Bernhard: il mostruoso mi attira ma non lo invento io

E' difficile intervistare lo scrittore Thomas Bernhard. Dopo un anno di tentativi un giornalista di "Le Monde", Jean-Louis de Rambures, ci è riuscito. L'incontro è avvenuto nella casa di Bernhard sulle Prealpi austriache, una fattoria dai muri bianchi che somiglia all'esterno a una fortezza e all'interno a un convento. Ecco il testo dell'intervista.
Intervista a cura di J. L. De Rambures (Copyright "Le Monde" e per l'Italia "La Stampa")
La Stampa, Sabato 30 Aprile 1983

"Alcuni sostengono che io viva in una torre d'avorio. Questa immagine oggi ha perso ogni significato. Con una semplice radiolina si può essere contemporaneamente fra le nevi eterne e al centro del mondo. Tranquillità e anonimato oggi non si trovano più in campagna, ma nelle grandi città. I campi hanno lasciato il posto ai quartieri e i girasoli alle pavimentazioni stradali. A parte questo, le città sono l'equivalente di ciò che erano un tempo le campagne, luoghi cioè dove non accade mai nulla e dove la vita, per quel poco che esiste ancora, è divenuta ormai totalmente invisibile, a meno di non essere indagatori di professione".
"Dopo anni di vagabondaggi, decisi dietro consiglio del medico di ritirarmi in campagna. "Se non cambiate vita - mi aveva minacciato - siete fottuto". Per quanto sia affascinante il  termine "fottuto", ho preferito la tranquillità. Ma presto mi sono accorto del mio errore. In campagna tutti si conoscono e ogni giorno, volenti o nolenti, si è messi a confronto col destino, sotto forma di storia di parti e di agonie. Qui le industrie sono numerose e ad ogni passo si incontra uno storpio, vittima delle macchine. In definitiva è un terreno molto fertile per uno scrittore".

- Perchè una così forte allergia per le interviste?
"Provi lei ad immaginarsi legato mani e piedi ad un alberto e sotto la mira di un mitra. Lei crede di poter essere rilassato?".
"Parto dal principio che una conversazione fra sconosciuti è impossibile. Sono invece convinto che soltanto persone che si vedono costantemente possano scambiarsi parole: per esempio marito e moglie, possono passarsi una ricetta di cucina. Tutte le altre forme di conversazione, a mio avviso, hanno un carattere enfatico o esasperato. A maggior ragione quando questo avviene fra persone che si incontrano per la prima volta. E' un po' come un'orchestra che inizia a provare: occorrono mesi prima di trovare il tono giusto. Infine, quando si è in grado di comprendersi, la conversazione diventa nuovamente inutile".

- In un certo senso, non si può fare a meno di darle ragione: il suo ragionamento è di una logica spaventosa.
"In un certo senso, tutti abbiamo ragione. E' questo il dramma. Io non amo affatto l'espressione "in un certo senso", perchè procura un'illusione di sicurezza. Munito di questa piccola parola, lei s'infila in un crepaccio e crede di potersene tirar fuori come attraverso l'uscita di sicurezza di un cinema, così semplicemente. Invece la caratteristica del crepaccio è proprio quella di non poterne uscire".

- Passiamo alla sua opera. Perchè dal 1975 ha lasciato il romanzo per l'autobiografia?
"Non ho mai scritto romanzi, ma semplicemente testi più o meno lunghi in prosa, che mi guarderei bene dal definire romanzi, perchè ignoro il significato di questa parola. Non ho neppure mai voluta fare un'opera autobiografica, perchè odio veramente tutto ciò che è autobiografico".
"E' capitato che a un certo punto della mia esistenza, ho provato curiosità per la mia infanzia. Mi son detto: "Non ho più tanti anni da vivere: perchè non provare a fissare sulla carta la mia vita fino ai 18 anni, non come fu nella realtà - ma come oggi appare a me".
"Mi son messo al lavoro con l'intenzione di scrivere un volume molto piccolo. Un secondo libro è venuto alla luce, poi ancora uno... fino a quando ho cominciato ad annoiarmi. Perchè dopo tutto l'infanzia è sempre la stessa cosa. Dopo il quinto volume ho deciso di chiudere definitivamente".
"Ad ogni mio libro, sono sempre diviso fra la passione e l'odio per il soggetto che ho scelto. Quando finalmente ha prevalso il secondo sentimento, ogni volta prendo la decisione di non impicciarmi più di cose dello spirito e di dedicarmi invece a fatti materiali, di provare a ritrovare la serenità, per esempio, tagliando la legna o imbiancando un muro. Il mio sogno sarebbe che il muro non finisse mai, così anche la mia serenità sarebbe eterna. Ma dopo un lasso di tempo più o meno lungo, mi ritrovo a odiarmi per la mia improduttività e, come ultima risorsa, mi rifugio una volta di più nel cervello".
"Qualche volta mi dico cje la mia instabilità è dovuta ad una eredità troppo complessa. Fra i miei antenati ci sono contadini, filosofi, operai, scrittori, geni e imbecilli, piccolo-borghesi mediocri e persino criminali. Tutti questi individui coesistono in me e non cessano di combattere. Talvolta ho voglia di mettermi sotto la protezione del guardiano delle oche, talvolta del ladro o dell'assassino. Poichè bisogna sempre scegliere e poichè ogni scelta implica un rifiuto, questa continua giostra finisce per farmi sprofondare a due dita dalla follia. Se non mi sono ancora suicidato al mattino, facendomi la barba davanti allo specchio, è soltanto per vigliaccheria".
"La vigliaccheria, la vanità e la curiosità sono del resto i tre impulsi fondamentali grazie ai quali la vita continua malgrado tutto, quando avrebbe tutte le ragioni per fermarsi. Per lo meno così la penso oggi, perchè è facile che domani la pensi diversamente".

- In ogni suo libro lei ripete che tutte le attività umane sono inutili perchè in definitiva sono condannate all'annientamento. Tuttavia lei continua a scrivere.
"Ciò che mi spinge a scrivere è semplicemente il gusto del gioco. In primo luogo si ha il piacere di puntare su una carta, sapendo ogni volta che si può guadagnare o perdere tutto. Il rischio dell'insuccesso mi sembra uno stimolo essenziale. A ciò si aggiunge un altro piacere, quello che si prova nel ricercare il metodo più appropriato per venire a capo del confronto fra le parole e le frasi. Quanto al tema propriamente detto, io lo considero un fatto totalmente secondario, poichè è sufficiente attingere da ciò che ci circonda. Tutti gli esseri, ne sono convinto, portano in sè e in maniera rigorosamente uguale, il peso dell'umanità intera. Unica differenza è il modo in cui ciascuno ne viene a capo".
"Per ritornare al mio modo di fare libri, direi che è una questione di ritmo che ha molto a che fare con la musica. Sicuramente non si può comprendere quello che io scrivo, se non ci si mette bene in testa che ciò che conta, prima di tutto, è la componente musicale e che ciò che racconto viene soltanto in secondo piano. Chiunque è capace di descrivere cose o avvenimenti. Il problema è come lo si fa. In Germania purtroppo i critici non hanno affatto orecchio per la musica, che è tuttavia essenziale per uno scrittore. Per quanto mi riguarda, l'elemento musicale mi procura la stessa soddisfazione che suonare il violncello e anche più grande, perchè al piacere della musica si aggiunge quello del pensiero da esprimere".

- Lo scrittore impotente (penso in particolare al protagonista della "Plâtrière") è un personaggio che ritorna spesso nella sua opera. Si tratta di un problema personale?
"Quando sono riuscito a raggiungere la mia velocità di crociera, nulla mi può più distrarre. Quando lavoravo a Bruxelles al manoscritto el romanzo "Turbamento" ci fu l'incendio dei grandi magazzini Innovation. Tutto avvenne molto vicino alla mia finestra completamente aperta. Ho visto il cielo rabbuiarsi, poi trasformarsi in una sfera di fuoco. Continuando a scrivere, mi stupii di non aver sentito arrivare le sirene dei vigili del fuoco. Quando infine risuonarono le sirene, era finito tutto".
"Ma prima di giungere a questo stadio, il mio lavoro passa un periodo in cui il minimo incidente, la stessa vista del postino possono rimettere tutto in discussione. In questi momenti, il miglior sistema per combattere l'angoscia è di non avere affatto sistemi, o meglio ancora prendere l'aereo e sistemarsi altrove. Poco importa dove, purchè il paesaggio non sia troppo bello. Quando non ho ancora iniziato a scrivere, la bellezza di un luogo può a rigore essere un arricchimento, nella misura in cui riesce a mettermi in collera. Ma la creazione, mentre luoghi qualsiasi o meglio decisamente brutti mi sono favorevoli, la bellezza di città come Roma, Firenze, Taormina o Salisburgo è per me mortale".

- Nell'"Origine", lei qualifica Salisburgo "malattia mortale sotto il cui giogo gli abitanti cadono appena nati". Non le sembra ci sia un po' di esagerazione?
"Più una città è bella in apparenza, più è sconvolgente scoprire il vero volto che essa nasconde sotto la facciata. Provi lei ad entrare in un ristorante di Salisburgo; a prima vista le sembrerà d'essere in mezzo a brava gente. Poi ascolti le chiacchiere dei suoi vicini di tavolo e scoprirà che non sognano altro che sterminii, camere a gas".
"Le racconterò un aneddoto meraviglioso. Poco dopo l'uscita dell'"Origine", un giorno mi ha preso da una parte il critico Jean Améry: "Tu non puoi parlare di Salisburgo in questo modo, dimentichi che è una delle più belle città del mondo". Qualche settimana più tardi, avevo appena letto sul Merkur la sua reensione del mio libro, ero ancora incollerito perchè lui non aveva assolutamente capito niente, quando ascolto un annuncio alla tv: Améry si era suicidato il giorno prima e, ovviamente, proprio a Salisburgo. Non è una coincidenza. Ancora ieri tre individui si sono buttati nella Salzach. Si dice che è stato a causa del foehn, ma io so che c'è qualcosa in questa città che pesa fisicamente sugli esseri e che finisce per distruggerli".

- Sembra tuttavia che lei abbia un dono particolare per scoprire ovunque mostri.
"Tutti gli esseri sono mostri, a partire dal momento in cui si va a guardare sotto il loro guscio. Mi conosco d'altronde abbastanza bene per attribuire agli altri i miei stessi sentimenti. Il mostruoso certamente mi affascina, ma mi creda, non lo invento mai. Se la realtà le sembra meno sorprendente della mia finzione, cioè regge soltanto finchè i fatti si presentano in ordine confuso. In un libro bisogna assolutamente evitare i tempi morti; il segreto consiste nell'abbreviare impietosamente la realtà. Può essere questo, alla fin fine, che si ha l'abitudine di chiamare immaginazione".

- Lei ha proprio il dono di trasformare ogni sua risposta affermativa in una risposta negativa.
"Una risposta definitiva finora non è mai stata data. Per fortuna, perchè se gli esseri non avessero più problemi da porsi, si potrebbe mettere la parola fine a tutto l'universo. Una cosa soltanto è certa: la morte, questa graticola sulla quale finiremo tutti arristiti e ridotti in cenere. Ma nessuno sa, giustamente, in che cosa consiste".