Uno scrigno di damasco per la rabbia di Bernhard

"Heldenplatz" nel Teatro della Josefstadt a Vienna.
di Michele Vangi
"Alias", settimanale de il "Manifesto", Sabato 19 febbraio 2011

Quando la governante, Frau Zittel, inizia a elencare manie private e pubbliche ossessioni del padrone di casa, il Professor Josef Schuster, che qualche giorno prima si è buttato giù dal balcone della sua casa viennese vicino a Heldenplats (Piazza degli eroi), il pubblico non può che ripensare alla prima assoluta del novembre 1988. Oggi non siamo però come allora al Burgtheater sul Ring, ma nell'accogliente teatro della Josefstadt, scrigno di damasco rosso e stucchi dorati. Piazza degli eroi (trad. it. R. Zorzi, Garzanti) di Thomas Bernhard va in scena qui da settembre scorso, per la regia di Philipp Tiedemann.
Il testo vive delle conversazioni fra famigliari e colleghi del Professor Schuster. Essi ritornano dal funerale passando per il Volksgarten e convengono nella casa ormai vuota del suicida. Rievocano il dramma del professore ebreo che negli anni del nazionalsocialismo era dovuto emigrare a  Oxford - evidente riferimento a Ludwig Wittgenstein - e che dopo la guerra era tornato nell'apparentemente pacificata repubblica alpina, riprendendosi la sua cattedra all'Università di Vienna. L'aver constatato di essere caduto nella "trappola viennese" . le cose erano più gravi ancora di cinquant'anni prima - non aveva lasciato al professore altra via di scampo.
La prima peatrale del 1988 - regia di Claus Peymann - fu un caso letterario memorabile che cadeva non a caso nel cinquantesimo anniversario dell'annessione dell'Austria al Terzo Reich. Proprio a Heldenplatz, Hitler aveva tenuto il 15 marzo 1938 un discorso trionfale, accolto dalle urla di giubilo della folla. Queste urla la moglie del professor Schuster le sente ancora oggi.
I dialoghi dei personaggi furono vero materiale incendiario per il dibattito politico e pubblico della seconda repubblica austriaca. Bernhard non risparmiava attacchi feroci alla politica, distribuiti in modo ecumenico fra i socialisti del SPÖ - che con Fred Vranitzky guidavano un governo di Große Koalition - e i loro alleati, i popolari della ÖVP, partito scosso pochi anni prima dal "caso Waldheim". L'elezione di Kurt Waldheim a presidente federale nel 1986 era stata infatti accompagnata da accese polemiche. Una commissione di storici, istituita appositamente per accertare il grado di coinvolgimento di Waldheim in azioni militari della Wehrmacht, era giunta alla conclusione che non gli si poteva imputare "crimini di guerra", la sua ricostruzione dei fatti era tuttavia lacunosa e in parte falsa. La seconda metà degli anni ottanta sarebbe entrata così nei libri di storia come una fase di svolta epocale nella coscienza collettiva del paese. Fino a quel momento gli austriaci si erano considerati le prime vittime di Hitler; gli storici e gli scrittori venivano a raccontare ora un'altra storia.
Bernhard dava così il suo sarcastico contributo alla commemorazione, scardinandone ogni versione politicamente edulcorata. Ma non sono solo i politici a essere il bersaglio di Piazza degli eroi, il Professor Robert - fratello del defunto - rovescia le sue invettive sulla società austriaca en bloc: "L'Austria stessa non è altro che una quinta di teatro [...] una comparsata, odiosa anche a se stessa, di sei milioni e mezzo di abbandonati a se stessi, sei milioni e mezzo di dementi e pazzi furiosi che ininterrottamente e a squarciagola invocano un regista". In un agone politico lacerato dal riemergere di un passato politicamente scomodo, in un clima reso ancora più incandescente dalle anticipazioni della stampa, si arrivò alla prima del 1988. L'editore di Bernhard, Siefried Unseld, ne è testimone: "Il giorno dimostrazioni, poi contro-dimostrazioni, infine contro-contro-dimostrazioni [...]. La rappresentazione è presieduta dalla polizia. Inizio dello spettacolo alle ore 19. L'atmosfera è di calma irreale, di apparente serenità. Ma quandoentra in scena Annaliese Römer, che interpreta la governante Frau Zittel, e inizia con la prima critica a Vienna e all'Austria, viene giù una bordata di fischi come mai si era sentita al Burgtheater. La bordata provoca applausi a scena aperta e, tanto più sonori si fanno i fischi, tanto più il consenso cresce in frastuono e il duello fra protesta e approvazione sancisce infone il trionfo di Bernhard e Peymann".
Bernhard non nascose la sua soddisfazione per il successo di Piazza degli eroi, ma a una riconciliazione con lo stato austriaco non si giunse mai. Nel suo testamento - sarebbe morto nel 1989 - Bernhard avrebbe sancito, non senza maestria teatrale, la sua "emigrazione postuma": per tutta la durata legale dei diritti d'autore, poibiva stampa, rappresentazione e lettura della sua opera "all'interno dei confini dello stato austriaco".
Il pubblico della Josefstadt di oggi non è quello del Burgtheater. Gli spettatori reagiscono compassati alle cannonate del Professor Robert, la sua satira cupa suscita di tanto in tanto risate bonarie. La meraviglia della stampa austriaca di fronte alla tranquilla "digestione" dell'ormai classico Bernhard, è tuttavia una reazione superficiale. Allargando il ficus, sembra invece che anche il pubblico austriaco si avvii verso una ricezione meno emotiva. I registi si confrontano oggi anche con altri testi di Bernhard: coraggiosa ad esempio, al Landestheater Niederösterreich di Sankt Pölten, a 80 chilometri da Vienna, la versione teatrale  del romanzo Verstörung (Perturbamento, trad. it. E. Bernardi, Adelphi); un amaro viaggio reale e ideale di un medico e di suo figlio nella desolazione umana della provincia austriaca.
La pubblicazione della casa editrice tedesca Suhrkamp di tutte le opere in ventidue volumi a partire dal 2003 favorisce questa ricezione più matura. La presunta perdita di virulenza politica dei pezzi di Bernhard è inversamente proporzionale alla percezione della loro inquietante grandezza. I suoi testi richiedono un lettore e uno spettatore smaliziato, non incline a estrapolare citazioni o battute dal flusso magmatico del discorso. Il nastro della prosa bernhardiana scorre e si riavvolge sempre attorno alle stesse "bobine": il taggio nazi-cattolico nell'Austria moderna, il microcosmo opprimente della famiglia, la maniacale ossessione per l'ordine, la vita solitaria nella quiete montana. L'opera matura di Bernhard - teatrale o narrativa che sia - è un enorme marchingenio grottesco, ruminante di continuo invettive radicali, convinzioni astruse e neologismi esilaranti. Essa è dunque, presa nel suo complesso, una riflessione tutta postmoderna sulla possibilità stessa della parola letteraria, soprattutto attraverso il ricorso alla mimesi del parlato (tipici i: "diceva", "dicevo", "pensava", "pensavo") che mette sempre in discussione le forme concluse del racconto. Questo stile inconfondibile - che è una poetica - è una conqueista faticosa a cui l'autore giunge tardi, allontanandosi decisamente dagli esordi da realismo "rurale" dei primi anni cinquanta. La pubblicazione dell'opera omnia permette di seguire il processo di genesi della sua scrittura.
La frattura stilistica non produce però un allontanamento dall'amato-odiato mondo della provincia austriaca: da lì - dal complesso dell'origine - provengono le sue "nevrosi produttive" e anche il suo tono da amabile misantropo che non si risparmia l'autoironia. Quando il Professor Robert gracchia sardonico che deve concedersi ogni giorno una sana agitazione - "perchè non crediate che io sia già morto, tutto al contrario" - il pubblico fa un mezzo sorriso e riconosce il suo antico maestro.