del
classicismo ed esploravano
in un mondo tutto loro,
impellente e ostinato,
l'oscuro confine fra il
Biedermeier e un futuro
semprepiù rapido: Kleist
e Hölderlin,
Büchner
e Schubert.
III
Da
giorni ascolto le
sinfonie di
Schubert. Così, come
le dirige Nikolaus
Harnoncourt. Le ho
ascoltate prima
secondo la loro
successionecronologica,
dalla Prima
all'Ottava. Quindi,
esaminando e
confrontando, inizi
e conclusioni,
singoli movimenti,
temi, motivi. Sempre
in successione.
Oppure al contrario:
dall'Ottava alla
Prima, dal 1828
indietro fino
all'anno di
composizione della
Prima, il 1813. Dal
sedicenne che ha
appena abbandonato
il convitto fino al
trentunenne, che
esausto per le sue
peregrinazioni
termina di comporre
una sinfonia
iniziata l'estate di
tre anni prima, una
sinfonia che non
esiste e che
smentisce con
fulgore la sua
non-esistenza, la
"Gasteiner", la
"Grande Sinfonia
in do maggiore".
Mi
attendevo
sviluppi, mi ero
preparato a
citazioni, punti
di
contatto con
Beethoven e
Mozart (tale
per lo meno
era il mio
ricordo delle
sinfonie nel
dettaglio), ma
ciò in cui mi
sono
imbattuto, ciò
che mi ha
avvinto sempre
di più, è
stato un tutt'uno,
un romanzo in
musica. Già
nei primi
"capitoli"
compaiono in
maniera
prodigiosa
quelle figure
destinate a
svolgere un
ruolo
fondamentale
negli ultimi;
vi sono temi
che, pur non
ripetendosi,
compaiono
tuttavia
mutati secondo
un piano
misterioso di
riverberi
sonori,
cantati da
lontano e
talvolta da
una vicinanza
addirittura
tormentosa.
Nikolaus
Harnoncourt si
addentra in
questo mondo
con il piacere
della lettura.
Dispiega
dinanzi a noi
questo romanzo
con
partecipazione,
solerzia,
gioia, in
tutta la sua
polifonia, in
tutta la sua
ricchezza di
figure. Poichè
nel mettere a
fuoco i
dettagli non
perde mai di
vista il
tutto, ma vi
tende
l'orecchio, le
voci e i
colori non gli
sfuggono, non
scantona mai
nell'atmosfera
di fondo del
romanzo.
Schubert,
il viandante,
dal passo
frettoloso che
sospinge la
sfera
terrestre può
passare come
un bambino
beata alla
danza. Ma
questa musica
non è affatto
leggera e
ricca di
slancio come
appare ad
esempio il
mirabile primo
movimento
della Quinta
Sinfonia in si
bemolle
maggiore.
Anche qui
infatti si
insinua
pulsando
un'irrequietezza,
un battito
affannoso
nell'esuberanza
del
sentimento.
Quante
volte si danza
in questo
romanzo! E con
che estro
straziante,
con che
corruccio
estasiato
Harnoncourt ci
fa danzare! Le
scene si
aprono in
un'atmosfera
estiva; può
succedere che
delle figure
all'orizzonte
finiscano in
preda ad un
moto selvaggio
- e viene da
chiedersi se
per
esaltazione
oppure per
terrore. La
Quinta
Sinfonia ne è
un esempio
tipico: il
primo
movimento, il
primo Allegro,
trascina
l'ascoltatore
in un moto di
danza
veemente, di
profondo
respiro;
queste prime
quattro
battute, con
il loro
vibrante
incitamento,
vengono
modulate
successivamente
nello sviluppo
in maniera
tale che sotto
il passo di
danza si ode
già quello
incalzante del
viandante.
Questa è la
musica di
fondo.
Nell'Andante,
in questo
movimento che
ascolto con
amore più di
ogni altro, la
voce del canto
si innalza
sopra i sei
ottavi e si
dispiega dando
voce ad una
luminosa
tristezza -
questa è la
contraddizione
di Schubert! -
che nella coda
si fa infine
penetrante. In
quel punto al
posto del mi
bemolle
maggiore
subentra
inaspettatamente
un do bemolle
maggiore,
estraneo e
carico di
presentimenti.
Harnoncourt è
lì, presente
con la sua
orchestra.
Schubert
"scrisse" i
primi sei
capitoli del
suo romanzo in
cinque anni.
Ha appena
compiuto
ventun anni
quando termina
di scrivere la
Sesta, la
"Piccola in do
maggiore".
Rileggendo
all'indietro
deve essere
divenuto
cosciente del
fatto che a
questa opera
sinfonica, al
suo romanzo,
mancava ancora
un ultimo
crescendo,
mancava il
compimento.
Schubert
prova, smette
scoraggiato,
getta via.
Il
30 ottobre
1822 inizia
finalmente il
nuovo
"capitolo". La
sua ricchezza
è
incontenibile.
Le tracce
della felicità
su di un
foglio scurito
commuovono,
confondono e
addolorano ad
un tempo. Ora
gli riesce di
portare a
compimento la
sua "musica
della casa".
Sempre, quando
una voce
intona un
canto, la casa
risuona e la
sua memoria
con essa. Già
nelle prime
battute i
bassi
minacciosi e
insieme
evocanti
trasportano la
storia in una
dimensione
mutata.
Nei
sei capitoli
precedenti la
narrazione
musicale ha
ottenuto
colori sempre
nuovi, in un
cromatismo
spesso ardito,
estraneo, enon
sono mai
mancati i
temi, i canti
che si
imprimono
nella memoria.
Ora Schubert
tira le fila
della
narrazione,
ora il
viandante è
presente a se
stesso. Nulla
lo spaventa
più,
non
l'oscurità,
non la
solitudine.
Dolore e
caparbietà lo
affiancano nel
suo cammino
come due
compagni
invisibili.
Dalla bellezza
erompe lo
spavento, dal
canto il
terribile
silenzio.
Tutto gli
riesce. Evade
dal suo tempo
e racconta una
nuova epoca a
coloro che
verranno. Il
secondo tema,
il grande
canto del
primo
movimento,
irrompe, cessa
immediatamente;
il silenzio lo
segue. Il
respiro si
arresta. Poi
un fortissimo
sforzato di
tutti gli
strumenti ci
travolge con
fragore.
Nulla è
rimasto
immutato.
Il
secondo
movimento, un
andante,
eguaglia il
primo per la
sua
spaziosità. Un
terzo
movimento
esiste solo in
forma di
abbozzo: la
conclusione
del secondo
rende
superfluo
andare avanti.
Posso
immaginare che
Schubert, dopo
un certo
numero di
tentativi, si
sia reso conto
che non doveva
concludere
questo
capitolo,
questo abbozzo
poderoso di
una regione
futura, che
attende il
viandante. E'
la Settima
Sinfonia,
l'"Incompiuta".
Non
è forse questa
sinfonia la
conclusione
del romanzo
di Franz
Schubert, un
finale che
preannuncia
una crepa nel
gelo, che
eleva
definitivamente
il viandante a
figura
centrale di
questa storia?
Il
27 marzo 1824
Franz Schubert
scriveva nel
suo diario:
"Le mie
creazioni
esistono
grazie alla
comprensione
della musica e
al mio dolore;
quelle create
solamente dal
dolore
sembrano
rallegrare il
mondo meno di
tutte".
Nel
1825, mentre è
in viaggio
durante
l'estate
austriaca,
inizia a
lavorare ad
una nuova
sinfonia.
Poichè il
viandante ha
bisogno delle
sue leggende,
questa
sinfonia
esiste e non
esiste.
Schubert
l'annuncia
agli amici,
gli amici
diffondono la
sua fama prima
del tempo. La
"Gasteiner",
ovvero la
"Gmundener" -
come viene
anche chiamata
- è scomparsa
senza lasciare
tracce. Forse
Schubert l'ha
solamente
iniziata senza
mai portarla a
termine. Forse
ha solamente
parlato della
sua esistenza.
Forse, mi
dico, essa è
la Compiuta
dopo
l'Incompiuta e
proprio per
questo non la
si può udire.
Probabilmente
Schubert ha
iniziato a
quell'epoca a
comporre
l'Ottava, la
"Grande
Sinfonia in do
maggiore". Tre
giorni
dopo
l'annotazione
dolorosamente
precisa sul
suo diario,
Schubert
scrive al suo
amico Leopold
Kupelwieser:
"Nei lieder ho
fatto ben poco
di nuovo, al
contrario mi
sono cimentato
con diverse
composizioni
strumentali,
infatti ho
composto due
quartetti per
violini, viola
e violoncello
e un ottetto,
e ho
intenzione di
scrivere
ancora un
quartetto.
Voglio così
prepararmi il
terreno per
una grande
sinfonia".
In
queste parole
si esprime la
"comprensione
della musica":
Schubert vuole
osare di più
per rendere
giustizia al
viandante.
Anche se il
romanzo ha già
un finale, al
musicista ne
manca ancora
uno: il
ritorno delle
voci nella
trama, il
panorama
sovrano.
Schubert
riesce a
dipanare
ancora una
volta il
racconto
musicale,
ripetendosi e
rinnovandosi.
Prima che
l'occhio di
chi ascolta
possa vedere
per intero il
paesaggio,
prima che il
sipario si
alzi, un
richiamo del
corno
risveglia
tutte le voci.
Ma le
risveglia
veramente? Non
incita forse
ugualmente al
riposo? Ancora
una volta il
viandante ne
sa più di noi.
Ma il
paesaggio che
si dispiega
dinanzi a noi
in questo
capitolo è
anche il
nostro. Loè
nella sua
ampiezza,
nella sua
apparente
armonia. Il
bambino è
ritornato
nella casa
paterna e sta
in ascolto. Il
bambino
divenuto
vecchio.
IV
Il
fatto che io
abbia potuto
ascoltare così
il romanzo
sinfonico di
Schubert,
chiaro in
tutte le sue
voci, plastico
in tutti i
suoi aspetti,
profondo e
mutevole nel
suo trovare e
perdere la
felicità,
luminoso nella
sua
afflizione, lo
devo a
Nikolaus
Harnoncourt,
alla sua arte
narrativa, al
suo orecchio
infallibile e
al suo amore,
pieno di
domande, per
Schubert.
Peter
Härtling
Traduzione:
Marco Marica
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Nikolaus
Harnoncourt (1929-2016)
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