Die Kälte. Eine Isolation
© 1981 RESIDENZ VERLAG, SALZBURG UND WIEN

Il freddo. Una segregazione
traduzione di Anna Ruchat
Adelphi - Fabula 55
Prima edizione: 1991 - 121 pagine - 14 x 22 cm.
© 1991 ADELPHI EDIZIONI S.P.A., MILANO
ISBN 978-88-459-0847-7


«Mio nonno aveva sempre detto la verità e aveva sempre sbagliato completamente, come me, come tutti. Siamo in errore quando crediamo di essere nel vero e viceversa. La via dell’assurdo è la sola praticabile. Conoscevo quella via, la strada che ci permette di proseguire. Seduto sul ceppo mi divertivo a verificare il conto che mio nonno aveva compilato, a sommare i numeri scritti gli uni sotto gli altri, lo facevo come fa l'apprendista in negozio, con la stessa precisione, la stessa spietatezza nei confronti dell’acquirente. Entriamo a fare la spesa nel negozio della vita, e poi dobbiamo pagare il conto. Qui il venditore non sbaglia. Le somme che sono state fatte nel frattempo tomano tutte, c’è sempre un unico prezzo possibile che è quello giusto. Seduto sul ceppo mi interrogavo sulle mie origini e mi chiedevo in generale se dovessi interessarmi alla mia provenienza, se dovessi arrischiarmi o meno a togliere il coperchio, se avrei avuto o meno la sfrontatezza di scrutarmi da cima a fondo».

Il freddo racconta il periodo passato da Thomas Bernhard, fra i diciotto e i diciannove anni, nel sanatorio pubblico di Grafenhof. Ed è la storia di un’altra lotta durissima per la sopravvivenza, dove la malattia che assale il giovane Bernhard è al tempo stesso una malattia terribilmente fisica – legata a una specifica persecutorietà ambientale e sociale – e una malattia dell’anima, come già indica l’epigrafe di Novalis, che è la chiave del libro: «Ogni malattia può essere definita malattia dell’anima». In questa vicenda di un «inabissarsi» in una «comunità della morte», per poi riemergerne quando tutto sembra perduto, arricchito dalla scoperta che «la via dell’assurdo è la sola praticabile», e quasi salvato dalla musica (a cui allora contava di dedicarsi), Bernhard ci offre il penultimo, possente pannello della sua autobiografia, impresa solitaria e altissima della letteratura del nostro tempo.

In copertina: Léon Spilliaert, Parc, 1915. Collezione privata.