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Auslöschung. Ein
Zerfall |
© 1986 SUHRKAMP VERLAG, FRANKFURT AM
MAIN |
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Estinzione. Uno sfacelo
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traduzione di Andreina Lavagetto
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Adelphi - Fabula 98 |
Prima edizione: 1993 - 493 pagine -
14 x 22 cm.
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© 1996 ADELPHI EDIZIONI S.P.A.,
MILANO |
ISBN
978-88-459-1266-5
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"Tutti
portiamo una Wolfsegg in noi e abbiamo
la volontà di estinguerla per la nostra
salvezza, volendo metterla per iscritto
vogliamo annientarla, estinguerla. Ma quasi
sempre non abbiamo la forza per una tale
estinzione. Ma forse il momento è arrivato".
Ultimo fra i romanzi di Thomas Bernhard, Estinzione
è anche quello dal respiro più vasto, dove
l’orchestrazione sottile e ossessiva della sua
prosa raggiunge l’esito supremo. Come se
Bernhard avesse voluto riprendere, una
volta per sempre, tutto ciò che aveva
oscuramente nutrito la sua «arte
dell’esagerazione». E già nel titolo si può
avvertire tale furia liquidatoria.
Dalla lontana specola di una Roma solare e
felice, dove si è rifugiato per sottrarsi alla
persecuzione, alla soffocazione familiare, il
narratore getta uno sguardo esacerbato sulla
tetra Wolfsegg, feudo avito nell’Austria
superiore toccatogli in eredità in seguito
all’improvvisa morte dei genitori e del
fratello. «Roccaforte dell’ottusità», Wolfsegg
è il luogo geometrico di quel «complesso
dell’origine» che marchia a fuoco l’esistenza
del protagonista. Stupidità del padre,
incultura, ipocrisia della madre, supino
opportunismo del fratello, beffardo disprezzo
da parte delle sorelle, insofferenza per ciò
che porta il segno dello spirito. Inoltre:
complicità della famiglia con le SS, prima e
dopo il Terzo Reich, in un inestricabile
intreccio di risentimenti, di cattolicesimo
bigotto e fanatico nazionalsocialismo: tutto
questo significa l’origine. Come è possibile
farne defluire il veleno? Anche il più
drastico rifiuto finisce per innalzare
fortezze e pinnacoli di parole che aspirano a
sostituirsi, in una sorta di annientamento
verbale, alla realtà dominante: «perché il mio
resoconto è lì solo per estinguere ciò che in
esso viene descritto, per estinguere tutto ciò
che intendo con Wolfsegg, e tutto ciò che
Wolfsegg è, tutto».
Ma Estinzione non sarebbe la
meraviglia che è se non lo percorresse da cima
a fondo quel gusto teatrale per il continuo
rovesciamento ironico anche del gesto o della
frase in apparenza più radicali e
inappellabili. Ancora una volta, l’elemento
liberatorio è in una certa comicità sinistra
che si sprigiona dalla cupezza, investendo
grandiosamente figure come il «fabbricante di
tappi per bottiglie da vino di Friburgo»,
cognato del protagonista, o le di lui sorelle,
sfiorite marionette che fanno tutto, ma
proprio tutto, insieme perché così vuole la
mamma. Se è nel destino del romanzo essere
soggetto a continue metamorfosi, quella a cui
assistiamo con Estinzione rimarrà fra
le più memorabili di questi ultimi anni.
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In copertina:
Léon Spilliaert, Giovane donna di spalle
seduta su uno sgabello, 1909. Collezione
privata.
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